Ernaux, Annie - Una donna

Trillo

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"Pochi giorni dopo la morte della madre, Annie Ernaux traccia su un foglio la frase che diventerà l'incipit di questo libro. Le vicende personali emergono allora dalla memoria incandescente del lutto e si fanno ritratto esemplare di una donna del Novecento. La miseria contadina, il lavoro da operaia, il riscatto come piccola commerciante, lo sprofondare nel buio della malattia, e tutt'attorno la talvolta incomprensibile evoluzione del mondo, degli orizzonti, dei desideri. Scritte nella lingua «più neutra possibile» eppure sostanziate dalle mille sfumature di un lessico personale, famigliare e sociale, queste pagine implacabili si collocano nella luminosa intersezione tra Storia e affetto, indagano con un secco dolore – che sconvolge più di un pianto a dirotto – le contraddizioni e l'opacità dei sentimenti per restituire in maniera universale l'irripetibile realtà di un percorso di vita." (Dal risvolto di copertina)

È il primo libro che leggo della Ernaux. Un libro molto breve, scritto in modo semplice, senza fioriture né parti romanzate.
Il racconto procede attraverso un susseguirsi di parti con due caratteri ben distinti, pur essendo accomunati dalla stessa essenzialità di stile. Da un lato troviamo il racconto vero e proprio, che si sviluppa come una biografia, con un'impronta lineare e razionale, in cui l'autrice ripercorre la storia e gli eventi che hanno caratterizzato la vita della madre, cercando di restituirne la più vera e fedele immagine possibile non solo in quanto tale ma come "una donna" a tutto tondo, all'interno di una dimensione storica ben precisa.
Nonostante il suo carattere "neutro", come l'autrice lo definisce, il racconto non può però fare a meno di riprendere le espressioni tipiche che le appartenevano e che aiutano a fornire un'immagine più vera della donna che era.

Questa ricostruzione a tratti si ferma, lasciando spazio a piccole parti dal carattere più emozionale, intimo e tormentato, quasi fossero estratti di un diario in cui l'autrice lascia traccia dei pensieri e delle sensazioni che prova al tempo stesso della scrittura. Queste "istantanee" immortalate durante la stesura del racconto, da una parte consentono di cogliere tutto il dolore e il senso di smarrimento per la perdita della madre, e dall'altra ci rendono partecipi della tensione e dell'incertezza del progetto letterario in atto, qualcosa di non ancora definito e che noi vediamo evolversi insieme a lei. In queste pagine comprendiamo come la Ernaux viva la scrittura come una necessità, come uno strumento essenziale per elaborare la perdita subita e allo stesso tempo per far rivivere ancora, e per sempre, la sua mamma, una persona che rappresenta il suo passato ma anche una parte essenziale di lei e del suo mondo. È per questo che all'autrice non basta la frammentarietà dei ricordi e delle fotografie per averla sempre con sé: questi da soli non sono in grado di restituire la figura reale della madre in tutta la sua complessità. L'atto dello scrivere rappresenta per l'autrice l'unico mezzo con cui è possibile legare ogni ricordo in un'immagine tridimensionale unica, intera, reale, facendola al contempo sentire meno sola; l'unico mezzo per unire la "donna demente che è diventata con quella forte e luminosa che era stata", l'unico modo per avvicinarsi alla "verità", e poterla renderla ancora una volta presenza al di là del distacco fisico.

"All'inizio ho creduto che avrei scritto in fretta. In realtà passo molto tempo a interrogarmi sull'ordine delle cose da dire, la scelta e la disposizione delle parole, come se esistesse un ordine ideale, l'unico capace di restituire una verità su mia madre – ma non so in cosa consista – e nel momento in cui scrivo non conta nient'altro per me che la scoperta di quell'ordine."

Quando la ricostruzione storica si accinge alla conclusione, quando ogni cosa sta per essere legata confluendo nel presente, i due caratteri narrativi si incontrano, si fondono e l'intensità del racconto aumenta.
Il finale, con la madre affetta dalla demenza senile che pian piano le toglie tutto ciò che era stata, fino alla sua morte, è molto toccante.

Mi ha colpito una cosa: mentre i conoscenti si auguravano che arrivasse presto la sua fine viste le condizioni in cui versava, e non la andavano a trovare considerandola già morta, l'autrice al contrario si rende conto da piccoli particolari di quanto, anche in quelle condizioni, quelle di "una bambina che non sarebbe più cresciuta", la madre desiderasse ancora vivere: le piaceva ad esempio essere pettinata, oppure "le piaceva essere baciata e protendeva in avanti le labbra per farlo a sua volta". Così l'autrice sente il bisogno di starle vicino, di prendersi cura di lei con un amore ed una dedizione mai provata fino ad allora: "avevo bisogno di nutrirla, toccarla, ascoltarla".

In conclusione, nel commentare questo libro, mi sento diviso in due. La parte dal carattere "neutro", in cui l'autrice ricostruisce la donna che era sua madre, pur essendo interessante di per sé e per la quantità di temi socio-culturali che emergono, non l'ho trovata abbastanza accattivante.
Al contrario, ho trovato estremamente coinvolgente ed emozionante la parte soggettiva e introspettiva, quella che secondo me è la vera anima del racconto e che dà valore a tutto il libro. È incredibile la potenza che emerge in queste parti da una scrittura tanto essenziale come quella usata dalla Ernaux.
 
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