Tiziano Terzani – Buona notte, Signor Lenin
Quando il 19 agosto del 1991, da Mosca, giunse la notizia della destituzione di Gorbacev, ad opera dei golpisti, il vento di una svolta epocale soffiò, non solo sull’Unione Sovietica, ma sul mondo intero.
L’Amur, il grande fiume siberiano che separa il confine tra l’Unione Sovietica e la Cina, fu testimone della scelta che portò Tiziano Terzani ad intraprendere un viaggio che lo avrebbe portato a Mosca, passando attraverso quelle Repubbliche che, alla notizia del disfacimento dell’Impero Sovietico, si dichiararono indipendenti.
Un cammino verso Ovest, passando attraverso la Siberia, il Kazakhstan, Samarcanda, città mitica per l’autore, e poi ancora, facendo tappa in Turkmenistan, in Azerbaijian, Georgia, Armenia per giungere, finalmente, a Mosca, sulla Piazza… non più “Rossa”.
Due mesi di vita che si raccontano in questo viaggio, perché questo non è solo un libro, ma anche un lungo viaggio e Terzani ci accompagna, ci guida, lungo un cammino fatto di popoli, di luoghi, di profumi, di pensieri, di usi e costumi, di gesti, di occhi, di volti e sguardi diversi.
Il suo non è lo sguardo di un giornalista qualunque: “… son voluto andare fino a Mosca, non per parlare con gli esperti, non per vedere i colleghi o ragionare con i diplomatici, ma semplicemente per passare un’ora sulla Piazza Rossa… per entrare in quel mausoleo dove lui, Lenin, è rimasto per decenni a fare da simbolo ispiratore di tutto, a fare, così imbalsamato, da modello per tutte le altre mummie del comunismo…”
E’ lo sguardo di colui che guarda a questo mondo con gli occhi di un uomo avido, bramoso di documentare il “crollo epocale” di un impero, di un sistema osannato, auspicato, temuto.
E quale miglior modo, se non quello di calcare il terreno ove, settant’anni prima, il Comunismo Russo giunse per imporsi con i suoi ideali, i suoi principi, i suoi monumenti: “Lenin era sempre lì, dovunque presente con il berretto o il giornale in una mano e l’altra alzata per indicare il futuro o semplicemente l’orizzonte vuoto. Le sorti di queste statue hanno marcato questo mio ultimo viaggio”.
Terzani va alla ricerca del “cadavere del comunismo”, ma finisce per toccare con mano delle realtà ben diverse. Una miseria deprimente, una rassegnazione aberrante, una difficoltà nell’andare avanti, anche solo per cercare del comune sapone da barba, in ogni città, in ogni paese: “Niet, Niet, è sempre stata la risposta”. Il Comunismo qui è già “deceduto” da tempo, si tratta solo di “elaborare il lutto”.
Il suo vuole essere un monito. Quello che sorge dalle ceneri di questa “utopia” è un pericoloso nazionalismo covato per anni e anni e ora sostenuto da una nuova forza, l’ISLAM. E’ un Islam vigoroso, nel pieno di una nuova primavera e fomentato da un integralismo latente, nel cuore di chi, per anni, ha subito il Comunismo, auspicandone la sua disfatta.
L’autore scruta l’animo degli uomini che incontra, a volte li odia e lo dice apertamente, altre li commisera, cercando di comprenderli, spesso li ammira.
Voglio immaginare Tiziano Terzani seduto nell’hotel di Samarcanda, a festeggiare il suo compleanno e ad osservare il genere umano, credo fosse quello che più amava fare, ne sono prova le sue descrizioni, le foto scattate durante i suoi viaggi, foto di “un’umanità in attesa”.
Ma come tutti i viaggi, anche questo ha una fine, ed è quando il giornalista giunge a Mosca, sulla Piazza Rossa, nel mausoleo di Lenin, e si accorge di provare pietà anche per “quest’altro cadavere” e, guardandolo un ultima volta, con lo sguardo di un uomo, sorridendogli bisbiglia: “Buona notte, Signor Lenin”.
Quando il 19 agosto del 1991, da Mosca, giunse la notizia della destituzione di Gorbacev, ad opera dei golpisti, il vento di una svolta epocale soffiò, non solo sull’Unione Sovietica, ma sul mondo intero.
L’Amur, il grande fiume siberiano che separa il confine tra l’Unione Sovietica e la Cina, fu testimone della scelta che portò Tiziano Terzani ad intraprendere un viaggio che lo avrebbe portato a Mosca, passando attraverso quelle Repubbliche che, alla notizia del disfacimento dell’Impero Sovietico, si dichiararono indipendenti.
Un cammino verso Ovest, passando attraverso la Siberia, il Kazakhstan, Samarcanda, città mitica per l’autore, e poi ancora, facendo tappa in Turkmenistan, in Azerbaijian, Georgia, Armenia per giungere, finalmente, a Mosca, sulla Piazza… non più “Rossa”.
Due mesi di vita che si raccontano in questo viaggio, perché questo non è solo un libro, ma anche un lungo viaggio e Terzani ci accompagna, ci guida, lungo un cammino fatto di popoli, di luoghi, di profumi, di pensieri, di usi e costumi, di gesti, di occhi, di volti e sguardi diversi.
Il suo non è lo sguardo di un giornalista qualunque: “… son voluto andare fino a Mosca, non per parlare con gli esperti, non per vedere i colleghi o ragionare con i diplomatici, ma semplicemente per passare un’ora sulla Piazza Rossa… per entrare in quel mausoleo dove lui, Lenin, è rimasto per decenni a fare da simbolo ispiratore di tutto, a fare, così imbalsamato, da modello per tutte le altre mummie del comunismo…”
E’ lo sguardo di colui che guarda a questo mondo con gli occhi di un uomo avido, bramoso di documentare il “crollo epocale” di un impero, di un sistema osannato, auspicato, temuto.
E quale miglior modo, se non quello di calcare il terreno ove, settant’anni prima, il Comunismo Russo giunse per imporsi con i suoi ideali, i suoi principi, i suoi monumenti: “Lenin era sempre lì, dovunque presente con il berretto o il giornale in una mano e l’altra alzata per indicare il futuro o semplicemente l’orizzonte vuoto. Le sorti di queste statue hanno marcato questo mio ultimo viaggio”.
Terzani va alla ricerca del “cadavere del comunismo”, ma finisce per toccare con mano delle realtà ben diverse. Una miseria deprimente, una rassegnazione aberrante, una difficoltà nell’andare avanti, anche solo per cercare del comune sapone da barba, in ogni città, in ogni paese: “Niet, Niet, è sempre stata la risposta”. Il Comunismo qui è già “deceduto” da tempo, si tratta solo di “elaborare il lutto”.
Il suo vuole essere un monito. Quello che sorge dalle ceneri di questa “utopia” è un pericoloso nazionalismo covato per anni e anni e ora sostenuto da una nuova forza, l’ISLAM. E’ un Islam vigoroso, nel pieno di una nuova primavera e fomentato da un integralismo latente, nel cuore di chi, per anni, ha subito il Comunismo, auspicandone la sua disfatta.
L’autore scruta l’animo degli uomini che incontra, a volte li odia e lo dice apertamente, altre li commisera, cercando di comprenderli, spesso li ammira.
Voglio immaginare Tiziano Terzani seduto nell’hotel di Samarcanda, a festeggiare il suo compleanno e ad osservare il genere umano, credo fosse quello che più amava fare, ne sono prova le sue descrizioni, le foto scattate durante i suoi viaggi, foto di “un’umanità in attesa”.
Ma come tutti i viaggi, anche questo ha una fine, ed è quando il giornalista giunge a Mosca, sulla Piazza Rossa, nel mausoleo di Lenin, e si accorge di provare pietà anche per “quest’altro cadavere” e, guardandolo un ultima volta, con lo sguardo di un uomo, sorridendogli bisbiglia: “Buona notte, Signor Lenin”.
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