Camus, Albert - La Peste

oea

New member
La città di Orano, assediata dalla peste, è metafora molteplice.
Della condizione umana, assediata dalla morte che la rende assurda.
Della polis libera che cerca senso e valore nella cultura condivisa, assediata dalla guerra e dalle ideologie totalitarie.
Della libertà e della solidarietà, assediate dalla violenza cieca delle ideologie totalitarie che sembra poterne annullare il valore salvifico.

La trama ruota intorno ad alcuni personaggi:
Il Dottor Rieux, che combatte la peste senza permettere ad altro di distrarlo dal compito, ma conservando al centro dell'attenzione, come valori preziosi per la sua lotta, tutti i propri affetti: la madre e l'amico Tarrou anzitutto.

Il giornalista Rambert, che rinuncerà a lasciare la città, perché ormai ha compreso il valore supremo della solidarietà, superiore alla libertà stessa.

L'impiegato Grand, con cui Rieux discute di arte e letteratura. Quando la peste toglie l'assedio, Grand e Rieux sono fra i pochi sopravvissuti. E proprio in quel momento Grand risolve il suo problema di stile, che fino ad allora gli aveva impedito di andare oltre l'incipit del suo romanzo (la lezione che Camus mette in bocca a Grand è tale da essere preziosa per ogni aspirante scrittore).

Padre Paneloux, che si aggrappa alla sua fede per cercare di dar senso all'assurdo, in confronto con Rieux che non vuole speranze consolatorie in un altro mondo, ma amicizia e verità.

E' fra i libri più grandi del Novecento. Fu riconosciuto subito come tale, e valse all'ancor giovane Camus il Pemio Nobel per la Letteratura.

Credo che chi non lo ha ancora letto, debba farlo. Si può non amare questo libro (anche se mi riesce difficile capire come), ma ignorarlo è come ignorare le opere di Dostoevskij, o di Kafka: senza le premesse poste da questi tre geni, non si può comprendere la condizione moderna, non si può neppure cominciare a cercare di capire chi siamo, noi contemporanei, e come siamo arrivati ad essere quello che siamo.
 

isola74

Lonely member
Devo dire che, sebbene mi sia piaciuto, questo libro non mi ha convinta al cento per cento..forse perchè mi aspettavo troppo e le aspettative, si sa, raramente sono soddisfatte a pieno :??
Inizialmente mi ha ricordato Cecità di Saramago, ma poi Camus non riesce a fare il grande salto e resta un passo indietro.
Comunque consiglio di leggerlo, perchè ci fa riflettere sui mali della società (la peste secondo me è solo uno dei tanti) e sulle diverse reazioni umane, e ci fa chiedere: come reagirei io??
 

lillo

Remember
Cara isola74 mi dispiace che tu non abbia apprezzato fino in fondo la bellezza di questo romanzo, che io rileggo ogni volta che cerco di trovare un giusto equilibrio nel mio affrontare l'assurdo.
Infatti la figura di Rieux è per me, metafora ed archetipo dell'uomo che combatte il male assoluto perchè altra scelta non ha. E' un personaggio che invita a non piegarsi mai, a non voltare le spalle al dolore che la vita talora ci mette di fronte; ma affrontarlo con serenità senza nessun cinismo ed intolleranza.
Ti consiglio, per approfondire le tematiche della Peste e dell'opera di Camus in generale, questo bellissmo 3d di qualche tempo fa.

http://www.forumlibri.com/forum/showthread.php?t=3510
 
Ho letto La Peste e Lo Straniero e mi ha affascinata il senso di non "umanizzazione" della società.
I personaggi di Camus sono in eterna rivolta, esigenza che nasce dalla razionalità che si oppone all'irrazionalità del mondo.
Io amo moltissimo la rivolta ma non voglio confondervi, non ha nulla a ché vedere con la rivoluzione di cui molti si riempiono la bocca.
La rivolta di cui parla Camus non tiene conto di un futuro, né di un riscatto per l'uomo. La rivolta è dettata dalla scelta e dal momento. La rivoluzione (e il riferimento storico del tempo si basava sulla rivoluzione russa) invece, pretendeva di trovare posto nella storia e, secondo Camus, non si poteva convertire la Storia in un nuovo Assoluto.

Vi posto un brano de La peste in cui è raffigurata la rivolta secondo Camus.

(piccolo preambolo per chi non l'ha ancora letto: il brano narra di un ragazzo colpito dalla peste, e potrete leggere una delle varie descrizioni di morte che ci sono nel romanzo. In questo viene descritta un'epidemia di peste che dall'aprile al dicembre del 194.. - l'anno non è indicato precisamente - si diffonde a Orano, in Algeria. I vari personaggi mostrano atteggiamenti diversi; c'è chi interpreta la peste come un castigo divino contro l'umanità corrotta come padre Paneloux, chi la sfrutta come occasione per arricchirsi, chi si impegna per curare quanti ne sono colpiti e per debellarla come il dottor Rieux. Ci sono poi personaggi come Tarrou, un volontario laico, e Castel e Lambert colleghi del Dottor Rieux. Padre Paneloux è un personaggio importante del romanzo; in un solenne discorso pubblico ha sostenuto che l'epidemia è un segno di Dio, una punizione da Dio voluta per i peccati degli uomini. Non vi dico come va a finire, leggetelo se pensate che vi possa interessare).


Il ragazzo, con gli occhi chiusi, sembrava calmarsi un poco. Le mani, divenute simili ad artigli, tormentavano adagio le sponde del letto; risalivano, grattavano la coperta presso le ginocchia, e all'improvviso il ragazzo piegò le gambe, si portò le cosce sul ventre, rimanendo immobile. Allora aprì gli occhi per la prima volta e guardò Rieux che si trovava davanti a lui. Nel cavo del volto ora rappreso in un'argilla grigia la bocca si aprì e quasi subito ne uscì un solo grido continuo, graduato appena dalla respirazione, che colmò immediatamente la sala d'una protesta monotona, discorde, e sì poco umana che sembrava provenisse da tutti gli uomini in una volta. Rieux stringeva i denti e Tarrou si voltò da una parte.
Lambert si avvicinò al letto, accanto a Castel che chiuse il libro, rimasto aperto sulle sue ginocchia. Paneloux guardò quella bocca infantile, insozzata dalla malattia, piena d'un grido di tutti gli évi; si lasciò scivolare in ginocchio e tutti trovarono naturale di sentirlo dire con voce un po' soffocata ma distinta dietro il piano anonimo che non cessava: "Mio Dio, salva questo ragazzo".
Ma il ragazzo continuava a gridare, e tutt'intorno a lui i malati si agitarono.
Quello le cui esclamazioni non erano cessate, all'altro capo della stanza, precipitò il ritmo del suo lamento sino a farne, anche lui, un vero grido, mentre gli altri gemevano sempre più forte. Una marea di singulti traboccò nella sala, coprendo la preghiera di Paneloux, e Rieux, sempre aggrappato alla sbarra del letto, chiuse gli occhi, ubriaco di stanchezza e di disgusto.
Quando li riaprì, si trovò vicino Tarrou.
"Bisogna che me ne vada", disse Rieux. "Non posso più sopportarli".
Ma improvvisamente gli altri malati tacquero; il dottore riconobbe allora che il grido del ragazzo era indebolito, che s'indeboliva ancora e che stava per finire.
Intorno a lui i lamenti riprendevano, ma sordamente, e come un'eco lontana della lotta appena conclusa. Si era conclusa infatti. Castel era passato dall'altra parte del letto, e disse ch'era finita. Con la bocca aperta, ma muta, il ragazzo riposava nella buca delle coperte in disordine, rimpicciolito di colpo, con resti di lacrime sul viso.
Avvicinatosi al letto, Paneloux fece i gesti della benedizione. Poi raccolse la sua roba e uscì dal corridoio centrale.
"Bisognerà ricominciare tutto?" domandò Tarrou a Castel.
Il vecchio dottore scuoteva la testa.
"Forse" disse con un sorriso contratto. "Dopo tutto ha resistito più a lungo".
Ma Rieux lasciava ormai la sala, con un passo sì precipitoso e con una tale aria, che quando oltrepassò Paneloux, questi tese un braccio per trattenerlo.
"Andiamo, dottore", gli disse.
Con lo stesso agitato trasporto, Rieux, voltandosi, gli buttò con violenza: "Questo qui, almeno, era innocente, lei lo sa bene!"
Poi si voltò e passando le porte della sala prima di Paneloux, raggiunse il fondo del cortile scolastico. Sedette s'una panca, tra gli alberelli polverosi, e si asciugò il sudore che ormai gli colava negli occhi. Aveva voglia di gridare ancora, per sciogliere, infine, il nodo violento che gli ingombrava il cuore. Il caldo pioveva lentamente tra i rami delle agavi; il cielo, ritrovando a poco a poco il respiro, eliminando a poco a poco la stanchezza.
"Perchè avermi parlato con tanta collera?" disse una voce dietro di lui. "Anche per me, lo spettacolo era insopportabile".
Rieux si voltò verso Paneloux:
"E' vero", disse, "mi scusi. Ma la stanchezza fa impazzire. Ci sono ore, in questa città, che non sento se non la mia rivolta".
"Capisco", mormorò Paneloux. "E' rivoltante in quanto supera la nostra misura. Ma forse dobbiamo amare quello che non possiamo capire".
Rieux si alzò di scatto; guardava Paneloux con tutta la forza e la passione di cui era capace, e scuoteva la testa.
"No, Padre", disse, "io mi faccio un'altra idea dell'amore; e mi rifiuterò sino alla morte di amare questa creazione dove i bambini sono torturati".
Sul viso di Paneloux passò un'ombra di rivolta.
"Dottore", fece con tristezza, "ora ho capito quello che chiamano la grazia".
Ma Rieux si era di nuovo lasciato andare sulla panca. Dal fondo della sua ritornata stanchezza, rispose più dolcemente:
"E' quello che non ho, lo so bene. Ma non voglio discuterne con lei. Noi lavoriamo insieme per qualcosa che riunisce al di là delle bestemmie e delle preghiere. Questo solo è importante".
Paneloux sedette vicino a Rieux, aveva un'aria commossa.
"Sì", disse, "sì, anche lei lavora per la salvezza dell'uomo".
Rieux tentava di sorridere.
"La salvezza dell'uomo è un'espressione troppo grande per me. Io non vado sì lontano. La sua salute m'interessa, prima di tutto la sua salute".
Paneloux esitò.
"Dottore", disse.
Ma si fermò, anche sulla sua fronte cominciava a scorrere il sudore. Mormorò "arrivederci", e gli occhi gli brillarono, mentre si alzava. Stava per allontanarsi, quando Rieux, ch'era pensieroso, si alzò e con un passo lo raggiunse.
"Mi scusi ancora", disse, "il mio scatto non si ripeterà".
Paneloux gli tese la mano dicendo con tristezza:
"E tuttavia non sono riuscito a persuaderla!"
"Che importa?" disse Rieux. "Quello che odio è la morte e il male, lei lo sa. E che lei lo voglia o no, noi siamo insieme per sopportarli e combatterli".
Rieux trattenne la mano di Paneloux.
"Lei vede", disse evitando di guardarlo, "Dio stesso ora non ci può separare".



Molti sono soliti fare "bilanci" (questa moda di dover trarre conclusioni in letteratura è insopportabile) sul pensiero di Camus.
Dire che l'esistenzialismo lo ha relegato al ruolo di scrittore da seghe mentali (per usare un termine molto in voga in questa società decadente) è limitante, e riportarlo sempre allo sforzo di sisifo mi sembra riduttivo.
E' nella rivolta che Camus si discosta da ogni morale, facendo leva sull'impossibilità dell'uomo - Rieux è il mio punto di vista - di sottrarsi alla sua sorte.
Impossibile morire senza aver letto La Peste.
 

Raskolnikov

New member
In rari casi si raggiunge la perfezione eraclitea, ovvero la coesistenza degli opposti; ebbene, se parliamo di Camus e in particolar modo de "La Peste" vi si trova un prezioso esempio, v'è la dimostrazione efficace di quanto siamo piccoli e grandi al tempo stesso.
Adoro questo libro.
 

sergio Rufo

New member
ciao rask, anch'io lo adoro , forse di piu' dello Straniero.
Qualcuno identifico' lo scritto di Camus come la Peste nazista -----una metafora sovrastorica.
Ma fu una forzatura.
 

Dallolio

New member
Di questo romanzo ho visto soprattutto la sua "coralità", il fatto cioè che è la storia di un'intera città e non solamente di un uomo. La narrazione è lentissima, nel complesso però colpisce e inquieta, anche se a mio avviso l'idea geniale non viene sfruttata in tutta la sua profondità.
Mi rimane impressa la figura del vecchio che sbuccia piselli tutto il giorno, per dispetto verso i suoi simili e la figura del sacerdote che successivamente diventa filantropo e supera i suoi limiti legati alla figura religiosa. L'etica dell'impegno comune delineata nel finale non mi ha assolutamente convinto...
6/10
 

jeanne

New member
bellissimo il bagno, il tuffo, di Rieux e Tarrou quando riescono a raggiungere il mare. dopo ammirano cielo e luna. molto intenso.
 

Aindreas

New member
Considero "La Peste" sullo stesso altissimo livello de "Lo Straniero"...
Camus ha saputo scrivere un romanzo bellissimo, quasi una cronaca...
"La Peste" inoltre è davvero un libro interessante al di là della trama e dei personaggi in quanto racconta fatti che furono realmente accaduti (magari non a grandezze simili) nel Nord Africa nei primi anni del 900..
 

pigreco

Mathematician Member
Di Camus avevo letto (moltissimi anni fa, quindi il ricordo è sbiadito) "Lo straniero" e probabilmente a causa della giovanissima età non ne avevo colto il senso profondo. "La peste" è certamente un romanzo importante nella storia della letteratura; lo si percepisce mentre scorrono le pagine e lo si percepisce per quel che lascia dopo la lettura. Il fatto che Orano sotto la peste sia allegoria della Germania sotto il nazismo lo ha affermato anche lo stesso Camus. Alla fine rimane la salvezza dell'essere umano così come è, il senso di necessità della solidarietà tra uomini e l'impotenza di fronte ad eventi che umani non sono. Probabilmente Camus non voleva passare il messaggio che sto per scrivere (e questo importa ben poco visto che le opere d'arte sono affidate a chi ne usufruisce così come la loro interpretazione) ma quel che più mi rimane dentro de "La peste" sono le parole del prete durante il secondo sermone: in quelle pagine si capisce il vero significato della parola Fede, quel concetto senza il quale l'essere umano non può cogliere il senso di ciò che gli succede attorno e trova umanamente inspiegabili avvenimenti che umani non sono (mi vengono in mente a tal proposito le ultime parole di un bellissimo film che consiglio caldamente, "L'arpa birmana", che si chiude con queste frasi "Ho superato i monti, guadato i fiumi, come la guerra li aveva superati e guadati in un urlo insano. Ho visto l'erba bruciata, i campi riarsi... perché tanta distruzione caduta sul mondo? E la luce mi illuminò i pensieri. Nessun pensiero umano può dare una risposta a un interrogativo inumano.[...]"). Per questa ragione questo libro credo che rimarrà a lungo dentro di me.
 

Cold Deep

Vukodlak Mod
primo libro che leggo di Camus, che dire, ho apprezzato molto lo stile descrittivo dell'autore e la storia del lento disfacimento di una società civile mi ha avvinto :mrgreen: qualche volta noioso ma il 99% del racconto è magnifico

bellissimo il bagno, il tuffo, di Rieux e Tarrou quando riescono a raggiungere il mare. dopo ammirano cielo e luna. molto intenso.

bellissimo passaggio :mrgreen:
 

Wilkinson

Member
La Repubblica pubblica oggi delle lettere di Camus in cui scrive a Luis Giulloux
" Ho finito la Peste. Mi sono fatto l'idea che sia un libro totalmente mancato, ho peccato d'ambizione e questo fallimento mi pesa. Lo tengo nel cassetto come qualcosa di un po' schifoso"

Le parole dell'autore incredibilmente confermano quello che ho sempre pensato di questo libro..
 

gamine2612

Together for ever
Il periodo adesso è quello giusto per leggerlo, meglio sarebbe stato qualche settimana fa.
Mi sono chiesta perché non ci ho pensato sino a quando un'amico mi disse poche settimane fa che lo stava leggendo.
Su mia richiesta me ne ha inviato una pagina, era molto bella.
Sono rimasta talmente colpita che l'ho voluto leggere subito; grazie ad un' altro amico l'ho avuto rapidamente.
Difficile, intenso , avvincente e toccante.
Vorrei dire a chi non l'ha fatto di leggerlo subito e presto; vedrete quanto c'è di rivelante e sconvolgente.
 
Ultima modifica:

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Prima di leggere "La peste", pensavo che questo romanzo di Camus, insieme ad altri pure di grande valore letterario, fosse tornato di moda con lo scoppio della pandemia di Covid 19. Ora che l'ho letto il mio errore mi è parso lampante: questo romanzo non ha mai smesso di essere attuale, così come non smetterà mai di esserlo "Cecità" di Saramago. Perché? Perché l'uomo, ciclicamente, assume sempre gli stessi atteggiamenti e comportamenti in tutte le situazioni. Se messo sotto pressione, l'uomo reagirà sempre in una gamma di modi ridotta ed archiviata, perciò consolidata e replicabile. Ed eccola, l'attualità di "La peste": usare a pretesto un morbo che tutti reputiamo appartenere al passato, scoppiato in una città sconosciuta, per raccontarci con occhio lucido e piglio severo la società, la nostra società, con pregi e difetti. Una lettura consigliatissima, ben più de "Lo straniero" che invece non avevo apprezzato.
 
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