Rousseau, Jean-Jacques - Le passeggiate del sognatore solitario

Minerva6

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Questo libro è stato tradotto in altre edizioni con il titolo più fedele Le fantasticherie del passeggiatore solitario, essendo l'originale Les Rêveries du promeneur solitaire. Quella che ho letto io è della Feltrinelli, versione e-book, e il traduttore (Beppe Sebaste) ha deciso di "anagrammare l'ordine perché provava un moto di rigetto verso quella abituale, fastidiosamente cacofonica" (sono più o meno le parole che usa lui).
Ho deciso di leggerlo poco dopo Le confessioni, tanto ero rimasta estasiata dall'opera, e infatti con questa ho replicato alla grande.
Si tratta principalmente di riflessioni (divise in dieci passeggiate) che l'autore ha fatto a proposito della sua vita e delle persone che ha conosciuto, di sogni nati ammirando la natura circostante e dai sentimenti scaturiti attraverso la sua visione, di meditazioni filosofiche sulla felicità e sulla natura umana.
Per comprendere quanto possa essere piacevole bisogna solo leggerlo, anche se non garantisco che faccia lo stesso effetto a tutti. Io sono riuscita ad entrare perfettamente in sintonia con lui e auguro anche a voi di riuscirci.
Ripasserò con le citazioni segnate :wink:
 

Minerva6

Monkey *MOD*
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Ecco alcune delle citazioni promesse:

Ero fatto per vivere e muoio senza avere vissuto. Almeno non è stato per mia colpa, e porterò all'autore del mio essere, se non l'offerta delle buone opere che non mi si è lasciato compiere, un tributo almeno di buone intenzioni frustrate, di sentimenti sani ma resi privi di effetto, e di una pazienza temprata dal disprezzo degli uomini.

E' così che la rettitudine e la franchezza in ogni campo sono per il mondo dei delitti atroci, e ai miei contemporanei sarei apparso malvagio e feroce, quando ai loro occhi l'unico mio crimine sarebbe di non esser falso e perfido come loro.

Dio è giusto. Vuole che io soffra. E sa che io sono innocente. Ecco il motivo della mia fiducia, il cuore e la ragione mi gridano che Egli non m'ingannerà. Lasciamo fare dunque gli uomini e il destino; impariamo a soffrire senza mormorare; tutto alla fine deve rientrare nell'ordine, e il mio turno verrà presto o tardi.
Quanto invidio la sua fede :ad:.

Costretto ad astenermi dal pensare, per paura di pensare soltanto alle mie sventure, costretto a contenere i resti di un'immaginazione ridente, ma che sempre più si affievolisce e potrebbe alla fine tacitarsi sgomenta dopo tante angosce... non posso tuttavia concentrarmi interamente su me stesso, perché la mia anima espansiva cerca nonostante tutto di estendere la sua esistenza e il suo sentimento agli altri esseri.
 

ayuthaya

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Questo è un libro (e un autore) che non avrei probabilmente mai affrontato se non me ne fosse capitata l'occasione "pescando" Rousseau come autore da adottare e trovando una corrispondenza fra il titolo e il contenuto di una delle voci della Reading Challenge. Parlo di "titolo" perché in realtà il tema della "passeggiata" è molto più marginale di quanto non credessi ed è per questo che, a differenza del traduttore in cui si è imbattuta Minerva, io non sono per nulla d'accordo con l'inversione dei due termini e ritengo invece che il titolo originario, Le fantasticherie del passeggiatore solitario, sia molto più significativo e racchiuda in sé il senso profondo di quest'opera.

Infatti quelle di Rousseau non sono passeggiate (se non in senso metaforico) ma veri e propri atti del “fantasticare”, senza però saltare da un pensiero all'altro, ma seguendo coerentemente un percorso mentale, il quale a sua volta prende spunto da un episodio, un ricordo, un'intuizione. A pensarci bene è proprio bella questa espressione – “fantasticheria di un passeggiatore” – perchè, questo sì, Rousseau è un "passeggiatore", nel senso che il passeggiare è per lui qualcosa di più che una piacevole attività: è un conforto, una fuga, un rifugio. “La mia vita intera non è stata altro che una lunga fantasticheria divisa in capitoli dalle mie passeggiate quotidiane".

Facciamo un piccolo passo indietro: questa è stata una delle poche letture che ho fatto precedere (e non seguire) da un breve ripasso della biografia dell’autore (che ricordavo solo vagamente per averlo studiato in filosofia) e dalla lettura dei ben due saggi/prefazioni presenti nella mia edizione (BUR). Questo perché ho intuito che, per quanto breve (poco più di un centinaio di pagine, contro le duecento dell’apparato critico!), non avrei potuto comprendere quest’opera senza conoscerne il contesto "psicologico". Quando ha scritto le Fantasticherie, infatti, al tramonto della sua vita, Rousseau si sentiva ormai escluso dall’intero genere umano, convinto addirittura di essere oggetto di un “complotto” universale contro il quale aveva rinunciato a ribellarsi. Se le precedenti Confessioni e i cosiddetti Dialoghi (il titolo esatto è Rousseau giudice di Jean-Jacques) costituiscono un estremo tentativo di difendersi e riconciliarsi con il genere umano, riconquistando la stima generale, le Fantasticherie partono dal presupposto contrario. “Sono dunque solo sulla terra...”: questa constatazione iniziale è la chiave di lettura di questo scritto, grazie alla quale comprendiamo che il suo solo e vero destinatario è l’autore stesso.
Per questo motivo, afferma Starobinski nel suo saggio introduttivo, “le Fantasticherie sono il libro dell’estrema infelicità e, insieme, la testimonianza della più alta felicità concessa all’uomo ‘quaggiù’”. Rousseau ha perso ogni fiducia nel suo prossimo e può contare solo su se stesso, sulla felicità che gli deriva dai suoi pensieri, dai suoi ricordi e, tutt’al più, dalla bellezza della natura, per il quale egli prova un autentico amore.

Se finora non ho speso alcuna parola per dire se questo libro mi sia piaciuto o meno, è perché è difficile darne un giudizio “oggettivo”, essendo così intimamente connesso con la vita psichica del suo autore. Non è però affatto un libro difficile, a me è piaciuto molto, l’ho trovato interessante e stimolante. In particolare mi hanno affascinato alcune Fantasticherie nelle quali Rousseau si interroga sulla relazione fra percezione e sentimento, e fra l'aspetto "etico" di alcuni comportamenti (il fare del bene, il mentire, l'amore per i bambini) e il loro risvolto sensibile, ovvero l'impatto sulla coscienza. Rousseau non cerca regole generali valide per tutti, ma si sforza di analizzarsi il più criticamente e lucidamente possibile (per quello che gli consente la sua coscienza comunque "malata", ovvero deformata dalla sua tragica esperienza) per cercare una propria strada e una propria, seppure mutilata, felicità.
Un libro che vi consiglio, suggerendovi però di documentarvi un pochino prima, leggendo qualcosa della biografia e della filosofia di Rousseau.
 
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