Silone, Ignazio - Vino e pane

Ellis

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Ignazio Silone- Vino e pane
E' il secondo romanzo di Ignazio Silone, scritto in esilio nel 1936-37, in un momento cruciale della vita italiana, qualche anno dopo il successo internazionale arriso a Fontamara. Ed è il libro in cui viene definendosi quella linea più decisamente moralistica, di interrogatore� appassionato della coscienza, che caratterizza tutte le opere successive dello scrittore. Accanto alle numerose figure di rivoluzionari del nostro tempo fissate nella recente narrativa italiana, quella di Pietro Spina, protagonista di Vino e pane, rimane inconfondibile, appunto per il tipo di tensione spirituale che incarna ed esprime. Il medesimo impulso morale che lo aveva indotto a rivoltarsi contro una società odiosa e le sue istituzioni, e ad accettare la disciplina e i rischi dell'azione cospirativa, lo pone a un certo momento in difficoltà con i suoi stessi compagni. Con Vino e pane inizia un discorso serrato, che Silone continua a condurre.

Semplicemente stile Silone!! :)
 
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Ellis

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C'è anche tutta una parte sulla "riscoperta" della Fede abbastanza interessante!
Finale a sorpresissima!
 

Masetto

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Benchè ideologicamente "impegnato" è un romanzo scorrevole e anche avvincente, con personaggi interessanti perchè coinvolti in una battaglia "per il bene" (in questo caso l'antifascismo).
Personaggi che cmq conservano la loro umanità, le loro debolezze, i loro dubbi... insomma non sono solo astratte personificazioni di un'idea politica.

(Di Silone xò mi ha colpito molto che, da indizi emersi in questi ultimi anni, pare sia stato un informatore della polizia fascista... parrebbe allora che nei suoi libri abbia come voluto "espiare" le sue colpe)
 
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leonardodavinci

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Masetto ha scritto:
Benchè ideologicamente âimpegnato è un romanzo scorrevole e anche avvincente, con personaggi interessanti perché coinvolti in una battaglia "per il beneâ€� (in questo caso l'antifascismo).
Personaggi che cmq conservano la loro umanit, le loro debolezze, i loro dubbi, insomma non sono solo astratte personificazioni di un'idea politica.

(Di Silone xò mi ha colpito molto che, da indizi emersi in questi ultimi anni, pare sia stato un informatore della polizia fascista, parrebbe allora che nei suoi libri abbia come voluto "espiare" le sue colpe)
mi riesce difficile credere sia stato un informatore della polizia segreta. Certamente si è sentito colpevole del fatto di essere scampato alla morte fuggendo dall' italia, mentre il fratello veniva arrestato e moriva in mano ai fascisti.
 
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leonardodavinci

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DISPUTE Un libro bianco della Fondazione Nenni, diretta da Giuseppe Tamburrano, risponde alle accuse di Dario Biocca e Mauro Canali e sostiene che l'autore di «Fontamara» non fu una spia del fascismo

SILONE In difesa di un «povero cristiano»

di DARIO FERTILIO

Sarà pure, come dichiarano i difensori di Silone, un nuovo «caso Dreyfus». Persecuzione o no, sta di fatto che la spy story nata intorno allo scrittore, accusato di essersi comportato da «spia fascista», contiene ormai tutti gli ingredienti del dramma vero, compresi i colpi di scena, i pamphlet, le polemiche a puntate fra detrattori e innocentisti. Un po' come, all'inizio del secolo, la Francia si divise pro o contro Drefyus, l'ufficiale ebreo accusato di aver complottato con il nemico tedesco. A differenza di quello, tuttavia, questo è un giallo postumo, lo scrittore abruzzese, tanto tormentato in vita quanto inconsapevole delle polemiche che avrebbe alimentato da morto, riposa ormai da 22 anni a Pescina, suo paese natale. Ma le storie spionistiche, si sa, non hanno riguardo per nessuno; anzi, più sono sporche e intricate, più coinvolgono gli appassionati. Ecco perché, mentre si annuncia un libro bianco della Fondazione Nenni in difesa di Silone, nessuno ormai saprebbe più dire con certezza quali obiettivi storici siano perseguiti dalle due parti, nè tantomeno quale sentenza finale ci sia da aspettarsi. Di sicuro c'è soltanto che la tesi di Dario Biocca e Mauro Canali, i due storici colpevolisti, mira a presentare lo scrittore come una spia del regime fascista fin da giovanissima età, con l'aggravante di aver profittato del suo ruolo di dirigente comunista internazionale, sia pure in esilio, per incastrare alcuni compagni di partito e fornire al regime importanti informazioni sulla resistenza antifascista.
Altrettanto certo è che lo storico Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni, aiutato da due ricercatori, Giovanna Granati e Alfonso Isinelli, non ha esitato dall'inizio a prendere le difese di Silone. Lo ammette lui stesso: «Il libro nasce dal fatto che istintivamente, come Montanelli, Bettiza, Bobbio o lo scomparso Herling, ho rifiutato l'accusa rivolta a Silone, e ho ritenuto che il mio rifiuto dovesse essere corroborato dalle prove». Morale: Tamburrano e i suoi hanno passato al microscopio i documenti accusatori, pubblicati su quotidiani, riviste e, soprattutto, nel saggio «L'informatore. Silone, i comunisti e la polizia», a firma di Biocca e Canali. L'indagine, poi, si è allargata, sicchè il libro bianco, almeno «all'85 per cento» si può considerare già scritto.
Va da sè che i difensori di Silone sono convinti di poter smontare tutte le tesi probatorie dell'accusa, riabilitando pienamente la figura dello scrittore. Non si tratta di una battaglia combattuta esclusivamente sui documenti: Tamburrano tiene a precisare che molti argomenti sono squisitamente «logici», tengono conto cioè del contesto storico in cui si svolsero i fatti. Alcuni di questi interrogativi, in effetti, inducono a riflettere. Non appare «logico», ad esempio, il comportamento della polizia segreta fascista, l'Ovra, la quale si astiene dal chiedere al suo informatore, arruolato (secondo Biocca e Canali) ormai da molti anni e, nel frattempo, asceso ai vertici del Partito comunista clandestino, rapporti più dettagliati e decisivi di quelli molto generici che lui invia. Un'elementare tecnica spionistica, sostengono gli autori del libro bianco, insegna alcune cose: se si vogliono ottenere rapporti più precisi da una spia già compromessa, la si può facilmente ricattare; si compila subito un dossier su di lui, anche se l'agente è coperto, e tanto più se collocato in una posizione chiave del fronte nemico (di questo dossier invece, fino al 1928, non vi è traccia); se le minacce non ottengono i risultati voluti, si può bruciare la spia denunciandola ai suoi compagni. Opportunità, quest'ultima, che si sarebbe presentata ai fascisti, per così dire, servita su un piatto d'argento: Silone, esule all'estero, una volta smascherato come spia sarebbe stato esposto alle rappresaglie dei comunisti. E perchè i professionisti dell'Ovra non avrebbero dovuto ricorrere a questa tecnica, infame quanto si vuole ma, in fin dei conti, giustificata dalla logica di guerra? Se lo avessero fatto, avrebbero, se non altro, ottenuto di chiudere la bocca a uno scrittore già famoso, un intellettuale che con il romanzo «Fontamara» aveva formulato un'accusa durissima contro il fascismo, colpevole non solo e non tanto di aver abolito la libertà, quanto di infierire contro un popolo di cafoni sfruttati.
Fra le considerazioni centrali del libro bianco c'è poi, per esprimerci con linguaggio processuale, la mancanza di un plausibile movente: perchè Silone avrebbe dovuto diventare spia nel 1919, quando i socialisti sembravano destinati a conquistare il potere, e confidandosi poi a un piccolo funzionario della Questura di Roma? Perchè avrebbe dovuto restare, paradossalmente, fedele a Mussolini nell'ottobre del 1924, quando il Partito fascista sembrava in ginocchio dopo il delitto Matteotti? E perchè, se davvero il regime avesse tenuto al suo illustre informatore, avrebbe lasciato morire in carcere il fratello Romolo? Nel libro bianco esistono poi alcune prove documentarie, come la richiesta da parte del ministero dell'Interno ai questori abruzzesi di cercare qualche episodio infamante per screditare Silone all'estero: che bisogno ne avrebbero avuto, se fosse stato una spia ufficiale? Anche le ricerche fatte nei vari archivi, da Tamburrano e dai suoi collaboratori, non hanno prodotto nulla che incolpi Silone, soltanto vaghe tracce di suoi contatti con la polizia, spiegabili con l'intento di aiutare il fratello e per le quali i ricercatori ipotizzano addirittura un possibile avallo da parte di Togliatti. Come dire: la «colpa» di Silone era così lieve da poter essere compresa e scusata persino da «rivoluzionari di professione».
Naturalmente, nemmeno in calce a questo libro bianco si potrà scrivere davvero la parola fine. I colpevolisti osserveranno che, in genere, negli archivi «gli storici trovano soltanto quello che vogliono trovare». Per cui, il giallo non finisce qui: ma, per ora, Silone, il «povero cristiano», non finirà all'inferno.


Per saperne di più : il saggio di Biocca e Canali «L'informatore. Silone, i comunisti e la polizia» è edito da Luni; il libro bianco della Fondazione Nenni uscirà entro l'anno.

Corriere della Sera
2 Settembre 2000

Non fu una spia :un libro bianco di Tamburrano


- Tra chi non vuole credere che Ignazio Silone sia stato un informatore della polizia c'è senz'altro lo storico Giuseppe Tamburrano: oggi, prima del Convegno nazionale a cui non parteciperà, presenterà un "libro bianco" intitolato "Processo a Silone:la disavventura di un povero cristiano" ed edito da Lacaita che scagionerebbe completamente l'autore di Fontamara, Vino e Pane, Uscita di sicurezza... Tamburrano, insieme ai ricercatori Gianna Granati e Alfonso Isinelli, ha condotto una ricerca (in cui include una «importante» perizia calligrafica) che smonterebbe «il castello di illazioni montato dagli storici Dario Biocca e Mauro Canali» ovvero i documenti che attestano una lunga collaborazione (dal 1919 al 1930) dell'allora dirigente comunista prima con la polizia del regno e poi con l'Ovra.

ROMA 27 aprile 2001
 
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Brandy Alexander

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Capolavoro.
Le ultime pagine mi hanno fatto rabbrividire letteralmente, horror di montagna...
Grande Silone,


e poi una chicca sulla mentalità da post-terremoto che ho vissuto e mi fa pensare molto:

(...)La casa di Matalena era crollata anch'essa, come molte altre, nel terremoto del 1915.
-Era più grande di questa- a varie riprese raccontò Matalena -La buon'anima di mio marito aveva penato sei anni in Argentina per poterla costruire. Tutti i soldi che mi mandava, servivano per i muratori e i falegnami. Quando crollò la casa era finita appena da tre mesi. Io rimasi sepolta in cantina, una settimana. Veramente non sapevo che si trattasse di un terremoto. Credevo che fosse stato il malocchio e fosse crollata solo casa mia. Potete immaginarvi la mia disperazione. Quando dopo una settimana, le macerie furono sgombrate e e fu aperta una buca attraverso la quale potevo uscire, non mi sentivo il coraggio di farlo. "Lasciatemi morire qui" gridavo alla gente "non ho più voglia di vivere". Realmente non avevo più voglia di vivere. Ma la gente mi assicurò. "Quasi tutto il paese è crollato" si misero a gridare dalla buca "quasi tutta la Marsica è distrutta, trenta comuni sono stati rasi al suolo, cinquantamila morti sono stati finora contati" Era vero. Non era stato un malocchio privato, ma un castigo di Dio. Come dice il proverbio? "Disgrazia di tutti, niente disgrazia"...
 

Dallolio

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Spoiler.

Questo romanzo mi ha ricordato il miglior Dostoevskij, in quanto crea dei personaggi viventi, che dicono "io" e che coinvolgono il lettore nel loro angusto e drammatico punto di vista, senza però giungere a una conciliazione finale: ogni singolo alla fine del romanzo resta da solo e il dramma di ognuno continua, privo di senso e scopo; il personaggio che meglio incarna il dramma dell'esistenza e la sua totale gratuità e mancanza di senso è Cristina: lacerata tra una vocazione ecclesiastica fortemente avvertita e gli obblighi familiari, conclude il suo ciclo vitale in modo circolare, sbranata dai lupi, a testimonianza della nullità di senso e significato del tutto; un altro personaggio a mio avviso interessante è la nonna di Cristina che, in confessione con Don Paolo, afferma che è pronta all'Inferno e che non si pente di nulla, forte testimonianza del netto rifiuto di ogni morale eterodiretta e consolatoria.
Unica pecca è l'inconsistenza della trama.

Voto: 8-
 

shvets olga

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“Vino e pane” è il primo libro in italiano che ho letto e grazie a questo romanzo ho trovato forumlibri:
volevo tradurre in russo e guardavo su internet se romanzo è già stato tradotto.
Personaggi femminili sono luminosi, con caratteri peculiari , è bellissima e dettagliata descrizione del loro modo di vivere, della loro vita quotidiana.
Il romanzo è stato per me una sorta di “enciclopedia della vita italiana” ((immigrazione, il terremoto, la povertà )
Traducevo le scene più emozionati a mio marito e gli avevo detto:”Vedi come hanno vissuto e come vivono ora! E ancora si lamentano.” :mrgreen:
Mi ricordo che non riuscivo a tradurre correttamente la frase “Separiamoci senza giacere insieme disse Margherita risoluta” :D, tradurre con particolare riferimento alla lingua parlata, senza volgarità.
Capolavoro, uno dei migliori romanzi italiani.
 

Minerva6

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L'ho finito stamattina... che dire? L'ho trovato molto commovente, soprattutto l'ultima parte, ma di quella commozione che fa bene al cuore.
Come ho già detto, ho deciso di iniziarlo dopo aver letto la prima parte del post di Dallolio, ora che ho proseguito nella lettura del suo commento non sono d'accordo solo sull'inconsistenza della trama, che io invece ho trovato coerente e ben strutturata, piuttosto forse non mi aspettavo quel finale, ma ci sta bene proprio per il motivo già da lui espresso.
Di certo le figure di Don Benedetto e soprattutto del finto don Paolo mi resteranno nel cuore :ad:.
Voglio proseguire nella scoperta di questo autore finora per me quasi sconosciuto (sapevo solo che aveva scritto Fontamara, ma ero all'oscuro delle tematiche da lui trattate, se l'avessi scoperto prima non avrei aspettato fino ad ora).

p.s. mi sono accorta del parallelo tra i nomi Paolo e Pietro (sono entrambi apostoli e martiri a Roma) e di quello tra i cognomi Spada e Spina (sono entrambi oggetti che possono ferire il corpo)
 
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Dallolio

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Anch'io l'ho scoperto solo quest'anno, ma ho scoperto un mondo... tra l'altro Fontamara è ambientato nella stessa zona ma è dalla prospettiva dei "cafoni" e non più dei piccolo - borghesi... inoltre ho appena letto su wikipedia che le avventure di Pietro Spina non sono finite, in quanto Silone ha scritto anche il seguito, ma in libreria non l'ho trovato.
Anche a me è piaciuto molto don Benedetto, specialmente quando si chiede con angoscia quanto e acosa è servito il suo lavoro... sono le stesse domande che mi faccio anch'io quando rivedo degli ex alunni.
 

elisa

Motherator
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Capolavoro dello scrittore abruzzese che riesce a trovare un equilibrio perfetto tra ambientazione, storia, racconto, ideologia ed etica. Non facile se si pensa che è stato scritto nel 1936 e pubblicato in Italia nel 1955. Silone riesce a mantenere una coerenza sin dalla prima pagina e a raccontare la vita dei cafoni con umanità ma nello stesso tempo anche con realtà. Ed è il suo senso del reale che colpisce nella lettura di questo romanzo. Realtà della storia e realtà anche della finzione. Una lettura consigliata perché profondamente connaturata con il nostro essere italiani e cristiani, nostro malgrado.
 

francesca

Well-known member
Finita la lettura di Vino e pane che mi è piaciuta essendo questo un romanzo che rientra nelle mie corde di lettrice, sono però rimasta perplessa perché sentivo di non riuscire ad afferrarne fino in fondo il senso.
Nel libro ci sono tutti gli elementi tipici della letteratura italiana del periodo fascista e post bellico, l’attenzione agli umili, che diventano i protagonisti di molti romanzi, l’istanze sociali, l’urgenze politiche, il mondo femminile in bilico fra l’ignoranza delle contadine e il desiderio di riscatto delle giovani che passa sempre attraverso scelte sbagliate e dolorose (come accade a Bianchina) o non riesci comunque a completarsi fino in fondo (come succede a Cristina).
Sentivo che comunque continuava a sfuggirmi qualcosa. Ho dovuto leggere la bibliografia di Silone (che avevo ampiamente scordato dai tempi liceali di Fontamara) e qualche recensione per capire cosa: il libro è autobiografico.
Pietro Spina è lo stesso Silone, il tormento del protaonista è quello dell’autore, che iniserisce nella narrazione personaggi e fatti della sua vita. Don Benedetto è don Orione che è stato suo mentore e punto di riferimento. Murica è il fratello morto in carcere.
Tutto il libro è disseminato di accadimenti veri della vita di Silone, uno fra tutto la sua espulsione dal partito socialista, e popolato da personaggi che rimandano a persone reali.
In questo estratto dalla recensione riportata al link: http://www.italialibri.net/opere/vinoepane.html ho trovato il pezzo che mi mancava per capire fino in fondo il romanzo:
“Vino e Pane è dunque una delle molteplici versioni del romanzo di un ragazzo sfortunato, che fu preda di uomini senza scrupoli e fu aiutato da personalità straordinarie. Al tempo stesso troppo debole per prevalere e troppo forte per soccombere, egli ha operato per tutta la vita, nell’eccessiva complicazione delle proprie vicende personali, per sfuggire a una sorte catastrofica e ha cercato nella letteratura di venire a capo di quel garbuglio inenarrabile.”
Questo l’intento di Silone, il rimuginare sulle proprie vicende cercandone un senso, nella sofferenza della mancanza di equilibrio di chi si sente troppo debole per imporsi ma troppo forte per adattarsi per quieto vivere, magistralmente resa nel tormento di Pietro Spina; questa anche la sua resa al disincanto ben riportata con l’immagine finale di Cristina che si abbandona ai lupi: il male trionfa vince sul bene, per Silone non c’è via d’uscita reale.

Francesco
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
nella sofferenza della mancanza di equilibrio di chi si sente troppo debole per imporsi ma troppo forte per adattarsi per quieto vivere, magistralmente resa nel tormento di Pietro Spina

Ecco perché questo personaggio mi era entrato così nel cuore :ad:... Anche a me manca l'equilibrio, mi sento allo stesso tempo troppo debole per predominare sugli altri ma anche troppo forte per accettare determinate condizioni solo per quieto vivere :W
 
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