Lindsey, Joan - Picnic a Hanging Rock

Jessamine

Well-known member
TRAMA
Hanging Rock, la roccia vulcanica che sorge isolata e improvvisa nella macchia australiana a nord di Melbourne, fu davvero teatro, nel 1900, dell'evento narrato in questo libro: la scomparsa mai spiegata di due fanciulle e una matura insegnante di college seguita dalla immediata rovina di tante esistenze a quelle vite collegate (o, usando la stessa cifra del racconto: la vendetta della pietra nera su chi credeva di forzarne la potenza e il mistero). Ma darne una lettura simbolica - pur nella molteplicità di simboli, che nelle pagine si offrono e si ritraggono -, dei rapporti segreti e numinosi tra il genere umano e la Madre terra, è fare qualcosa che forse Joan Lindsay non si proponeva. «Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per proprio conto. Poiché quel fatidico picnic ebbe luogo nel 1900 e tutti i personaggi che compaiono nel libro sono morti da molto tempo, la cosa pare non abbia importanza» scrive l'autrice, accennando alla forte intenzione di consegnare alla memoria, non tanto un fatto straordinario, denso di significati, ma un mito. Cioè a dire un evento originario, vivente e da vivere al di là del tempo, presente come modello e ammonizione. E in effetti, ciò che fu di Miranda, bella come un cigno, di Marion, della signorina Greta McCraw e di tutte le persone connesse aIl'Appleyard College possiede del mito l'incanto semplice e autosufficiente. Di uno dei rarissimi miti moderni, venuto inevitabilmente dall'ultima terra che l'uomo ha diviso con le viventi forze primordiali.*

COMMENTO:
Questo libriccino si apre con una scena apparentemente idilliaca: un gruppo di giovani studentesse dell'alta società australiana abbandona il rigore dell'Appleyard College, il giorno di San Valentino, per concedersi un picnic nel campo attrezzato presso la formazione rocciosa nota come Hanging Rock.
Ci sono risate, vestiti di mussola bianca, nastri fra i capelli e bicchieri di limonata, ci sono le risate e le chiacchiere liete delle tre ragazze più grandi, le tre stelle della scuola, punto di riferimento per le compagne ed esempio prestigioso da esibire in società per la direttrice. C'è l'improvvisa voglia di avvicinarsi un po' di più alla roccia, solo un pochino, per poterla osservare meglio. C'è uno stagno, e un fiume che le ragazze attraversano con grazia e leggerezza, come cigni pronti a spiccare il volo.
E le ragazze, da quella passeggiata, non tornano più.

Per certi versi, il romanzo della Lindsey mi ha ricordato le atmosfere rarefatte di “Abbiamo sempre vissuto nel castello”, di Shirley Jackson: scene idilliache su cui l'ombra della tragedia si allunga lentamente, in una spirale sempre più stretta, sempre più opprimente, al punto che, quando ci si rende conto di quello che sta accadendo, è troppo tardi.
Perché la scomparsa misteriosa e inspiegabile di queste tre ragazze e della loro insegnante di matematica è solo il primo, pallido intreccio di quello che si rivelerà un arazzo di sventure, un arazzo che la Lindsey ci mostra piano piano, seguendo con apparente casualità i fili colorati tenuti fra le dita di personaggi che potremmo considerare secondari.
Il romanzo è corale, si inserisce nel tessuto sociale dell'ambiente del collegio e della società che gli gira attorno, e mostra piano piano lo svolgersi delle vite che sembrano essersi fermate con la scomparsa delle tre ragazze.
Ho apprezzato molto lo stile della Lindsey: preciso, pulito, ricco di dettagli, ma sempre attento a non soffocare il ritmo della narrazione. Un ritmo che non è forsennato, ma è più un ritmico battito cardiaco che accelera gradatamente all'aumentare della tensione.

Il mistero della Hanging Rock rimane insoluto, non ci sono risposte, nemmeno lontanamente suggerite. E, la cosa bella, è che non importa. Perché la Lindsey non vuole raccontarci la storia di tre ragazze scomparse, ma vuole raccontarci altro. Vuole raccontarci di quei legami sottili e oscuri che ci legano gli uni agli altri, talvolta impercettibilmente. Vuole raccontare della follia che sorge improvvisamente in una palestra piena di ragazzine beneducate, e vuole raccontarci di come tutto ciò sia, in fondo, terribilmente umano.
Questo libro è un mosaico formato dalle vite dei personaggi più disparati, che seguono strade diverse e talvolta si intrecciano nel più peculiare dei modi. Quello che più ho apprezzato, però, è l'assenza della necessità di spiegare ogni cosa. Non solo il mistero principale, ma anche le varie derive narrative che vengono a galla nel procedere della storia: la Lindsey lancia messaggi, lascia indizi, mette pungoli alla base della nuca del lettore, sfiora tutto con dita delicatissime e poi passa oltre, lasciando al lettore il compito di interpretare l'intreccio dei fili colorati. E alcuni disegni sono chiarissimi, inequivocabili, sono appaganti. Altri, invece, restano sfocati, sullo sfondo, appena oltre il velo della coscienza del lettore.

Ho vissuto la lettura di questo libro come una specie di sogno, un misto fra una visione e un incubo, qualcosa che non si riesce ad afferrare, ma solo percepire. Ma che condiziona in maniera irreversibile l'intero tono emotivo della giornata, per poi tornare, di notte, ad allungare le sue fredde dita.
 

estersable88

dreamer member
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Se avessi cominciato a leggere questo libro saltando la quarta di copertina probabilmente avrei pensato:"Woow" che bel thriller" e "ma che fantasia fervida ha l'autrice!". Invece l'ho letta – prima e dopo aver finito il libro – e posso dirvi che lo stupore rimane come anche la bravura dell'autrice che, anzi, è accresciuta se si pensa che, checché ne scrivano gli editori, a tutt'oggi non vi sono fonti univoche sul fatto che l'evento narrato sia realmente accaduto. Ed il bello di questo libro, la sua particolarità e il suo valore, è proprio questo: l'autrice voleva raccontarci qui un mito moderno, uno scenario plausibile ed i suoi reali o possibili sviluppi. Ciò che rende memorabile questo libro non è la trama, pure resa interessante e avvincente dall'ambientazione e dalla crescente tensione narrativa, ma l'intravedere collegamenti, trame retrostanti, intrecci e concatenazioni di eventi che costruiscono un disegno inquietante perché, appunto, possibile. Il fatto da cui partire è questo: il 14 febbraio del 1900, il giorno di San Valentino, venti ragazze di un esclusivo collegio australiano e le loro insegnanti fanno una gita ad Hanging rock, una suggestiva conformazione rocciosa della zona. Non si sa come, ma due ragazze e un'insegnante scompaiono, non faranno più ritorno dal picnic. Da qui comincia una serie di eventi – alcuni strettamente collegati ed altri apparentemente staccati da questo evento primario – che in pochi mesi cambieranno la vita di molte persone coinvolte. L'autrice in queste pagine ci racconta cose, mette in relazione eventi, e riesce – fatto per me quasi miracoloso – a non farci soffermare sul fatto che siano reali o inventati, a farci accettare come insoluto un caso che non sappiamo nemmeno con certezza se sia mai esistito, a farci andar bene il fatto che non tutto sia spiegato, chiarito, delineato. Tutta la razionalità qui è assorbita, fagocitata dalla fascinazione della storia, dalle sue possibili interpretazioni, dalle sfumature occulte che la pervadono. E per assurdo ci si lascia distogliere dal destino delle scomparse e travolgere dagli eventi, sempre più pressanti, sempre più angoscianti. Un libro bellissimo, dall'atmosfera opprimente e rarefatta, dal ritmo non incalzante ma comunque implacabile. Pagine scritte benissimo, con una prosa studiata per non brillare, ma per lasciare la ribalta alla trama. Un libro che, per le suggestioni che mi ha creato, mi ha ricordato "il giardino delle vergini suicide" di Eugenides, "La donna in bianco" di Collins e perfino "Il castello di Otranto" di Walpole. Assolutamente da leggere.
 
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