Simenon, Georges - Il caso Saint-Fiacre

ayuthaya

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Di Simenon, che ho scoperto grazie a due piccoli capolavori “non Maigret”, ho voluto alla fine conoscere anche i gialli della famosa serie: dopo un primo approccio del tutto positivo con Pietr il Lettone, è stata la volta de Il caso Saint-Fiacre, una delle avventure più celebri del noto commissario. Entrambi i romanzi hanno confermato ciò che avevo appreso dalle recensioni in internet e cioè che i gialli di Simenon hanno un’impostazione del tutto differente, per non dire opposta, rispetto a quelli della cara zia Agatha: si tratta cioè di storie in cui ciò che conta non è tanto il disvelamento del colpevole, magari attraverso un colpo di scena finale che porta alla luce un intreccio complicatissimo e quasi impossibile da intuire in media res, quanto l’aspetto umano della vicenda. Ed è infatti questo ad avvicinare il Simenon giallista al Simenon romanziere (sebbene anche nei suoi libri non propriamente polizieschi vi sia sempre una componente di mistero o persino esplicitamente giudiziaria).
Per farla breve, quello che interessa a Simenon non è lasciarci col fiato sospeso prima e con gli occhi sgranati poi, ma raccontare, dietro al meccanismo narrativo “omicidio – indagine – scoperta del colpevole”, l’umanità dei personaggi (siano essi la vittima, il commissario o, perchè no?, l’assassino stesso).
Ne Il caso Saint-Fiacre, Maigret torna nel proprio paese d’origine, a contatto con luoghi e persone che lo hanno accompagnato nella sua infanzia, e proprio il continuo sorgere di ricordi e di inevitabili confronti nostalgici fra passato e presente occupa gran parte del romanzo. Molto bella è la figura della contessa, personaggio circonfuso, nella memoria del commissario, da un’aura di intoccabilità e quasi immaterialità, dovuta alla nobiltà del sangue ma anche a un personale innegabile fascino, e ora, molti anni dopo, trasformata non solo in “cadavere”, ma in una donna perduta quando era ancora in vita, la quale può essere criticata, fatta oggetto di pettegolezzi, persino compatita. Una dea desacralizzata.
Al centro del romanzo, quindi, non vi è tanto un assassino da scoprire, quanto un difficile confronto fra il presente reale e il passato dei ricordi, fra nobiltà del sangue e nobiltà dello spirito. Non per niente l’impressione che ho avuto è che la scoperta del colpevole fosse quasi un “accessorio” (in cui fra l’altro Maigret c’entra poco o niente: il suo merito si limita alla spiegazione di dettagli secondari) a quello che è il vero interesse di Simenon: l’essere umano, soprattutto quando si sente oppresso, in crisi, costretto suo malgrado a fare i conti con se stesso. In questo caso l’uomo in questione è il conte di Saint-Fiacre, figlio ed erede della vittima, e poco importa che sia lui o no il colpevole (e certamente non lo dirò qui): ciò che conta è il modo in cui la morte di sua madre lo costringe a rialzare la testa, a “reagire”.
In conclusione, se come me siete amanti del “meccanismo” del giallo e del suo disvelamento, dovrete cambiare prospettiva per apprezzare i romanzi di questo scrittore, ma è un piccolo sforzo che vale sicuramente la pena fare.
 
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