Medel, Elena - Le meraviglie

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Che peso ha la famiglia in una vita? Quanto contano il luogo, il tempo e il corpo in cui si nasce? E i soldi? Se lo è domandato spesso María che alla fine degli anni Sessanta ha dovuto lasciare la sua città del Sud e la sua bambina per cercare fortuna a Madrid. E se lo chiede anche Alicia che da quella stessa città, negli anni Duemila, è partita per la capitale. Anche se per ragioni diverse, a guardare bene gli eventi, i segni, gli schemi, Alicia sembra ricalcare le orme di María. Non si conoscono, María e Alicia, e tra le strade che entrambe percorrono inconsapevoli si sono sfiorate una volta, per caso. A unirle una storia segreta, un legame invisibile che passa attraverso Carmen, figlia e madre, ombra silenziosa del passato.
Anche ora che è finalmente in pensione María non ha abbandonato la lotta. Da Carabanchel, il quartiere operaio di Madrid in cui vive da quando è arrivata alla fine degli anni Sessanta dall'Andalusia, ha assistito alle trasformazioni radicali del suo Paese dopo la dittatura di Franco, e da qui si batte per i diritti delle donne di questo nuovo secolo. È forte, e sola, e stanca forse, María: ha sempre lavorato duramente al servizio di persone più ricche di lei, sopportando la fame, la fatica, cercando di non pensare agli occhi della bambina a cui non ha potuto fare da madre. E senza mai riscatto, né perdono. Alicia lavora nella stazione di Atocha, «in un negozio di panini e caramelle, quello che sta vicino ai bagni», specifica quando si presenta. Si è trasferita dal Sud a Madrid per studiare cinema – proposito presto dimenticato – alla vigilia della crisi economica del 2008, e da allora si accontenta di qualsiasi attività remunerata, matrimonio tedioso incluso. Alicia prova spesso invidia, in particolare nei confronti della persona che avrebbe potuto essere. È nata ricca, Alicia, figlia fortunata del titolare di un piccolo impero della ristorazione: il suo futuro si annunciava luminoso. Ma le cose sono andate in maniera diversa, e lei si è rassegnata a fare i conti ogni giorno con gli incubi più neri. María e Alicia non si conoscono, eppure sono nonna e nipote. Nella città che riluttante le ha accolte si sono sfiorate una volta, e forse molte altre, per caso. A legarle in modo invisibile un'assenza, quella di Carmen, figlia e madre, ombra silenziosa del passato. E ad affliggerle, gli stessi interrogativi: come sarebbe stata la loro vita se fossero nate in un altro luogo, in un'altra epoca, in un altro corpo? Dalla periferia metropolitana, tra appartamenti in affitto, autobus lenti e affollati, bar modesti comunque troppo cari, in mezzo a chi deve lavorare per sopravvivere. È dal cuore pulsante della realtà che Elena Medel scrive, tracciando il ritratto implacabile di un'Europa segnata dal precariato, e dal patriarcato, attraverso la voce di due donne dallo sguardo disilluso, ma che in fondo non smettono di sperare in un mondo in cui non siano i soldi, o la loro mancanza, a definirle.

Una nonna, una nipote e un ponte interrotto fra loro che non si conoscono: manca il collegamento, ad una manca la madre, all'altra la figlia. Sono Maria, la nonna, Alicia, la nipote e Carmen, l'anello mancante, simbolo di una società rappezzata che fa fatica a ritrovarsi, a riconoscere i suoi stessi membri. Il precariato, il patriarcato, il potere del denaro che stabilisce relazioni e priorità hanno condizionato le esistenze di queste donne contribuendo ad allontanarle ed a spegnerne aspirazioni e speranze. Sono diverse, Alicia e Maria, la prima è rassegnata, la seconda lotta ancora, eppure sono simili nelle loro vite parallele. A noi non resta che osservarne la disgregazione, di pari passo con l'oblio indotto dalla società, e riflettere sullo stato di precarietà che riguarda un po' tutti noi. Lo stile con cui Elena Medel ci racconta questa storia non è piacevole, anzi pare quasi svagato, distratto, volutamente confuso… c'è un che di grigio, di sporco, di trascurato nella sua narrazione e, man mano che si prosegue nella lettura, si ha quasi la certezza che questo modo di narrare non sia casuale. A me, per la verità, questo stile non è piaciuto particolarmente, mi ha spento l'entusiasmo… ma tant'è, la storia vale la pena di essere letta, perciò occorre farsi piacere anche lo stile dell'autrice, tanto più se è stato una scelta. Lo consiglio? Sì, non foss'altro che per le riflessioni che ci induce a fare, in un tempo in cui sempre meno spesso ci obblighiamo a riflettere sul nostro vivere, preferendo procedere nell'inerzia del vittimismo e dei giorni sempre uguali a se stessi.
 
Alto