West, Rebecca - La famiglia Aubrey

Meri

Viôt di viodi
Gli Aubrey sono una famiglia composta da marito, moglie, tre figlie femmine di cui due gemelle: Cordelia, Mary, Rose e un maschietto Richard Quinn che porta il nome dello zio deceduto da giovane.
La narratrice è Rose, le storie sono fatti di tutti i giorni in una realtà piuttosto povera a causa del padre, un ottimo giornalista che gioca tutto lo stipendio e i mobili di casa nella finanza.
La famiglia è spesso costretta a cambiare abitazione e città a causa dei debiti, ma tutti i membri hanno una passione in comune: la musica e lo studio di uno strumento. Questo permette loro di mantenere la dignità.

La Famiglia Aubrey è il primo volume di una trilogia: i racconti sono molto interessanti e divertenti anche se spesso poco chiari perchè la narratrice racconta ciò che avviene con gli occhi di una bambina e come tale i discorsi e le decisioni degli adulti non le sono sempre comprensibili.
 

Jessamine

Well-known member
Questo romanzo ha il sapore dei ritmi narrativi di quando ero bambina, di quelle storie che continuano a scorrere e avvolgono e accompagnano in un flusso traboccante.
La voce di Rebecca West è vivace, ha una sagacia acuta, che fa ironia in punta di piedi: i suoi personaggi sono sopra le righe, fuori dagli schemi, stanno ai margini della società senza sapersi adagiare nei canoni, spesso appaiono esasperati, ma sono sempre tratteggiati con un movimento attento, quasi chirurgico.
Il titolo originale dell’opera, questa fontana traboccante, potrebbe essere una perfetta descrizione della scrittura di Rebecca West: una scrittura tanto ricca da riempire i contorni delle pagine e traboccare oltre. Senza fare rumore, senza travolgere nulla, è una ricchezza che supera i confini e lentamente invade ogni pertugio, riempiendo la mente del lettore con un’abbondanza di dettagli che trascendono il mero intreccio narrativo.
Perché, in questo romanzo, non succede nulla, e succede tutto: succede che i quattro figli degli Aubrey crescono, imparando la musica senza mai conoscere delle convenzioni sociali. Non è un romanzo che si legge per la sua trama: lo si legge per lasciarsi travolgere da questo fiume placido che è la fantasia ricca di Rebecca West, una fantasia che oscilla dai fiori che hanno lo stesso nome di una ballerina fino al disprezzo per le spille a mosaico che rappresentano colombe intente ad abbeverarsi a una fontana.
Ci sono passioni forti e visioni acute, ci sono omicidi che passano completamente in secondo piano, davanti al ridicolo oscillare di un cappellino sulla testa di una donna insipida.
Questo romanzo è davvero una fontana che trabocca, e l’unico modo per goderne appieno è unire le mani a coppa e portarsele al viso, senza temere di sporcarsi il vestito.
Razionalmente, mi rendo conto che ci sono diversi difetti: il ritmo è incostante, il punto della trama a volte confuso, la voce narrante spesso fastidiosa e poco a fuoco – per una cinquantina di pagine, sono stata convinta che a narrare fosse la prima persona plurale di tutti i figli degli Aubrey, e credo che un esperimento del genere sarebbe stato decisamente più interessante. Eppure, una volta ascoltata l’ultima parola di questo romanzo, non ho potuto fare a meno di avvertire un piccolo strappo all’altezza del petto.
 
Alto