Cardaci, Giacomo - Zucchero e catrame

estersable88

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Cesare è un bambino che chiacchiera e gioca a Memorycon il suo circolo multietnico di Barbie, ha scelto Inesdetta Lines come amica per non rimanere da solo in filaa scuola, passa i suoi pomeriggi con una anziana che locosparge di profumo, detestata dai suoi genitori perché fomen- ta le sue stramberie. La sua vita di paesesarebbe potuta continuare sempre uguale, se astravolgerla non fosse arrivato il trasferimento di tutta lasua famiglia in un monolocale ai bordi miserabili traMilano e Cinisello.Al piano di sopra, però, abita Gabbo,da cui Cesare, ormai cresciuto, è dannatamente eccitato,perché Gabbo è tutto ciò che Cesare vorrebbe essere:uno deciso a prendersi dalla vita tutto, costi quel checosti. Per questo, quando suo padre viene arrestato, lamadre si rifugia nel letto, il fratello scompare, Cesaredecide di risalire dal fondale del proprio abbandonoseguendo le tracce di Gabbo. Per entrare nel giro, però,Cesare deve smettere di essere Cesare, dire di sì a ognitipo di richiesta ma anche abbandonarsi a unafascinazione morbosa simile a quella che prova perGabbo. Una fascinazione che lo eccita come lo zuccheroed è ripugnante come il catrame, e che alla fine glichiederà un conto molto, forse troppo, salato. GiacomoCardaci torna al romanzo con una storia feroce, a trattispiazzante, in cui i margini opachi tra disonestà,innocenza, odio, rabbia, si dissolvono, e i lettori sarannomessi di fronte ai desideri inconfessabili che sinascondono in ognuno di noi.

Cosa porta un ragazzo introverso, un adolescente dai capelli chiari e la faccia pulita, a dover scontare tre anni di carcere? Come ci arriva, un ragazzo così, a commettere un reato? Ce lo spiega subito, Cesare, che il crimine non nasce mai dal nulla, non è mai un petardo isolato, lanciato nel niente: ha radici lunghe e pelose che scavano dentro, nel profondo, e lasciano sgorgare, crescere, sedimentare l'odio. Prima di cominciare la scuola, di andare in quel brutto collegio che piaceva tanto alla madre, Cesare era se stesso. E come avrebbe potuto non esserlo? Era un piccolo oratore, sensibile, solitario, a soldatini e macchinine preferiva di gran lunga le Barbies; si prendeva cura di loro, le vestiva, le pettinava, ci parlava. A sua madre questo non piaceva molto, ma comunque lo lasciava fare; suo padre, invece, appena lo vedeva giocarci gliele sequestrava o peggio, le buttava via. Un giorno, però, qualcun altro ha scoperto il suo segreto e no, non l'ha presa bene. Chi avrebbe dovuto educare, spingere verso l'inclusione e l'accettazione, aveva invece reagito ghettizzando, punendo, umiliando, accusando. E' da lì, da quell'ingiustizia fatta alla sua Miss Raperonzolo, che dentro Cesare nasce il seme dell'odio. Un seme che cresce davanti alla vergogna di suo fratello, agli insulti e agli sberleffi dei compagni e che trabocca col trasferimento della famiglia a Milano dove i soldi sono pochi e i rischi tanti. Ma a Milano Cesare incontra Gabbo, un ragazzo sicuro, spavaldo, forte, così diverso da lui. Inevitabilmente Cesare ne è attratto, a dirittura se ne innamora. Ma il rapporto con Gabbo non decolla, suo padre è stato arrestato per i suoi loschi traffici, la madre è annichilita, il fratello distante. Cesare è solo, in preda all'odio peggiore, quello contro se stesso… e cade. Cade giù, sempre più in fondo, nei rapporti con gli altri, nelle azioni, nei pensieri, nell'autostima. Ecco come ci si arriva, infine, al crimine. Ci si arriva smettendo di essere se stessi, spingendosi sempre un po' più in là, allontanandosi dai propri sogni e desideri per soddisfare spasmodicamente quelli degli altri, nella necessità fisica di piacere, di essere approvati, parte di qualcosa, non più soli… nel bisogno totalizzante, fisiologico e insopprimibile di un po' d'amore. E si potrebbe dare la colpa alla famiglia sfasciata, alla scuola che svolge male il suo compito, a chi non è mai stato davvero a sentirlo quel ragazzo dai capelli chiari che parla come una femmina. E si può dare la colpa alla periferia, al degrado, alla tecnologia, a questa società marcia che spinge sempre a voler avere di più in una smania di individualismo e potere. Ma la verità è che forse non serve più, non serve colpevolizzare aposteriori, non si può giudicare tenendo conto solo della legge, non si può lasciare un ragazzo in balia dei propri demoni in ossequio a convenzioni sociali create, poi, da chi? E storie come quella di Cesare si conoscono poco, ma è terrificante pensare a quanto siano vergognosamente quotidiane, presenti, ad incancrenirci accanto senza che noi non solo non facciamo nulla, ma a volte non ce ne accorgiamo neppure. E allora grazie, grazie a chi, come Giacomo Cardaci, attraverso la cultura, la scrittura, più raramente i media, ci impone di guardarle e di guardarci in faccia.
Zucchero e catrame è una batosta, un colpo secco, un romanzo cupo, claustrofobico, intenso, lucido, profondo, necessario, perché senza clamori, con parole dirette ed esplicite, chiamando le cose col loro nome e parlando il linguaggio della gente, ci mette davanti a ciò verso cui di solito voltiamo lo sguardo. Non lo consiglio a chi non sa guardare oltre la sua moralità, a chi si assolve sempre e comunque, a chi direbbe "Io non c'entro", a chi "Eh ma questi ragazzi"… a tutti gli altri, buona lettura!
 
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