Faulkner, William - L'urlo e il furore

alessandra

Lunatic Mod
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Questo romanzo, ambientato negli Stati Uniti nel periodo tra il 1910 e la fine degli anni '20, racconta la decadenza materiale e psicologica di una famiglia aristocratica. Il libro è composto di tre monologhi di tre diversi io narranti - i tre fratelli Compson: l'"idiota" Benjamin (così viene definito...), il tormentato Quentin (il mio preferito), il perfido (a mio parere) Jason - e, infine, da una parte narrata in terza persona, nella quale l'autore analizza gli eventi dal punto di vista della "serva nera" Dilsey, colei che fino all'ultimo riesce a fatica a tenere unito ciò che resta della famiglia. Dilsey viene definita nella quarta di copertina "unico personaggio positivo del romanzo"; sono d'accordo solo in parte con questa affermazione, penso che ogni personaggio, o quasi, abbia in sè qualcosa di positivo, anche se ciò che principalmente viene evidenziato è il loro lato oscuro, inevitabile considerando l'ambiente in cui la famiglia vive e cresce. Altri personaggi: la sorella Caddy, definita "vera protagonista silenziosa del romanzo", dal cui comportamento "disdicevole" (per quell'epoca) discenderà il verificarsi di una serie di avvenimenti che porteranno la famiglia a disgregarsi; il padre, intellettualmente raffinato, e la madre, tipica "dama" viziata e ipocondriaca, che ha come principale preoccupazione il giudizio altrui.
Forse vi ho già anticipato troppo della trama... Appena iniziato a leggerlo, dico la verità, l'ho trovato molto difficile perchè non avevo mai letto niente di Faulkner e lo stile è molto particolare, nel senso che si parte direttamente con i dialoghi senza spiegare chi è un personaggio e chi l'altro, senza contare che vi sono più personaggi che portano lo stesso nome; inoltre i salti temporali sono continui e privi di una qualsiasi forma di preavviso, se non molto molto sottile... Però, intuendo che era interessante, sono tornata indietro più volte finchè non sono riuscita ad afferrare più o meno il meccanismo, e ne è valsa assolutamente la pena!!! Il libro è secondo me un capolavoro, l'autore è bravissimo nel "trasformare" il lettore volta per volta nell'io narrante, e rende perfettamente l'idea che sembrerebbe banale, ma che spesso ancora oggi dimentichiamo, ossia che la nobiltà d'animo non ha niente a che vedere con il fatto di nascere schiavi o liberi, poveri o ricchi. Lo consiglio vivamente a tutti nonostante sia piuttosto triste, per non dire struggente, anche perchè magari un lettore più esperto di me riguardo ad un certo stile di scrittura può afferrare subito il meccanismo!!!
Voto 9)
E' la mia prima recensione, spero di non avere scritto troppe fesserie e di essere stata chiara...:D
 
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reader

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Diconosia un capolavoro, ma non l'ho saputo apprezzare, probabilmente.

Non sono in grado di dare un giudizio, non ho votato
 

~ Briseide

Victorian Lady
Premessa: 'L'urlo e il furore' è senza dubbio uno dei libri più particolari che io abbia mai letto. Lo dimostra il semplice fatto che nel corso della lettura sono passata con saltuarietà a conferirgli dalle 2 alle 4 stelle. Alla fine non ho potuto che aggiudicargli il massimo. C'è qualcosa di magnetico in questo libro, di inusualmente portentoso.
Camaleonticamente Faulkner muta il suo stile narrativo in ognuna delle quattro parti in cui è suddiviso il libro. I protagonisti sono i Compson, una famiglia preda del vortice di una decandenza morale, psichica ed economica. Appena tuffatisi nelle prime righe, si è già nel cuore della storia. E' il racconto disarticolato di attimi di vita presenti e ricordi del passato di un ritardato mentale, narrati dal suo punto di vista, ad aprire le danze. Si continua con quello lievemente più limpido del giovane Quentin, che seppur non menomato mentalmente, non vive altrettanto placidamente la sua vita, il che si ripercuote inevitabilmente in una narrazione ancora slegata, ma che certamente è il mezzo più celere per comunicare la mancanza assoluta di lucidità emotiva. Dalla terza parte in poi il romanzo assume nuova nitidezza: a tenere le redini della narrazione è il gretto James, uomo mediocre e pateticamente prepotente. Si conclude con la classica forma stilistica di scrittura che chiarisce definitivamente ogni sorta di dubbio alcuno sulla storia.
Il romanzo nel complesso disorienta, frastorna, smarrisce col la totale mancanza di una bussula narrativa e di una sintassi scombinata, eccentrica, barocca. Ciononostante, non ho esistato un solo attimo a continuare la lettura. L'atmosfera viscosa e sfuggente, a volte grigia, magnetizza ed incuriosisce, avviluppa e raggira il lettore che inerme non può fare a meno di lasciarsi trascinare nella storia, camminando fianco a fianco alle vicende di quello sciagurato gruppo di persone altresì noto come famiglia Compson.
Indiscutibilmente 5/5
 

alessandra

Lunatic Mod
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Premessa: 'L'urlo e il furore' è senza dubbio uno dei libri più particolari che io abbia mai letto. Lo dimostra il semplice fatto che nel corso della lettura sono passata con saltuarietà a conferirgli dalle 2 alle 4 stelle. Alla fine non ho potuto che aggiudicargli il massimo. C'è qualcosa di magnetico in questo libro, di inusualmente portentoso.
Camaleonticamente Faulkner muta il suo stile narrativo in ognuna delle quattro parti in cui è suddiviso il libro. I protagonisti sono i Compson, una famiglia preda del vortice di una decandenza morale, psichica ed economica. Appena tuffatisi nelle prime righe, si è già nel cuore della storia. E' il racconto disarticolato di attimi di vita presenti e ricordi del passato di un ritardato mentale, narrati dal suo punto di vista, ad aprire le danze. Si continua con quello lievemente più limpido del giovane Quentin, che seppur non menomato mentalmente, non vive altrettanto placidamente la sua vita, il che si ripercuote inevitabilmente in una narrazione ancora slegata, ma che certamente è il mezzo più celere per comunicare la mancanza assoluta di lucidità emotiva. Dalla terza parte in poi il romanzo assume nuova nitidezza: a tenere le redini della narrazione è il gretto James, uomo mediocre e pateticamente prepotente. Si conclude con la classica forma stilistica di scrittura che chiarisce definitivamente ogni sorta di dubbio alcuno sulla storia.
Il romanzo nel complesso disorienta, frastorna, smarrisce col la totale mancanza di una bussula narrativa e di una sintassi scombinata, eccentrica, barocca. Ciononostante, non ho esistato un solo attimo a continuare la lettura. L'atmosfera viscosa e sfuggente, a volte grigia, magnetizza ed incuriosisce, avviluppa e raggira il lettore che inerme non può fare a meno di lasciarsi trascinare nella storia, camminando fianco a fianco alle vicende di quello sciagurato gruppo di persone altresì noto come famiglia Compson.
Indiscutibilmente 5/5

Bellissima questa recensione, Briseide! Sei riuscita a trovare le parole giuste per comunicare l'essenza di questo particolarissimo romanzo caratterizzato da uno stile, come tu dici, scombinato, direi spiazzante, che paradossalmente, rendendolo unico, costituisce uno dei suoi punti di forza. Non posso che quotarti in pieno :wink:
 
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pigreco

Mathematician Member
Recensione molto bella. Pur disorientando il libro calamita l'attenzione del lettore senza banalità, tutt'altro. E questo è il miglior pregio che un libro possa avere. Voto 4/5
 

Athana Lindia

Πάντα ρει
maledizione, ho sbagliato a votare! volevo dare un 2/5.
vabè, cmq questo libro a me non è piaciuto affatto, ricordo una lettura faticosissima e che davvero procedeva a stenti. no, ha fatto molta poca presa su di me.
 

velvet

Well-known member
A lettura terminata posso dire che questo libro é molto bello, intenso e drammatico.
Devo dire però che la lettura delle prime due parti, quindi circa una metà del libro, è molto difficoltosa. Infatti la storia, narrata come flusso di pensiero di un ritardato mentale, e poi del fratello non molto lucido mentalmente (per non dire pazzo), risulta quasi incomprensibile, e non aiutano i personaggi con lo stesso nome, si intuiscono solo gli eventi e le emozioni principali. Poi nella seconda metá del libro tutto si comprende e gli eventi e i personaggi prendono il loro posto nella storia.
.
 

bouvard

Well-known member
"La vita è una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furore e che non significa nulla" ( cit. Macbeth - Shakespeare)


Scrivere un commento su questo libro è stato difficile, perché L'urlo e il furore è sicuramente uno dei libri più complessi che abbia letto, anche se uno dei più originali ed interessanti.
Il libro è composto da quattro capitoli, ognuno dei quali scritto con uno stile narrativo diverso e con una diversa voce narrante. Solo quando si finisce di leggerlo, e tutti i pezzi del puzzle finalmente si incastrano, ed il carattere e la natura di ogni personaggio appare chiaro, ci si accorge che ognuna delle voci narranti ci ha raccontato la "sua" parte di storia nell'unico modo in cui avrebbe potuto raccontarcela, perché già lo stile narrativo, scelto per ognuna di esse da Faulkner, rispecchia il carattere essenziale della loro natura. Non solo, alla fine della lettura, appare evidente che anche l'ordine secondo cui le voci narranti sono disposte è l'unico ordine possibile, affinché la voce precedente non vanifichi quella successiva.
Nel primo capitolo a "narrare" è Benjamin, il fratello idiota (così viene definito nel libro) che comunica agli altri la sua esistenza, il suo piacere o dispiacere tramite mugolii ed urla. Il capitolo è quindi un susseguirsi dei dialoghi degli altri personaggi, così come Benjamin li percepisce, in un continuo mescolarsi di presente e passato, e non potrebbe essere diversamente, perché il tempo, come lo intendiamo noi - vale a dire un costante passare di ore - non è un concetto che Benjamin percepisce. La lettura, già per questo difficile, è resa ancora più ostica dal fatto che ogni personaggio viene introdotto solo per nome, senza che ci venga spiegato chi sia, ma questo è il modo in cui Benjamin lo percepisce e Faulkner non può presentarcelo in altro modo. Per Benjamin, infatti, Caddy è Caddy, Luster è Luster, non sono sorella o servo, così come non sono ragazza bianca e bambino di colore. Non appena, però, si capisce il funzionamento dei salti temporali e si colgono le relazioni parentali, si riesce ad apprezzare appieno il racconto di Benjamin, fatto di colori, suoni e profumi, in cui non c'è posto per la "colpa" ed il peccato, ma solo per la presenza e l'assenza.
Il secondo capitolo, secondo me il più difficile da leggere, scritto come un flusso di coscienza, è l'insieme dei pensieri, senza ordine e logica, che affollano la mente di una persona sul punto di suicidarsi. E' il capitolo di Quentin, il fratello tormentato, legato da un rapporto morboso alla sorella. Se il tempo nel primo capitolo non aveva avuto rilevanza, nel secondo diventa, invece, il motivo dominante, quasi un'ossessione. Gli orologi, però, paradossalmente non servono per ricordarsi del tempo, ma per dimenticarne l'esistenza, perché "Gli orologi ammazzano il tempo (...) solo quando l'orologio si ferma il tempo torna a vivere". Bisogna, quindi, dimenticarsi del tempo per non sprecare le proprie forze nell'inutile tentativo di vincerlo, perché "le battaglie non si vincono mai. Non si combattono nemmeno". E Quentin ha preso alla lettera queste parole del padre, rinunciando subito a combattere qualsiasi battaglia. Come ulteriore beffa Quentin viene condannato a pagare una multa per il tempo che un uomo ed un poliziotto hanno sprecato per cercare una bambina affamata che lo seguiva.
Nel terzo capitolo parla Jason, il fratello cattivo ed egoista. Un ragazzo costretto a diventare uomo in fretta, a farsi carico della famiglia, che si trasforma in un giudice inflessibile di fronte alle "colpe" degli altri. "Puttana una volta puttana per sempre" questo è il metro con cui giudica la sorella e la nipote, senza soffermarsi a considerare le ragioni, o le cause dei loro comportamenti. Gli hanno rovinato la vita, facendogli perdere delle opportunità, questo basta ai suoi occhi per condannarle senza possibilità di perdono, eppure il suo comportamento nei loro confronti non è certo esente da colpe.
L'ultimo capitolo è dominato dalla pietas e dalla fede di Dilsey, la serva di colore, l'unica insieme a Benjamin, a non giudicare né Caddy, né gli altri Compson, perché sa che non tocca agli uomini giudicare. Dilsey che, nonostante la sua stanchezza, continua a salire lentamente e spesso inutilmente le scale di casa Compson rappresenta appieno chi è nato per soffrire eppure riesce sempre ad alleviare il dolore, le sofferenze degli altri, chi pur essendo maltrattato riesce sempre a compiere un gesto d'amore verso gli altri. Un libro crudo, spietato nell'analisi di un mondo (quello delle grandi famiglie del Sud) ormai in agonia che si conclude inaspettatamente con delle pagine di speranza verso il futuro.
Il lettore è stimolato, nonostante le difficoltà della lettura, a cercare i collegamenti, i nessi, le immagini ricorrenti tra i vari capitoli. Ad esempio gli orologi (più o meno funzionanti) che ritornano sempre, ma anche l'ossessione che ognuna delle voci narranti ha per un odore, per Benjamin è l'odore del bosco che associa a Caddy, per Quentin è il sensuale odore del caprifoglio e per Jason è l'odore della canfora con cui cura i suoi mal di testa. Un libro da leggere e soprattutto da rileggere per cogliere tutte quelle sfumature che ad una prima lettura sfuggono.
 
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ayuthaya

Moderator
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... non vedevo l'ora di leggere la tua recensione, perchè conosco il "genere"... :wink: :mrgreen:
Solo che mi sono dovuta "accontentare" della prima parte e di alcune righe qua e là per paura di qualche spoiler (questo scherzetto me l'hai già fatto, ahaha!!!)! Ma presto lo leggerò anch'io e allora me la rivedrò con calma!
 

Des Esseintes

Balivo di Averoigne
"Puttana una volta puttana per sempre" .

Quando lo lessi una dozzina d'anni fa, presi questa e una frase da un'altro libro e ne feci un segnalibro :D :)
Dal tuo commento non ho affatto capito se hai parteggiato per qualcuno in particolare! :) Io per Quentin! :) E il suo capitolo (unito alla "spiegazione" dell'ultimo) è il migliore :D
 

bouvard

Well-known member
Dal tuo commento non ho affatto capito se hai parteggiato per qualcuno in particolare! :) Io per Quentin! :)

Ti ho risposto sul profilo, ma poi ho pensato di doverlo fare anche qui, per non lasciare qualcuno con questo dubbio "angosciante" :mrgreen:.
Mi è piaciuto tutto il libro in generale, ma ho parteggiato in particolare per Benjamin :). Innanzitutto mi è piaciuto lo stile narrativo di questo capitolo, i continui salti temporali, il susseguirsi continuo dei dialoghi e la molteplicità dei personaggi presenti hanno fatto sì, infatti, che la lettura non fosse mai statica o noiosa. Mi è piaciuta la mancanza di un giudizio morale sulle "colpe" altrui e lo sguardo "disincantato" di Benjamin sulla realtà, secondo me lui e Quentin sono i personaggi che hanno espresso meglio e più concretamente il significato della frase del Macbeth che ha influenzato Faulkner e da cui deriva il titolo del libro. Ammetto, infatti, che alcuni passaggi del capitolo di Quentin sono strepitosi e difficilmente eguagliabili :)
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Ho appena concluso L’urlo e il furore e mi sento esattamente come mi sentivo dopo aver finito Mentre morivo: frastornata.
E dire che pensavo di essere preparata. E dire che, presuntuosamente, credevo che nessun libro (o quasi) fosse troppo difficile per me... E cosa c’è di meglio, allora, che essere smentiti e nuovamente sorpresi, sconvolti, da uno scrittore che già si è avuto l’occasione di amare, immediatamente e senza riserve?

La complessità (sintattica, stilistica) e direi quasi l’incomprensibilità di più di metà romanzo mi hanno messo duramente alla prova: nessun compromesso, nessuna concessione da parte dell’autore nei confronti di noi poveri lettori, che non ci capacitiamo del perchè Ben, l’idiota, prima ha trentatrè anni e un capoverso dopo cinque, perchè Quentin prima è un uomo e poi una bambina, perchè ogni tanto Ben viene chiamato Maury, e mille altri perchè che sembrano destinati a restare senza risposta. Ma l’unico perchè che mi interessava era questo: perchè Faulkner ha voluto così? Perchè è stato così poco condiscendente nei confronti della legittima pretesa di chiarezza da parte del lettore? Perchè ha voluto farci precipitare in mezzo alla tempesta senza neppure un salvagente? Non lo sapevo... ma sentivo che dovevo dargli fiducia, e sono andata avanti (d’altronde, impossibile fare altrimenti: la scrittura di Faulkner è magnetica, ipnotica). E poi ho capito.

Ho capito che, come scrive Bouvard, l’ordine dei monologhi non poteva essere che questo, ho capito che l’assorbimento di questo romanzo non poteva che passare prima attraverso la percezione candida e confusa di Ben – per cui non esiste passato o presente ma solo presenza o assenza – , poi attraverso la mente malata di Quentin e solo alla fine – a più di metà romanzo, quando siamo ormai completamente coinvolti, invischiati in questa vicenda di cui ancora non abbiamo capito quasi nulla, ma di cui abbiamo piene le narici, gli orecchi, gli occhi – iniziamo a “capire”, attraverso il monologo del cinico, gretto e allo stesso tempo lucido Jason (è evidente che non si possa provare simpatia per questo individuo, eppure ammetto di aver amato il suo soliloquio non meno degli altri) per poi chiudere con la dolcezza di Dilsey, che tutto vede e nulla giudica, come una vera madre (e non a caso la sua voce è l’unica in terza persona, l’unica in grado di superare e accogliere in sè tutti gli egoismi personali per concedere il solo perdono possibile che è l’amore). Insomma, è come se capitolo dopo capitolo Faulkner avesse voluto farci vivere lo “stato” dei suoi personaggi : la percezione senza filtri di Ben, il sentire deformato di Quentin, il cinico “quadrar di conti” (per noi e per lui) di Jason e, appunto, l’abbraccio di Dilsey, la “negra”.

Paralellamente a questa comprensione che ogni volta sale di livello (ovvero ci pone un po’ più in alto, permettendoci di capire ciò che prima potevamo solo vedere e odorare, come Ben), c’è un successivo ampliarsi della dimensione del racconto: nei primi due capitoli siamo costretti, quasi imprigionati nel singolo personaggio, nella sua “coscienza”. Poi, con Jason, entrano in gioco le dinamiche familiari prima solo intuibili, ed è straordinario il modo in cui Faulkner ne mostra la complessità, l’irriducibilità, proprio perchè esse prendono forma non in modo univoco, ma plasmate dal mosaico di prospettive che si susseguono l’una dopo l’altra. Il personaggio di Caddy in questo senso è sublime: perno intorno a cui ruota tutta la vicenda, esiste solo nella coscienza dei suoi fratelli e di noi che la leggiamo. Il tema della famiglia, dei rapporti fra familiari sembra quasi passare in secondo piano di fronte alla bellezza della sperimentazione linguistica osata da Faulkner, eppure da solo varrebbe tutto il romanzo, che in questo senso sento profondamente americano (per non parlare del tema bianchi/neri, sviluppato in modo realistico e profondo).

Ma non basta: dopo il piano individuale e quello familiare, lo scrittore ne aggiunge un terzo (espresso dalla superba Appendice, il cui nome non rende giustizia alla sua importanza: Faulkner stesso la definì “la chiave di tutto il libro”) che è quello generazionale. Spendo altre due parole su questo aspetto perchè credo che valga la pena... Il fatto è che tutti i romanzi di Faulkner (o quanto meno, quelli che ho letto finora, ovvero i suoi due capolavori) hanno in sè qualcosa di epico, di tragico (in senso classico). “Sembra quasi che nessun personaggio di questo libro sia dotato di sentimenti. Qualcosa accade, dentro-fuori di loro. E loro la patiscono, letteralmente. É come se nessuno di questi personaggi potesse agire veramente. Viene in mente il Fato della tragedia, naturalmente, il Fato che dispone la vita degli uomini.” (dalla prefazione di E. Tadini)
Bè, io credo che questa dimensione tragica si percepisca molto bene dalla lettura dell’Appendice, che in sé non ci racconta molto di più di quanto ormai già sappiamo (tranne aggiungere chiarezza ad aspetti ancora un po’ oscuri, come il legame morboso fra Caddy e Quentin), ma che nella prospettiva secolare, nell’esposizione cronologica e didascalica dei principali avvenimenti dei membri della famiglia Compson (l’equazione “Compson= condanna, maledizione” ricorre più volte nel romanzo, spesso in bocca alla “fredda e querula” madre, ma non solo), rende più evidente che mai l’inevitabilità di questo fato, di fronte al quale le singole vite ci appaiono misere, impotenti.

Capolavoro.
 
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harry.haller

New member
recensione L'urlo e il furore

Premetto che è un grandissimo romanzo.
Un accuratissimo ritratto tutto americano di una famiglia del sud ora in decadenza.
Ovviamente ciò che si nota subito è la tecnica di scrittura(stream of consciousness) attraverso la quale l'autore ci racconta l'intera vicenda.
Non so perchè ma con Virginia Woolf questa tecnica risulta molto meno pesante e più chiara e scorrevole.
Faulkner appesantisce notevolmente il romanzo pur descrivendo con un'abilità e una maestria singolari gli eventi mano a mano che si svolgono.
Un libro che merita di essere letto più che altro per conoscere questo gradissimo autore premio Nobel ma,almeno per me,impossibile da rileggere.
Mi riesce difficile dare un voto unico perciò darei un 9 per quanto riguarda la fattezza di questo romanzo e un 4 1/2 per la scorrevolezza e la godibilità.
E' la mia prima recensione nperciò non massacratemi:mrgreen:
haller
 

ayuthaya

Moderator
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Un libro che merita di essere letto più che altro per conoscere questo gradissimo autore premio Nobel ma,almeno per me,impossibile da rileggere.
Mi riesce difficile dare un voto unico perciò darei un 9 per quanto riguarda la fattezza di questo romanzo e un 4 1/2 per la scorrevolezza e la godibilità.

Ti dico solo che io ho interamente riletto il monologo di Ben mentre ero arrivata a metà di quello di Jason, e sto rileggendo (con calma) quello di Quentin ora che ho finito il libro intero. Secondo me, invece, è un libro che può essere interamente apprezzato solo leggendolo due volte, appunto perchè l'effetto "sconvolgente" e disorientante, determinato dalla tecnica narrativa (portata a livelli estremi, come dici tu), non permette di cogliere tantissime sfumature che invece, una volta capito il meccanismo e chiara la vicenda, meritano di essere apprezzate...
Tranquillo, nessun massacro! Ognuno ha la propria opinione! :wink:
 
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alessandra

Lunatic Mod
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Anch'io avevo riletto immediatamente i monologhi di Benjamin e di Quentin e tutto mi era apparso molto più "chiaro" (!)
La stessa cosa ho fatto con Mentre morivo, sempre di Faulkner ma un po' meno difficile. Mi è venuto naturale, in entrambi i casi, rileggere alcune parti, che si apprezzano di più una volta che si ha in mente una sorta di quadro complessivo.
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Fuori concorso al Festival di Venezia: The sound and the fury di James Franco :HIPP Sono curiosissima e ho scoperto per caso che esiste già una trasposizione cinematografica, nel 1959! Sono curiosissima di vederli, ma come diavolo si fa a trarre un film da questo libro?
 

Brandy Alexander

New member
Fuori concorso al Festival di Venezia: The sound and the fury di James Franco :HIPP Sono curiosissima e ho scoperto per caso che esiste già una trasposizione cinematografica, nel 1959! Sono curiosissima di vederli, ma come diavolo si fa a trarre un film da questo libro?

James franco ormai si è fissato... Dopo aver (diretto e) interpretato Darl in "As I lay dying" adesso farà Benjy...
Tim Blake Nelson comunque è perfetto come personaggio Faulkneriano....
 

harry.haller

New member
Ti dico solo che io ho interamente riletto il monologo di Ben mentre ero arrivata a metà di quello di Jason, e sto rileggendo (con calma) quello di Quentin ora che ho finito il libro intero. Secondo me, invece, è un libro che può essere interamente apprezzato solo leggendolo due volte, appunto perchè l'effetto "sconvolgente" e disorientante, determinato dalla tecnica narrativa (portata a livelli estremi, come dici tu), non permette di cogliere tantissime sfumature che invece, una volta capito il meccanismo e chiara la vicenda, meritano di essere apprezzate...
Tranquillo, nessun massacro! Ognuno ha la propria opinione! :wink:

si probabilmente hai ragione...e comunque il bello del leggere è anche confrontarsi con pareri diversi quindi sono contento quando trovo qualcuno che si è formato opinioni diverse su determinati argomenti:wink:
magari proverò a rileggerlo anche se ammetto di non aver quasi mai letto due volte lo stesso libro:wink:
haller
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
James franco ormai si è fissato... Dopo aver (diretto e) interpretato Darl in "As I lay dying" adesso farà Benjy...
Tim Blake Nelson comunque è perfetto come personaggio Faulkneriano....

Il volto di James Franco me lo fa immaginare meglio nella parte di Quentin che di Benjy.
Anni fa, leggendo il libro, immaginavo il padre con la faccia di Michael Caine (quando era più giovane :mrgreen:)
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Enigmatico, confuso, delirante, a tratti convulso. Questo libro è quanto di più frammentario io abbia letto, sia sul piano temporale che della narrazione. E' la storia delle disavventure dei Compson, una famiglia bianca del Sud degli Stati Uniti ora in rovina, e della loro servitù. Si tratta di un romanzo corale, giacché la narrazione è affidata a quattro personaggi diversi, il che non fa che aumentare ancora la frammentazione, semmai ce ne fosse bisogno.
Il tema principale vuole essere la profonda differenza tra bianchi e neri in quel particolare periodo storico ed in quella specifica zona degli Stati Uniti… ma, sinceramente, darei un premio a chiunque sia riuscito ad individuarne pienamente i termini. So che mi attirerò le ire di molti, che darò l'impressione di faciloneria, che Faulkner è un autore da Nobel, molto amato e di valore, ma a me questo romanzo proprio non è andato giù. Non è il primo che leggo di Faulkner – l'anno scorso avevo letto Luce d'agosto sul quale avevo espresso considerazioni nettamente diverse – quindi non credo di avere un problema con l'autore… ciò che più mi ha disturbato nella lettura è stato proprio l'uso voluto e smodato di dialoghi fatti di frasi brevi e ripetute ed alternati a lunghi flussi di coscienza il cui legame col testo precedente era alquanto sfuggente, per usare un eufemismo. Mi dispiace, ma non mi sento di consigliare questo libro: certamente avrà grande valore, ma, molto francamente, non credo che la bravura di un autore stia nel rendere il suo testo il più impenetrabile possibile e nel trattare un tema così importante senza farsi capire. Sia chiaro, comunque, che questa è la mia opinione personale da lettrice e che non ho alcuna competenza nel giudicare un'opera letteraria, specie se firmata da un autore così importante.
 
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