Piersanti, Umberto - Anime perse

estersable88

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Enrico ha tagliato la gola a un pescatore per un commento fuori luogo; Mario ha sparato al vicino perché gli rubava la terra. Claudia doveva porre fine alle sofferenze di Lucia; Luisa aveva tutte le ragioni per brindare con la madre, alla morte del padre. Un tempo si chiamavano manicomi criminali, ora sono centri di recupero: ci arrivano persone che non hanno ucciso per interesse o per calcolo, ma in preda alla follia. Da dove vengono, cos'è scattato nella loro testa, e cosa pensano ora, come vivono, al riparo dal mondo? Con delicatezza e immaginazione poetica, senza facili morali e senza mai giudicare, Umberto Piersanti ha condensato in queste pagine le loro storie.

Dove si annida la follia? Da dove vengono quei gesti, quelle azioni, quei comportamenti che senza colpoferire giudicheremmo "orribili", "abietti", "innaturali"? Beh, vengono da vari posti, tutti lontani e poco esplorati… vengono dagli abusi continui e dolorosi, vengono dalle offese, dal disagio, dall'impotenza, dai desideri repressi, dalla voglia di giustizia, una giustizia che non si trova nelle aule dei tribunali, ma che è atavica e implacabile perché viene da dentro. E' da questo "dentro" così oscuro e intricato che nascono il dolore, la ribellione, la rabbia; è da lì che sgorgano quegli istinti che noi normali, noi superiori giudichiamo e condanniamo inesorabili. Ma che cos'è, poi, la normalità? Non sarà forse la scusa che accampa chi non ha il coraggio di assecondarli quegli istinti? Noi, così pronti a storcere il naso, a bacchettare, a riempirci la bocca con "non si fa", "è malato", "curatelo", "è matto", "stia lontano da me", "è pericoloso", siamo così sicuri che con questa realtà non entreremo mai in contatto? Sono queste alcune delle domande che vengono naturali alla fine di questa lettura. E dopo aver letto queste storie, vere per quanto rese meno crude dalla delicatezza poetica e dall'immaginazione dell'autore, sarà decisamente più difficile ergersi a giudici della perdizione altrui. Si può rendere, in qualche modo, accettabile, plausibile, suggestiva, persino bella la miseria umana? Sì, si può, è possibile: basta estraniarsi da sé, liberarsi da tutti i preconcetti, i valori che crediamo cardini della nostra vita, e mettersi in ascolto. Basta ascoltare le parole, captare i pensieri, allineare la mente, osservare con gli occhi di coloro che hanno ucciso, ferito, sgozzato. E allora sì che si percepirà la vita, anche quand'è spezzata, stracciata, scorticata, sarà ancora vita. Ed ecco che si comprenderà la voglia di evasione, di libertà, d'amore, di casa… ed ecco che, dopo le sbarre, l'umiliazione, l'offesa, quel luogo accogliente da cui si vede il cielo e il mare lontano lontano, quella casa con l'orto e i cavoli e l'insalata e le rose e le siepi di bosso e ligustro, non sarà più un ospedale, ma un approdo di pace e tranquillità. Un libro non semplice, ma necessario, perché il pregiudizio si sconfigge solo se si affronta… e solo attraverso il contatto col dolore altrui si può restare, sempre e comunque, persone.
 
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