Queneau, Raymond - Piccola cosmogonia portatile

elisa

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[FONT=&quot]Con la [/FONT][FONT=&quot]Piccola cosmogonia portatile[/FONT][FONT=&quot] Queneau ha voluto realizzare un equivalente moderno del [/FONT][FONT=&quot]De rerum natura[/FONT][FONT=&quot] di Lucrezio, rivissuto in chiave giocosa ma scientificamente preciso, aggiornato a quelle che erano le conoscenze delle varie discipline nel 1950, quando il libro uscì per la prima volta in edizione originale. In sei canti (come Lucrezio) Queneau esplora gli orizzonti dell’astronomia, della geologia, della biologia, della chimica e della storia delle tecniche umane; non solo, ma enuncia anche i lineamenti di una sua filosofia della natura e riesce a trasmettere una sorta di commozione cosmica riflessa dalle vicende dell’universo e dell’uomo. La [/FONT][FONT=&quot]Piccola cosmogonia portatile[/FONT][FONT=&quot] concentra alcune delle caratteristiche più peculiari di Queneau: l’enciclopedismo, il fascino per la matematica, la contaminazione fra lessico scientifico e stile poetico, il rapporto fra le strutture formali della natura e le infinite espressioni di vita. «Intraducibile» per definizione, questo poema ha spinto un poeta di inesauribile curiosità intellettuale come Sergio Solmi a cimentarsi in una traduzione in versi. Ne è nato, nel 1982, un testo poetico italiano pieno di tensione e di slancio, una versificazione folta, vibrante e arguta. Che attendeva da tempo di essere accolto in questa collana. In appendice, la [/FONT][FONT=&quot]Piccola guida alla “Piccola cosmogonia”[/FONT][FONT=&quot] di Italo Calvino, un saggio che analiticamente ripercorre i sei canti e ne illumina il senso e molte invenzioni linguistiche. (quarta di copertina)

Devo confessare l'estrema difficoltà a comprendere questo testo, se non a tratti e nelle ultime parti, quando forse mi sono abituata allo stile e ai contenuti scientifici assai complessi da collegare. Lo stile è incredibile e il piacere della lettura, anche se incomprensibile, resta. Certo, solo per amatori.

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La nascita dei numeri


(…) Una volta le cifre, ami di zeri
infinitamente diversi, lentamente bollivano nell'atomo,
indefinitamente nude, indefinitamente insulse,
ma il loro conto era buono, ed eccole valorose
a cavalcare l’esplosione. Oh gioventù, oh gioventù,
quando il grafo era un bel solco tra le tue chiappe,
nebulosa ostinata, e il tuo scoppio erompeva
da un punto primevo della possibilità dei mondi,
tutti ancora implumi, tutti ancora fanciulli,
e i numeri si azzuffavano nella loro solitudine;
ed eccoli vincitori a cavallo dell’ampiezza
del bubbone forato del germe che sgorga
dalla crosta sconnessa, e dal fuoco magistrale
della piaga spurgata e del seme verticale,
ed eccoli coglioni nella loro soddisfazione
unirsi babbei nelle loro addizioni
e ritirarsi stupidi nelle loro sottrazioni
e riprodursi nelle moltiplicazioni
e ben sprofondarsi in ogni divisione
e ingrandirsi molto nell'elevamento a potenza
e gingillarsi in semplici logaritmi
e ben compiacersi in cumuli di algoritmi.
Gioventù, oh gioventù, oh quando l’uno corteggiava il due
senza sapere che il suo fottere ne avrebbe estratto il terzo,
quando i segni dell’algebra addolcivano i loro giochi,
quando le uguaglianze riposavano nel fegato
allora analcolico dell’atomo adiposo
e che l’informe quattro, piccolo spermatozoo,
tentava di accostare l’ovulo aritmoide,
quando il pus degli errori non gocciolava
dalla prova del nove o dall'orgoglio contabile.
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