Un libro scientifico su chi siamo

oea

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Un antropologo evoluzionista, Michael Tomasello, un italo-americano che lavora a Dresda, ha scritto nel 1999 un libro fondamentale, ora tradotto in Italiano (Editore Il Mulino di Bologna) col titolo: "Le origini culturali della cognizione umana".
Il libro è difficile, tecnico, ma l'idea di base si può riassumere semplicemente.

Tomasello ha passato anni, insieme ad un gruppo di validissimi collaboratori, a studiare l'evoluzione della vita sociale nelle varie specie animali, ed ha raccolto numerose prove scientifiche di un fatto: l'uomo è dotato, dai geni frutto della sua evoluzione, di un potente "istinto" alla collaborazione con i propri simili.
Si era sempre pensato, per via dell'evidente orrore della guerra ignoto ai nostri cugini animali, per gli altri ben noti orrori dell'omicidio e della pedofilia, che la specie umana fose PER NATURA una specie dotata di particolare e maligna aggressività verso i propri simili. Non è certamente così, alla luce delle abbondantisime prove che l'evoluzionismo e l'etologia permettono oggi di raccogliere.
Ciò che noi umani, fin dall'inizio della vita, al di fuori di ogni pressione di apprendimento, siamo capaci di fare, e gli animali no, è trattare i nostri simili come dei PARI, collaborando con loro FIANCO A FIANCO per raggiungere obiettivi comuni.
La coscienza umana e il linguaggio, dunque le basi per la cultura, sgorgano da questa capacità collaborativa, da questo dono che ci permette di percepirci simili l'uno all'altro nell'intenzionalità (notare la sottolineatura, fondamentale, dell'ultima parola).
Una volta che l'evoluzione biologica dota la nostra specie di questa capacità di percepirci simili l'uno all'altro nell'intenzionalità, la coscienza, il linguaggio e la cultura che ne sgorgano ci rendono liberi. Liberi anche di seguire POTENZIANDOLI gli altri nostri istinti animali, fra cui c'è pure quello aggressivo. E' da questa libertà che sgorgano la guerra, e gli altri orrori. Ma siamo liberi anche di seguire l'istinto più recente di cui l'evoluzione biologica ha dotato solo noi: la collaborazione fra pari. E allora possiamo, con quella, costruire la polis con le sue scuole ed i suoi ospedali, con i suoi libri e le sue opere d'arte, con tutto ciò insomma che è fatto insieme e ha come fine di accomunarci.
Di questo si era accorto il genio universale, del quale purtroppo non è menzionato il nome fra gli Autori elencati in questo Forum: Dante Alighieri.
Ricordate questi suoi versi, tratti dal Purgatorio?

"Color che ragionando andaro al fondo
s'accorser d'esta innata libertade,
però moralità lasciaro al mondo"


L'innata libertà riscoperta dall'antropologia evoluzionista contemporanea, tanto cara anche a Dostoevskij (La Leggenda del Grande Inquisitore, ne I Fratelli Karamazov) e a Camus.

"Libertà va cercando, ch'è sì cara
come sa chi per lei vita rifiuta"

canta ancora Dante, sempre nel Purgatorio.

Siamo liberi per natura, liberi di scegliere la collaborazione, il rispetto, le conseguenze del saperci (per conoscenza innata, naturale, frutto dell'evoluzione: Tomasello) pari, simili, frateli se volete usare questo termine. Ma anche liberi di scegliere l'altra tendenza egualmente innata, quella di affremare narcisisticamente il nostro piccolo ego individuale o nazionale, per prevaricare l'altro, e per distruggerlo se resiste alla nostra meschina voglia di potere.
Per questo motivo, coloro che nel ragionare raggiunsero la più profonda conoscenza della nostra natura, compresero anche la necessità di una guida morale, ci ricorda Dante.

Strano connubio fra scienza contemporanea -- biologia, antropologia e psicologia evoluzionista -- e l'antica poesia, non è vero?
 

gio84

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Molto interessante quello che hai affermato.

Tu giustamente parli di teoria evoluzionistica che sfocia nella collaborazione tra uomini.

Io mi sto occupando di comunicazione digitale e posso affermare che questo tipo di collaborazione naturale trova conferma anche nel web.
I valori del web 2.0 sono partecipazione e collaborazione.

Esistono moltissimi progetti nati da questi due presupposti.
A larga scala mi sovviene "Wikipedia, the free encyclopedia". Nasce nel 2001 come piattaforma wiki, seppur vuota di contenuto. Gli utenti hanno cercato - e tuttora lo fanno - di ampliare le singole voci dell'enciclopedia. E ci si aggira attorno a 2 milioni di voci nella versione inglese.

A piccola scala, non mi stancherò mai di ripeterlo, l'esaempio di questo forum. Grazie all'esperienza in primis, alla collaborazione e alla partecipazione di ogni singolo utente, questo forum sta via via crescendo. Faccio riferimento alla Piccola Biblioteca, ma anche alle interessanti discussioni nel salotto letterario.

Interessante studiare anche questo aspetto della collaborazione, vero?
Oggi il mondo digitale è parte integrante del nostro mondo reale e i meccanismi di funzionamento, dunque, si riflettono.

Consiglio il libro Wikinomics: come la collaborazione di massa sta cambiando il mondo, di D. Tapescott e A.D. Williams.

Mi scuso se sono uscita dal contesto originale del tuo discorso, oea, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.
 

oea

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Molto interessante quello che hai affermato.

Tu giustamente parli di teoria evoluzionistica che sfocia nella collaborazione tra uomini.

Io mi sto occupando di comunicazione digitale e posso affermare che questo tipo di collaborazione naturale trova conferma anche nel web.
I valori del web 2.0 sono partecipazione e collaborazione.

Esistono moltissimi progetti nati da questi due presupposti.
A larga scala mi sovviene "Wikipedia, the free encyclopedia". Nasce nel 2001 come piattaforma wiki, seppur vuota di contenuto. Gli utenti hanno cercato - e tuttora lo fanno - di ampliare le singole voci dell'enciclopedia. E ci si aggira attorno a 2 milioni di voci nella versione inglese.

A piccola scala, non mi stancherò mai di ripeterlo, l'esaempio di questo forum. Grazie all'esperienza in primis, alla collaborazione e alla partecipazione di ogni singolo utente, questo forum sta via via crescendo. Faccio riferimento alla Piccola Biblioteca, ma anche alle interessanti discussioni nel salotto letterario.

Interessante studiare anche questo aspetto della collaborazione, vero?
Oggi il mondo digitale è parte integrante del nostro mondo reale e i meccanismi di funzionamento, dunque, si riflettono.

Consiglio il libro Wikinomics: come la collaborazione di massa sta cambiando il mondo, di D. Tapescott e A.D. Williams.

Mi scuso se sono uscita dal contesto originale del tuo discorso, oea, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.

Di che scusarti, non capisco, cara Gio84. E' molto stimolante, riflettere sulla mente collettiva resa possibile dalla comunicazione in rete.
Non sono un esperto, perchè con Tomasello mi fermo piuttosto sulle basi collaborative della comunicazione non verbale, osservabili già nel neonato umano che non può accedere ancora alle parole, e ovviamente meno che mai alle parole scritte del web.
Non so, in altre parole, quali possano essere gli effetti del non aver davanti un volto quando si comunica. Non so: vuol dire che mi astengo da un giudizio che va oltre le mie competenze, tutte basate su volti, sorrisi, smorfie, risate, lacrime, sulle quali le parole che ascolto, ed i dialoghi che studio, poggiano.
Attendo da te di sapere di più sui dialoghi senza volto del web.
 

lillo

Remember
Caro Oea, vorrei nell’ambito del tuo intervento, focalizzarmi sul concetto di libertà di scelta dell’individuo, tu dici:
“Siamo liberi per natura, liberi di scegliere la collaborazione, il rispetto, le conseguenze del saperci (per conoscenza innata, naturale, frutto dell'evoluzione: Tomasello) pari, simili, frateli se volete usare questo termine. Ma anche liberi di scegliere l'altra tendenza egualmente innata, quella di affermare narcisisticamente il nostro piccolo ego individuale o nazionale, per prevaricare l'altro, e per distruggerlo se resiste alla nostra meschina voglia di potere.”
Concordo con quello che tu scrivi fin tanto che si rimane all’interno di un ambito per così dire fisiologico e cioè: la maggior parte degli individui ha libertà di scegliere il suo agire; ma secondo me il discorso cambia quando entriamo all’interno di alcune situazioni per così dire patologiche.
Mi spiego meglio. Se è vero quello che dicono diversi ricercatori – soprattutto nell’ambito della psicobiologia – che la personalità di un indivduo è determinata da interazioni tra fattori biologici (vedi ad esempio la teoria della personalità di Cloninger) e fattori ambientali ; ecco che la libertà dell’individuo si restringe fortemente in relazione alla variazione di queste due componenti. Alcune patologie psichiatriche – la più esemplificativa secondo me è il disturbo ossessiv0/compulsivo – riducono fortemente la capacità di libero agire dell’individuo, bloccandolo all’interno di comportamenti stereotipati (esempio ne sono i rituali a cui si sottopongono in nevrotici ossessivi) ed inoltre, da alcuni ricercatori americani è stato osservato come individui che in età infantile hanno sofferto del cosiddetto disturbo dell’attenzione (ADHD), tendono in età adulta ad avere comportamenti aggressivi ed antisociali.
Credo che tutto questo abbia una notevole ricaduta pratica, quando poi di fronte a crimini efferati (es. pedofilia) ci troviamo a valutare se un individuo ha agito nel pieno della sua liberta di scelta (fare/non fare) oppure se è spinto da alterazioni di tipo neuropsichiatrico che impongono ovviamente un trattamento diverso da quello carcerario.
Questo ha inoltre per me un significato più ampio, quando osservo certi comportamenti “inspiegabili” mi chiedo sempre di quale disturbo psicopatologico soffra quell’individuo.
Che ne pensi?
 
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oea

New member
Caro Oea, vorrei nell’ambito del tuo intervento, focalizzarmi sul concetto di libertà di scelta dell’individuo, tu dici:
“Siamo liberi per natura, liberi di scegliere la collaborazione, il rispetto, le conseguenze del saperci (per conoscenza innata, naturale, frutto dell'evoluzione: Tomasello) pari, simili, frateli se volete usare questo termine. Ma anche liberi di scegliere l'altra tendenza egualmente innata, quella di affermare narcisisticamente il nostro piccolo ego individuale o nazionale, per prevaricare l'altro, e per distruggerlo se resiste alla nostra meschina voglia di potere.”
Concordo con quello che tu scrivi fin tanto che si rimane all’interno di un ambito per così dire fisiologico e cioè: la maggior parte degli individui ha libertà di scegliere il suo agire; ma secondo me il discorso cambia quando entriamo all’interno di alcune situazioni per così dire patologiche.
Mi spiego meglio. Se è vero quello che dicono diversi ricercatori – soprattutto nell’ambito della psicobiologia – che la personalità di un indivduo è determinata da interazioni tra fattori biologici (vedi ad esempio la teoria della personalità di Cloninger) e fattori ambientali ; ecco che la libertà dell’individuo si restringe fortemente in relazione alla variazione di queste due componenti. Alcune patologie psichiatriche – la più esemplificativa secondo me è il disturbo ossessiv0/compulsivo – riducono fortemente la capacità di libero agire dell’individuo, bloccandolo all’interno di comportamenti stereotipati (esempio ne sono i rituali a cui si sottopongono in nevrotici ossessivi) ed inoltre, da alcuni ricercatori americani è stato osservato come individui che in età infantile hanno sofferto del cosiddetto disturbo dell’attenzione (ADHD), tendono in età adulta ad avere comportamenti aggressivi ed antisociali.
Credo che tutto questo abbia una notevole ricaduta pratica, quando poi di fronte a crimini efferati (es. pedofilia) ci troviamo a valutare se un individuo ha agito nel pieno della sua liberta di scelta (fare/non fare) oppure se è spinto da alterazioni di tipo neuropsichiatrico che impongono ovviamente un trattamento diverso da quello carcerario.
Questo ha inoltre per me un significato più ampio, quando osservo certi comportamenti “inspiegabili” mi chiedo sempre di quale disturbo psicopatologico soffra quell’individuo.
Che ne pensi?

Caro Lillo, sei davvero competente in questioni psicologiche, e poni un problema di portata universale: la differenza che c'è fra lo studio delle specie, e della loro evoluzione, e lo studio delle condizioni di vita di singoli rappresentanti di quelle specie, singoli individui.
La biologia e l'antropologia evoluzionista credo abbiano ormai dimostrato che la specie umana è caratterizzata da un elevato grado di capacità collaborativa, dalla quale consegue una notevole libertà, in confronto a ogni altra specie animale, rispetto alle molteplici disposizioni innate di cui siamo dotati dalle caratteristiche del nostro genoma.
D'altro canto, lo studio della patologia dimostra come questa "innata libertà" possa essere fortemente limitata da processi individuali patologici, tanto di origine genetica (prevalenti nell'autismo infantile) quanto di origine ambientale (probabilmente prevalenti nella maggioranza degli altri disturbi psicopatologici).
E', in fondo, il problema di ogni malattia, e di ogni prospettiva etica sulla condizione umana: determinismo o libero arbitrio (l'etica ha senso solo se ammettiamo l'esistenza del secondo)? E, se esiste il libero arbitrio, che fine fa di fronte a tante malattie? Se poi una malattia riduce o annulla il libero arbitrio, come possiamo giudicare in termini etici (e giuridici) il comportamento che ne consegue?
Non ho risposte esaurienti, ovviamente, di fronte ad uno dei dilemmi fondamentali ed irrisolti della filosofia e delle scienze umane. Un'idea però posso indicarla: dovremmo sempre parlare con le persone, anche malate, partendo dall'assunto che un alto grado di libertà potenziale giace inutilizzato al fondo della malattia. In fondo, le terapie si basano tutte su questo assunto: è possibile restituire libertà interiore a chi la ha perduta, anche se non è mai detto in anticipo se la cura avrà oppure no successo. Per argomentare questa affermazione, dovrei fare esempi di cure, a partire magari proprio dal disturbo ossessivo, ma avrei bisogno di molto spazio. Magari un accenno in un altro post, se me lo chiederai.
Infine: le cure sono una realtà collettiva, ed è la collettività che aspira alla libertà quella che meglio può sviluppare cure efficaci (non è nota, ad esempio, alcuna scuola psicoterapeutica efficiente emersa nella Germania di Hitler o nella Russia di Stalin). Insomma, l'individuo che per malattia perde in ampio grado la libertà (ampia ma non assoluta) che la natura concede alla nostra specie, va accolto ed aiutato dalla collettività.
Un film che raccomando, e che descrive poeticamente ed efficacemente questo potere liberante che la collettività può esercitare su un suo membro che la malattia ha reso "prigioniero", è il meraviglioso Hans e una ragazza tutta sua. Se riesci a procuratelo in una videoteca, prendilo al volo!
 

oea

New member
... di fronte a crimini efferati (es. pedofilia) ci troviamo a valutare se un individuo ha agito nel pieno della sua liberta di scelta (fare/non fare) oppure se è spinto da alterazioni di tipo neuropsichiatrico che impongono ovviamente un trattamento diverso da quello carcerario.
Questo ha inoltre per me un significato più ampio, quando osservo certi comportamenti “inspiegabili” mi chiedo sempre di quale disturbo psicopatologico soffra quell’individuo.
Che ne pensi?

Caro Lillo, ti avevo promesso qualche esempio che illustri come le terapie dei disturbi psichiatrici si basino sempre sull'assunto che al fondo della mente "prigioniera" (ad esempio, prigioniera della malattia), della mente "captiva" (interessante, trovare l'etimo di "cattivo" in "non libero"), al fondo della mente, dicevo, per quanto essa abbia perso libertà, si trovi sempre la potenzialità di recuperare la capacità di scelta.
Lo avevo promesso, ma rinvio l'occasione di farlo, perché ho pensato che è più chiaro partire dalla zona grigia nella quale non c'è un'evidente perdita di libertà dovuta alla malattia, ma piuttosto i comportamenti "inspiegabili" ai quali fai cenno.
In psicopatologia, credo che tu lo sappia bene, questo problema è in genere affrontato nella cornice del concetto di "narcisismo". Il narcisista può non soffrire a lungo, per anni e decenni, di alcun disturbo psicopatologico evidente. Cerca il dominio sugli altri, si nutre di fantasie di grandiosità personale, è spesso affascinante e di successo, e se riesce ad essere al vertice di una struttura di potere o di ammirazione ne trae abbastanza "nutrimento mentale" da non ammalarsi. Tuttavia, non è libero interiormente, e talora questa mancanza di libertà si manifesta con comportamenti "inspiegabii", per usare il tuo ottimo termine.
Sembra un paradosso, ma opere come quella di Michael Tomasello risolvono il paradosso in una spiegazione chiara.
Il narcisista, al contrario di persone con altri disturbi di personalità (il disturbo di personalità borderline è il più frequente e noto), non ha in genere subito gravi traumi psicologici, e neppure sono noti difetti genetici che spieghino la personalità narcisista. Sembra piuttosto che il narcisista abbia effettuato una fatale, libera ma dannosissima, scelta: nel corso del suo sviluppo, ha liberamente deciso di rinunciare alla dimensione della condivisione, del dialogo fra pari (dell'IO-TU, direbbe Martin Buber), della comunicazione autentica, per giocare la propria vita invece sul piano dell'esaltazione personale, del dominio, e della orgogliosa solitudine interiore. Sul piano dell'Io-Esso, direbbe Buber. E così, ha liberamente rinunciato alla vera libertà dello scambio, della solidarietà, della partecipazione. Tomasello, mostrando come questa dimensione collaborativa e di condivisione sia la base stessa della coscieza, della cultura e della libertà umana, illustra la via per capire il paradosso del narcisista, l'uomo che liberamente rinuncia alla libertà. Una volta capito che il suo bisogno è mantenere a tutti i costi una visione grandiosa di sé, si comprendono anche molti comportamenti "inspiegabili".
Ma questo post è troppo lungo, devo fermarmi.
Se vuoi, troverai un esempio nel mio commento alle "Lettere ad un amico tedesco" di Albert Camus.
http://www.forumlibri.com/forum/showthread.php?t=3542
Altri esempi letterari famosi si trovano ne "I Demoni" di Dostoevskij.
Commenti e obiezioni, se ci saranno, mi permetteranno di riprendere il tema.
 

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Interessante dibattito, mi piacerebbe approfondire il nesso tra personalità patologiche e romanzo, dove lo scrittore riesce a descrivere personaggi ed eventi che corrispondono poi a quelli che sono i profili clinici delle persone che presentano disturbi psichiatrici.
Per quanto riguarda la personalità narcisistica quale miglior descrizione ed esempio ne Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.
 

oea

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Interessante dibattito, mi piacerebbe approfondire il nesso tra personalità patologiche e romanzo, dove lo scrittore riesce a descrivere personaggi ed eventi che corrispondono poi a quelli che sono i profili clinici delle persone che presentano disturbi psichiatrici.
Per quanto riguarda la personalità narcisistica quale miglior descrizione ed esempio ne Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.

Esempio perfetto, Dorian Gray. Lo specchio, l'autoritratto, simboli di Narciso, sostanzialmente solo di fronte a se stesso, alla ricerca della contemplazione sulla propria bellezza, del godimento del proprio vigore giovanile, del trionfo persino sul tempo. Narciso sdoppiato, immagine duplice di sé che non incontra mai lo sguardo dell'altro.

Un altro esempio, più tragico: il Capitano Achab, che tradisce la legge del mare e lascia senza aiuto i naufraghi di un'altra nave per trovare Moby Dick e il trionfo sul mostro che si è mostrato più forte di lui -- e trascina i compagni, con i quali non ha alcun vero dialogo, nell'abisso. Sempre di Melville, Bartleby lo Scrivano, ma qui il narcisismo si è scompensato, è travalicato in una depressione grave ed evidente.

E poi, vicini ma al di fuori del narcisismo in senso stretto, ormai nell'ambito della dissociazione, ci sono i grandi "doppi" di Conrad (Il Compagno Segreto), di Stevenson (Lo strano caso del Dottor Jeckyll e Mister Hyde), di Dostoevskij (Il Sosia), di Hoffmann (Gli elisir del Diavolo), di Poe (William Wilson) ...

Però non è questo il topic adatto. Bisognerebbe aprirne un altro. Chi sa, forse troverò prima o poi il tempo di farlo, se non lo farai prima tu o qualcun altro.
 
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