Singer, Israel J. - I fratelli Ashkenazi

estersable88

dreamer member
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Israel Joshua Singer, fratello di Isaac Singer, affronta il tema dell'ascesa e della decadenza borghese, attraverso le vicende di una famiglia immerse nella storia dell'ebraismo polacco, lungo l'arco di quasi un secolo. Un romanzo di impianto pienamente ottocentesco in cui lo sviluppo borghese si accompagna alla miseria del proletariato, le prime e contraddittorie lotte sociali e la progressiva presa di coscienza da parte dei lavoratori ai dissidi nazionali dell'impero zarista e al suo sfacelo, per arrivare alla rivoluzione e alla costituzione dell'inquieta e caotica repubblica polacca. Singer ricrea in una folla di personaggi, di eventi e di vicende private tutta la fenomenologia culturale, storica e politica di una pagina importante della storia polacca.

Di Israel Joshua Singer avevo letto da poco un altro meraviglioso romanzo, La famiglia Karnowski. Avendolo molto apprezzato, mi sono avvicinata a I fratelli Ashkenazi con fiducia, nonostante le oltre 700 pagine di lunghezza: non mi sbagliavo. Vi ho ritrovato tutta l'immediatezza e la franchezza di esposizione di Singer, nonché il suo modo di ragionare sempre onesto, schietto e diretto, il suo sarcasmo poco velato, la sua capacità di descrivere una città – in questo caso Lodz, nata da un villaggio addormentato e diventata il centro dell'industria polacca – e una società. In particolare, mentre La famiglia Karnowski partiva dalla situazione degli ebrei polacchi a inizio secolo e si spostava con loro nella terra dei gentili, qui Singer rimane a Lodz e si sofferma proprio nel descrivere quella comunità di chassidici chiassosi, pii, intraprendenti che sembrano essere in ogni dove, ma soprattutto sono i padroni del settore tessile. Da qui parte la narrazione di mpiù mezzo secolo di storia, di vita, di lotta. Sì, perché se La famiglia Karnowski era il romanzo delle emozioni, I fratelli Ashkenazi è proprio il romanzo della lotta, della rivoluzione operaia, della sollevazione di classe, dell'intraprendenza, del riscatto e delle sue conseguenze. Il tutto viene raccontato dettagliatamente seguendo – o prendendo quasi a pretesto, ad esempio – le vicissitudini di due fratelli, Simcha Meyer e Jacob Bunim Ashkenazi, due gemelli fra loro molto diversi ed entrambi protagonisti della vita di Lodz in quei decenni. Sarnno soprattutto le vicende del primo dei due, Simcha Meyer, a riempire pagine e pagine di racconto; conosceremo la sua ambizione sconfinata, la forza della sua determinazione e la crudeltà dell'uomo contro l'altro uomo… perché non basta, a volte, essere ricchi, industriali, potenti, guadagnarsi dal primo all'ultimo centesimo: se si appartiene al popolo che è stato puntato come capro espiatorio c'è poco da fare… è la guerra degli ultimi fra gli ultimi questa, è la guerra che strappa il fratello dalle braccia del fratello, che usa le idee per trionfare e poi le sotterra con l'ascia del potere.
Un libro complesso, non sempre facile, ma sicuramente un romanzo appassionante e di sconcertante attualità, che chiunque non sia accecato dall'ego ed abbia un minimo di coscienza sociale dovrebbe leggere. E una volta di più questo libro conferma che Israel Joshua Singer è un narratore eccezionale. Consigliato.
 

elisa

Motherator
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Un grande e classico romanzo in stile Ottocento. Un'epopea vera e propria, ascesa e declino della borghesia ebraica polacca con sullo sfondo gli avvenimenti storici del'epoca. Romanzo potente, evocativo, fiume.
 

MadLuke

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Uno spaccato di crudeltà, miseria, umanità, dell'età contemporanea

Questo romanzo storico narra le vicende di due gemelli ebrei ashkenaziti, completamente diversi tra loro nel corpo e nello spirito: segaligno, cinico e arrivista il primo quanto robusto, dissoluto e bonaccione il secondo. Si principia nella città industriale di Lodz e si snoda nell’arco di quasi un secolo, dalla seconda metà dell’Ottocento con il dilagare della Rivoluzione Industriale in Polonia, fino ai primi decenni del secolo successivo, caratterizzati dallo scatenarsi della Grande Guerra e della Rivoluzione Russa, con le conseguenze che ebbero in tutta l’Europa nordorientale.
Più che la storia dei due fratelli, dei loro familiari o dei concittadini, che comunque vengono presentati con puntuale caratterizzazione e approfondimento psicologico ognuno, a colpire è l’analisi di quelli che sono i veri attori del tempo: le classi sociali, con la conseguente lotta di classe che si trascina per tutta la durata dell’opera. Al di là quindi dei singoli personaggi minori, abbiamo la classe degli operai polacchi, gli operai tedeschi e quelli ebrei. I bottegai ebrei e i commercianti tedeschi, gli industriali polacchi e quelli ebrei. L’aristocrazia tedesca, i trotzkisti russi e gli industriali ebrei. Quello che colpisce infatti è come l’autore metta in evidenza che a prescindere dalla classe sociale, dalla nazionalità o appartenenza politica, gli ebrei siano sempre considerati un corpo separato e distinto della società. Così è come li considerava chiunque non fosse ebreo, con disprezzo per la loro bigottaggine, i costumi antiquati, la loro condotta professionale o abitudini alimentari. Così si consideravano loro, con senso di superiorità, per la fedeltà alla propria tradizione, per la sobrietà dei costumi e il rigore morale. Un essere considerati e considerarsi “altro” che si perde nella notte dei tempi, dalla prima deportazione a opera di Nabucodonosor, che non riuscì mai a corromperli con il pantheon delle divinità babilonesi, fino alla designazione da parte di Lord Balfour di una terra loro dedicata in Palestina.
Per i più di noi, ignorantemente portati a pensare che i diritti dei lavoratori siano un fatto acquisito e scontato (al limite frutto delle lotte del ‘68), così come il fatto che le persecuzioni a danno degli ebrei siano da relegare esclusivamente alla Germania di Hitler negli anni ‘30-40, questo romanzo, che gronda cultura da ogni pagina, ha molto da insegnare. Ed è un insegnamento tutt’altro che astratto: le crudeltà, e ancor più le miserie degli uomini, delle donne, dei bambini, sono rese con tale vividezza da trasmettere a uno sprovveduto lettore come me, ahimé sensibile alla buona scrittura, una carica di negatività e sfiducia nel genere umano, da dover a volte sospendere la lettura. E’ certamente un quadro molto cupo quello tratteggiato dall’autore, che anche sul finale non lascia alcuno spazio al lieto fine, e neanche a qualche redenzione di sorta. Semmai lascia intravedere come nonostante tutto, non venga mai meno una sorta di flebile moto perpetuo cui, tra mille sofferenze, vi si aggrappa l’umanità. Un moto insopprimibile che attinge nutrimento per l’anima, e si rivela, nelle millenarie pagine delle tradizioni religiose.
 
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ayuthaya

Moderator
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Ho iniziato questo romanzo entusiasta di poter aggiungere un contributo così consistente alla mia sfida personale su libri scritti da autori ebrei. Tuttavia non mi aspettavo che I fratelli Ashkenazi mi sarebbe piaciuto così tanto... indubbiamente entrambi i fratelli Singer meritano, ma temevo che anche stavolta sarebbe mancata quella scintilla che non si è accesa quando ho letto La famiglia Karnowskij: bello sì, anzi bellissimo, eppure...
Cos'ha fatto sì che questa volta invece la scintilla sia scoccata? Difficile dirlo, ma questo romanzo mi ha conquistato fin dalle prime pagine. Già la scena iniziale, con la processione di operai tedeschi chiamati in quella che oggi è la Polonia per portarvi la propria abilità di tessitori, ha in sè qualcosa di epico e ci fa comprendere subito che in quest’opera il rapporto con la Storia è un elemento imprescindibile. Le due dimensioni, del collettivo e dell’individuale, sono profondamente intrecciate ed è forse il perfetto equilibrio fra queste due prospettive che mi ha conquistato; la storia del singolo non prevale su quella della comunità, nè tanto meno il contrario: l’una fa parte dell’altra. E la comunità non è solo quella degli ebrei di Lodz, straordinari protagonisti del suo sviluppo da semplice sobborgo a fulcro dell’industria tessile dell’Impero russo; vi sono i poveri operai tedeschi, spesso vittime dell’ambiziosa determinazione degli ebrei, in altre occasioni compagni di sventura.
Le contrapposizioni infatti sono molteplici: vi è quella, insanabile, che attraversa l’intero libro come una ferita, fra ebrei e gentili; vi è poi quella, non meno grave, fra osservanti della tradizione ed ebrei “moderni”, i quali rifiutano qualsiasi segno, esteriore e interiore, della propria appartenenza al “popolo santo”. Vi è infine, ed è quasi un capitolo a sè, il violento conflitto fra la classe operaia e gli oppressori capitalisti, ed è questa un’opposizione trasversale, poichè sia fra gli oppressi sia fra gli oppressori si mescolano ebrei e gentili.

Ma, come dicevo all’inizio, la dimensione collettiva è compensata perfettamente da quella individuale. Ogni personaggio di questo romanzo è a suo modo un eroe: lo è per il modo straordinario in cui l’autore lo ritrae
, benchè spesso sia un modo grottesco, caricaturale (basti pensare al padre di Dinah, grande e temuto industriale che sperpera senza ritegno le proprie sostanze). La maggior parte dei personaggi hanno ben poco di positivo: vi è innanzitutto il capofamiglia Reb Abraham Hirsch Ashkenazi, uomo rude, severo, caparbio, abile commerciante ma allo stesso tempo profondamente osservante delle rigide leggi morali chassidiche, il cui rispetto egli antepone a qualsiasi altra cosa, in special modo all’affetto per sua moglie, la cui posizione in famiglia rispecchia l’avvilente condizione femminile nella comunità ebraica dell’epoca. Vi sono poi i due protagonisti , i fratelli – gemelli – Simcha Meyer e Jacob Bunim: a separarli, un abisso insormontabile; a unirli, la predizione di un rabbino che al fervente ortodosso Reb Abraham Hirsch suona come la peggiore delle maledizioni: “i tuoi figli saranno uomini ricchi”.

Ho paura che se mi soffermassi sulla natura di questi due straordinari personaggi mi perderei, talmente li ho trovati ugualmente e diversamente affascinanti... Perciò solo due considerazioni. Sapete bene il mio debole per i riferimenti biblici e inutile sottolineare che il tema dei “fratelli”, specialmente se antagonisti, è storia nota. Penso soprattutto ai due gemelli Esaù e Giacobbe: il secondo (e secondogenito) inganna il maggiore per ricevere la benedizione della primogenitura. Il parallelo si dovrebbe fermare al forte antagonismo fra i due, perchè nel nostro caso è il primogenito a essere scaltro e avido e non vi è bisogno di alcun inganno ai danni del fratello perchè lui ottenga ciò che vuole. Oltretutto, a differenza di Giacobbe, che comunque resta un personaggio positivo, amato da Dio e capostipite dell'intero popolo di Israele, che da lui prende il nome, Simcha Meyer si afferma come un personaggio totalmente negativo. Tuttavia non si può non riconoscere in lui grandezza profondamente “umana”: tutto ciò che si prefigge di ottenere, Simcha Meyer lo conquista con le sue proprie forze. Unione di cinismo, opportunismo e indiscussa intelligenza, Max Ashkenazi, come si fa chiamare dopo aver abbandonato la tradizione dei suoi padri, è il simbolo di un’intera epoca in un contesto geografico ben preciso... A questo proposito le pagine che chiudono questo romanzo le ho trovate sublimi.

Tuttavia c’è un altro aspetto che mi ha fatto pensare alla coppia Esaù-Giacobbe ed è il modo in cui, al contrario di Simcha Meyer, sembra che a suo fratello tutto riesca facile, naturale; sembra che i continui successi di Jacob Bunim siano ottenuti senza alcuno sforzo da parte sua. Quest’altra faccia della medaglia del successo mi ha fatto pensare ancora a Giacobbe, il benedetto dal Signore, colui che, proprio in virtù di una benedizione “rubata” (e quindi, diciamocelo, non propriamente meritata...), nel corso della sua vita gode di una serie di “privilegi”, segno evidente della benevolenza divina. Ecco, diciamo che si tratta solo di una suggestione, ma mi è piaciuto poter confrontare i due fratelli non solo sul piano del temperamento e della morale, ma anche del loro rapporto con la “ricompensa terrena”: frutto di freddi e spietati calcoli in un caso, premio della divina Provvidenza, la quale non giudica secondo la logica umana, nell’altro.

Per questa e mille altre ragioni, non posso che definire questo romanzo un capolavoro, l'affresco straordinario di una terra, di un’epoca, di un popolo. Consigliatissimo nonostante la mole.
 
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Zingaro di Macondo

The black sheep member
Ho iniziato questo romanzo entusiasta di poter aggiungere un contributo così consistente alla mia sfida personale su libri scritti da autori ebrei. Tuttavia non mi aspettavo che I fratelli Ashkenazi mi sarebbe piaciuto così tanto... indubbiamente entrambi i fratelli Singer meritano, tuttavia temevo che anche stavolta sarebbe mancata quella scintilla che non si è accesa quando ho letto La famiglia Karnowskij: bello sì, anzi bellissimo, eppure...
Cos'ha fatto sì che questa volta invece la scintilla sia scoccata? Difficile dirlo, ma questo romanzo mi ha conquistato fin dalle prime pagine. Già la scena iniziale, con la processione di operai tedeschi chiamati in quella che oggi è la Polonia per portarvi la propria abilità di tessitori, ha in sè qualcosa di epico e ci fa comprendere subito che in quest’opera il rapporto con la Storia è un elemento imprescindibile. Le due dimensioni, del collettivo e dell’individuale, sono profondamente intrecciate ed è forse il perfetto equilibrio fra queste due prospettive che mi ha conquistato; la storia del singolo non prevale su quella della comunità, nè tanto meno il contrario: l’una fa parte dell’altra. E la comunità non è solo quella degli ebrei di Lodz, straordinari protagonisti del suo sviluppo da semplice sobborgo a fulcro dell’industria tessile dell’Impero russo; vi sono i poveri operai tedeschi, spesso vittime dell’ambiziosa determinazione degli ebrei, in altre occasioni compagni di sventura.
Le contrapposizioni infatti sono molteplici: vi è quella, insanabile, che attraversa l’intero libro come una ferita, fra ebrei e gentili; vi è poi quella, non meno grave, fra osservanti della tradizione ed ebrei “moderni”, i quali rifiutano qualsiasi segno, esteriore e interiore, della propria appartenenza al “popolo santo”. Vi è infine, ed è quasi un capitolo a sè, il violento conflitto fra la classe operaia e gli oppressori capitalisti, ed è questa un’opposizione trasversale, poichè sia fra gli oppressi sia fra gli oppressori si mescolano ebrei e gentili.

Ma, come dicevo all’inizio, la dimensione collettiva è compensata perfettamente da quella individuale. Ogni personaggio di questo romanzo è a suo modo un eroe: lo è per il modo straordinario in cui l’autore lo ritrae
, benchè spesso sia un modo grottesco, caricaturale (basti pensare al padre di Dinah, grande e temuto industriale che sperpera senza ritegno le proprie sostanze). La maggior parte dei personaggi hanno ben poco di positivo: vi è innanzitutto il capofamiglia Reb Abraham Hirsch Ashkenazi, uomo rude, severo, caparbio, abile commerciante ma allo stesso tempo profondamente osservante delle rigide leggi morali chassidiche, il cui rispetto egli antepone a qualsiasi altra cosa, in special modo all’affetto per sua moglie, la cui posizione in famiglia rispecchia l’avvilente condizione femminile nella comunità ebraica dell’epoca. Vi sono poi i due protagonisti , i fratelli – gemelli – Simcha Meyer e Jacob Bunim: a separarli, un abisso insormontabile; a unirli, la predizione di un rabbino che al fervente ortodosso Reb Abraham Hirsch suona come la peggiore delle maledizioni: “i tuoi figli saranno uomini ricchi”.

Ho paura che se mi soffermassi sulla natura di questi due straordinari personaggi mi perderei, talmente li ho trovati ugualmente e diversamente affascinanti... Perciò solo due considerazioni. Sapete bene il mio debole per i riferimenti biblici e inutile sottolineare che il tema dei “fratelli”, specialmente se antagonisti, è storia nota. Penso soprattutto ai due gemelli Esaù e Giacobbe: il secondo (e secondogenito) inganna il maggiore per ricevere la benedizione della primogenitura. Il parallelo si dovrebbe fermare al forte antagonismo fra i due, perchè nel nostro caso è il primogenito a essere scaltro e avido e non vi è bisogno di alcun inganno ai danni del fratello perchè lui ottenga ciò che vuole. Oltretutto, a differenza di Giacobbe, che comunque resta un personaggio positivo, amato da Dio e capostipite dell'intero popolo di Israele, che da lui prende il nome, Simcha Meyer si afferma come un personaggio totalmente negativo. Tuttavia non si può non riconoscere in lui grandezza profondamente “umana”: tutto ciò che si prefigge di ottenere, Simcha Meyer lo conquista con le sue proprie forze. Unione di cinismo, opportunismo e indiscussa intelligenza, Max Ashkenazi, come si fa chiamare dopo aver abbandonato la tradizione dei suoi padri, è il simbolo di un’intera epoca in un contesto geografico ben preciso... A questo proposito le pagine che chiudono questo romanzo le ho trovate sublimi.

Tuttavia c’è un altro aspetto che mi ha fatto pensare alla coppia Esaù-Giacobbe ed è il modo in cui, al contrario di Simcha Meyer, sembra che a suo fratello tutto riesca facile, naturale; sembra che i continui successi di Jacob Bunim siano ottenuti senza alcuno sforzo da parte sua. Quest’altra faccia della medaglia del successo mi ha fatto pensare ancora a Giacobbe, il benedetto dal Signore, colui che, proprio in virtù di una benedizione “rubata” (e quindi, diciamocelo, non propriamente meritata...), nel corso della sua vita gode di una serie di “privilegi”, segno evidente della benevolenza divina. Ecco, diciamo che si tratta solo di una suggestione, ma mi è piaciuto poter confrontare i due fratelli non solo sul piano del temperamento e della morale, ma anche del loro rapporto con la “ricompensa terrena”: frutto di freddi e spietati calcoli in un caso, premio della divina Provvidenza, la quale non giudica secondo la logica umana, nell’altro.

Per questa e mille altre ragioni, non posso che definire questo romanzo un capolavoro, l'affresco straordinario di una terra, di un’epoca, di un popolo. Consigliatissimo nonostante la mole.

Fratella mia, sei stupenda. Non ho letto il libro, ma dopo aver assaporato le tue considerazioni è un obbligo che viene dalla mente.
 

gamine2612

Together for ever
Ispirata da voi ho comprato e letto questo libro abbastanza velocemente.
Sono consapevole di quanto sia notevole ed importate quest'opera. Dei grandi significati, delle tematiche importanti che contiene e del suo peso storico.
Mi astengo di ripetere la trama che avete già tutti sviluppato dettagliatamente.
Va letto senza dubbio e da molto al lettore che ne venga incuriosito; tuttavia sinceramente pensavo potesse piacermi di più.
Ho dovuto fare delle ricerche storiche per capire meglio il collocamento temporale preciso di tutte le vicende e mi ci sono persa ogni tanto.
 
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ila78

Well-known member
Finalmente riesco a recensire questo libro.

Io non sono brava come molti di voi qui sopra, che avete già espresso più che bene la bellezza di quest'opera, io mi limito a dire che si tratta di un racconto POTENTE che ti prende per mano, anzi ti trascina, nel cuore delle vicende. Ogni personaggio è meravigliosamente dettagliato e descritto e, nessuno è completamente positivo, anzi sono tutti piuttosto "neri" e il più nero di tutti è proprio il nostro Simcha Mayer/ Max Ashkenazi: cinico, spietato, crudele, avaro, calcolatore, ce le ha tutte...eppure....eppure io l'ho amato, più di suo fratello Jacob, che in apparenza è più facile da apprezzare. Lui è tremendo ma non molla mai, supera l'odio della moglie, le crisi economiche, le persecuzioni, gli scioperi e si arrende solo alla fine, davanti alla morte. Un altro personaggio epico è, secondo me, Tevyeh il tessitore, un altro lottatore indomito, seppure per ideali opposti a Simcha Mayer.
Bellissimo anche l'affresco storico, che inquadra perfettamente una situazione di "intolleranza" e odio verso gli ebrei che sfocerà qualche decennio più tardi nella tragedia del nazismo che tutti conosciamo.
Una lettura imprescindibile, un'opera che non mi spiego perché sia pressoché sconosciuta.
Straconsigliato voto 5/5

PS. Grazie ancora ad Ayu che me l'ha segnalato
 

malafi

Well-known member
Andrò un po’ controcorrente nel commento di questo libro.

No, non dirò che non è un bel libro, perché non si può non apprezzare una saga come questa che ci fa attraversare mezzo secolo e più di storia, con personaggi così ben tratteggiati e per certi versi indimenticabili.
Ma ci sono alcuni però.

Il primo riguarda la scrittura. So bene che gli autori stranieri sono influenzati dalla bontà del traduttore, ma nessuno di voi ha trovato questa prosa …. Fatico da matti a trovare l’aggettivo.
Riesco a dire cosa non è: non trasmette emozioni, non trasmette piacere nella lettura, non è armonica. Non che sia scorretta o troppo lineare ed essenziale. L’ho trovata proprio fastidiosa nel suo essere troppo elementare: ma non elementare come virtù (ci sono scrittori che senza alcun fronzolo ti trasportano in un’altra dimensione), elementare quasi come se scrivesse un giornalista di basso mestiere.
Non sparate sul pianista, ma l’ho letto malvolentieri per questo.
A conferma di ciò, in questi giorni ho iniziato un libro di Remarque. Senza ricordare il fastidio appena passato (non ci pensavo proprio più) giuro che alla quinta riga ho detto: aaaahhhh, adesso sto bene.
Vabbè, gli scrittori che reggono il paragone con Remarque quanto a proprietà di scrittura e poesia nella prosa si contano sulle dita di due mani, dunque il confronto è impietoso. Ma non è stato un confronto voluto. E’ venuto dal subconscio.
A nessuno di voi ha fatto questa impressione? La qualità della scrittura non incide nel vostro giudizio? O ho preso un granchio colossale?

Un’altra cosa che non mi è piaciuta è stato il fatto che le vicende storiche sono state a tratti troppo sullo sfondo: è vero che non è un romanzo storico, però qualche aggancio in più l’avrei gradito.

Ho invece apprezzato:

  • Tutta la parte finale, direi dalla caduta di Max Simcha eccc… fino alla sua morte; qui, dove vincono le emozioni, anche lo scrittore si è emozionato e pure la sua prosa ha guadagnato in qualità (come se prima fosse una semplice cronaca e dopo fosse diventato invece un racconto più intimistico)
  • Il punto di vista di un ebreo anche sui difetti degli ebrei: mi hanno fatto meglio comprendere le motivazioni (NON GIUSTIFICAZIONI, sia chiaro) dell’antisemitismo. Perché dopo aver letto di seguito tanti romanzi di Malamud, dove regna il becero pregiudizio e l’odio per l’odio, faticavo a spiegarmi le motivazioni socio/storico/religiose sulle quali è nato l’antisemitismo dall’alto medioevo (anche se si potrebbe andare molto più indietro) a oggi.
E malgrado ciò, rimango sempre basito rispetto ad un odio lungo secoli ed anzi millenni e di fronte alla profondissima ignoranza di chi l’ha alimentato, ma anche di chi – oggi nel 2020 – non ha idea di cosa sia l’antisemitismo.
 

Grantenca

Well-known member
Magnifica saga familiare di famiglie ebraiche nella Polonia a partire dalla metà del secolo diciannovesimo secolo fino all’insediamento del bolscevismo.
Un bellissimo libro, che, al di là del valore letterario, comunque buono ma non eccelso,(forse dipende dalla traduzione) mi ha conquistato dal punto di vista storico per la descrizione della società ebraica in quel contesto e in quei tempi.
L’ebraismo, religione che ha qualche millennio in più del cristianesimo, mi ha sempre interessato,(a grandissime linee ovviamente, essendo io l’esatto contrario di un appassionato di religioni) soprattutto per l’esito nefasto che ha avuto per l’intera comunità ebraica europea l’appartenenza a tale razza.
E’ una religione severa e terribile, con tutti i suoi riti dove la forma è sostanza e tutta rivolta a salvare la persona dopo la morte. In questa vita, dove il potere dei genitori sui figli è assoluto, i ricchi devono sì, aiutare i poveri, per essere in pace con il proprio Dio, ma in un contesto di rigidissima distinzione tra le classi sociali, dove la fortuna e la ricchezza è il principale (se non unico) indicatore dell’appartenenza di classe.
C’è una rigidissima differenza tra garantire ai poveri una dignitosa solidarietà almeno in occasione dei principali riti religiosi e la spietatezza negli affari, prassi accettata e consolidata da tutti. C’è poi lo stato sociale delle donne che, se già nel cristianesimo non è troppo allegro, in quegli anni nell’ebraismo è al limite del servilismo.
Per quanto riguarda i rapporti con i cosiddetti “gentili”, alla luce delle persecuzioni che ogni tanto gli ebrei subiscono soprattutto nei periodi di carestia è emblematica una riflessione del protagonista verso l’epilogo del libro. “Fin dall’antichità i gentili avevano sempre offeso l’ebreo, lo avevano torturato e piagato: l’ebreo in silenzio aveva sopportato tutto, sapendo di essere un agnello tra i lupi. Lottare contro chi è più forte è folle, e se l’ebreo si fosse comportato come il gentile sarebbe già stato spazzato via dalla terra da tempo. ……..l’ebreo non poteva credere nel concetto di onore come loro credevano; così era riuscito a tirare avanti e a volte l’ebreo era diventato così forte che gli stessi gentili erano stati costretti a chiedere il suo aiuto, pur dopo averlo coperto do ingiurie.”
Non posso non pensare, dopo queste parole, alla shoah, tanto più che in questa zona c’era il maggior numero di ebrei in Europa ed anche perché, proprio nella zona dove si svolgono i fatti c’era stato proprio in quei giorni un sanguinoso “pogrom”.
Che sia dovuto solo al caso se il nazismo, proprio in quelle zone, abbia costruito i principali campi di sterminio?. Forse sì, ma certamente sapevano che, con i residenti locali, non ci sarebbero stati problemi.
Inutile dire che il libro è consigliatissimo.
 
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