Pera, Pia - Al giardino ancora non l'ho detto

IreneElle

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Dalla quarta di copertina:
Per molti versi, avrei preferito non dover pubblicare questo libro, che non esisterebbe se una delle mie scrittrici preferite - non posso nemmeno incominciare a spiegare l'importanza che ha avuto nella mia vita, professionale ma soprattutto personale, il suo 'Orto di un perdigiorno' - non si trovasse in condizioni di salute che non lasciano campo alla speranza. Eppure. 'L'orto di un perdigiorno' si chiudeva con una frase che mi è sempre sembrata un modello di vita, un obiettivo da raggiungere: "Ho la dispensa piena". Oggi questa dispensa, forse proprio grazie alla sua malattia, Pia ha trovato modo di aprircela, anzi di spalancarcela. E la scopriamo davvero piena di bellezza, di serenità, di quelle che James Herriot ha chiamato cose sagge e meravigliose, di un'altra speranza. È davvero un dono meraviglioso quello che in primo luogo Pia Pera ha fatto a se stessa e che poi, per nostra fortuna, dopo lunga riflessione ha deciso di condividere con i suoi lettori. Non posso aggiungere molto, se non raccomandare con tutto il mio cuore la lettura di un libro che, come pochi altri, ci aiuta a comprendere la straordinaria avventura di stare al mondo." (Luigi Spagnol)


Mie impressioni:
“Miracolo: nulla è davvero la fine del mondo quando l’animo sia forte, gli affetti saldi, le risorse interiori tante”.

In un bellissimo giardino della provincia lucchese, Pia Pera, traduttrice di grandi autori russi e appassionata di giardini ed orti a cui ha dedicato libri e articoli sulla rivista la Gardenia, trascorrerà i suoi ultimi anni di vita; morirà infatti a 60 anni a causa di una malattia neurodegenerativa. L’autrice non si piange addosso, ma “chiusa” nel suo giardino, nel suo ultimo capolavoro, ci racconta con una penna erudita, di piante e fiori, a cui non ha ancora detto che non potrà più prendersene cura di persona. E sempre con quella stessa penna erudita ci racconta, in modo pacato, della sua malattia, riflette se decidere di affidarsi ad una clinica svizzera quando sarà il momento, si circonda di pochi intimi amici, si affida alla scienza, ma decide anche di consultare “dispendiosi ciarlatani” (è lei stessa a definirli così). Legge moltissimo e cita tanti autori e libri, si dedica alla meditazione e forse anche per questo vive la progressiva perdita delle sue forze fisiche, ma non mentali, con rammarico certamente, ma anche con grande forza d’animo e di equilibrio.
“Non preoccuparti delle foglie cadute per terra, tieni conto di quelle ancora attaccate ai rami”.

Il giardino rimane non luogo di sfondo, bensì presenza costante in tutte le sue pagine, riflettendo spesso la condizione umana.
“Non sono più il giardiniere. Sono pianta tra le piante, anche di me bisogna prendersi cura. Cosa è cambiato rispetto a prima? Innaffiavo, scavavo, pacciamavo, seminavo, coglievo, rastrellavo, potavo, bruciavo, concimavo, ramavo, tagliavo l’erba. Ora nulla di tutto questo. Passeggio, guardo, valuto, dico cosa fare, ma soprattutto: mi viene preparato da mangiare, mi viene servito a tavola, vengono lavate e stirate le mie cose, vengo accompagnata in auto. Comincio a somigliare sempre più a una pianta di cui bisogna prendersi cura, divento sorella di quanto vive nel giardino, parte di questa sconfinata materia di cui ignoro confini e profondità”.

E’ un libro toccante e profondo, un libro che ci lascia non solo un messaggio leale, ma un esempio da seguire: godere del mondo e delle sue meraviglie.
“Nella luce radente del sole che sta per nascondersi dietro il monte mi fermo felice a guardare, semplicemente guardare il campo di erba fiorita smosso appena dal vento. E’ tutto di una bellezza, una grazia, un’armonia che mi sorprendo a desiderare di vedere un’altra primavera e a pensare, che strano che adesso che ne dubito, che non lo do per scontato, il mondo appaia incredibilmente ricco di meraviglie”.
 
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