Spielberg, Steven - Incontri ravvicinati del terzo tipo

Masetto

New member
Riporto, a commento di questo splendido film, un articolo di Mario Soldati:

<< Due settimane fa, mentre assistevo alla proiezione di Incontri ravvicinati del terzo tipo mi è sembrato, a cominciare da un certo punto, di provare qualcosa che era profondamente diverso da tutto ciò che avevo provato, prima, vedendo altri film fantascientifici, o anche leggendo romanzi dello stesso genere.
Mi sono subito affannato a cercare, nei molti articoli che giornalisti e scrittori continuavano a dedicare all'argomento, una spiegazione di ciò che avevo provato. Tutti parlano bene del film: alcuni lo esaltano, addirittura lo chiamano «eccezionale»; la Ginzburg, che ha gusti giustamente difficili, lo approva; e non lo disapprova neanche il severo e scettico Laurenzi... Sennonché io, sforzandomi così di capire ciò che avevo provato, intanto capisco di non tendere, nel mio sforzo, a un giudizio sulle qualità artistiche del film, ma più ancora, o prima ancora, alla scoperta del suo misterioso significato.
Il punto, il momento in cui il film ha incominciato a interessarmi davvero, è stato l'atterraggio del colossale disco volante, l'astronave lampeggiante di mille colori, rombante quasi al limite della tollerabilità fonica col boato di dieci Concorde riuniti e tuttavia armonica come col suono di dieci organi di cattedrale sovrapposti. Credo che la grandissima maggioranza degli spettatori sia, in proposito, d'accordo con me. Mai, fino a oggi, da quando esiste lo spettacolo e da quando il settecentesco teatro-cannocchiale di Drottningsholm, attraverso l'evoluzione del progresso tecnico, a poco a poco è diventato cinema, l'umanità ha potuto godere di uno stupore altrettanto smisurato, innocuo, e tuttavia prodotto artificialmente.
«È del poeta il fin la meraviglia»: il recipe del barocco tocca qui una vetta che non sappiamo quando sarà superata. Solo Baudelaire, nel sublime delirio di uno dei suoi sogni quotidiani, immaginò un simile portento audiovisivo: "Ho visto a volte, in fondo a un teatro banale Infiammato dall'orchestra sonora, Una fata accendere in un ciclo infernale Una miracolosa aurora..." Una miracolosa aurora. Appunto. E questo effetto ottico ammutolisce, sbalordisce: un calcolo della prospettiva fantastico e preciso aveva preparato gli spettatori a rendersi conto delle proporzioni dell'astronave quando questa finalmente sarebbe apparsa. La pista di atterraggio è pronta in cima alla Torre del Diavolo, quella Devil's Tower che è una montagna realmente esistente nel Wyoming: immensa rocca naturale a forma di cono tronco. Abbiamo anche noi qualcosa di molto simile in provincia di Reggio Emilia. Ne parla Dante. La Rocca di Bismantova, che del resto assomiglia a una portaerei prodigiosamente ancorata in un'alta valle dell'Appennino.
Orbene, non soltanto attraverso perfetti modellini, ma anche con scene girate nel Wyoming, sui luoghi autentici, gli spettatori si erano resi conto dell'immensità della Devil's Tower, confrontandola alla misura umana di alcuni attori che vi danno la scalata appunto per assistere all'atterraggio dell'Ufo. Accade così che quando il disco volante sta per arrivare, a un tratto nel ciclo notturno e tempestoso sorge il semicerchio roseo di un'aurora boreale: la nera e ormai nota sagoma della Torre del Diavolo vi si staglia contro con le sue dimensioni ciclopiche: intanto il semicerchio luminoso e iridato velocemente si allarga, si avvicina, aumenta di intensità: finché, ecco l'astronave, eccola, ed è immane, più grande di quanto gli spettatori se la immaginavano, più grande, infinitamente più grande, più grande della stessa Torre del Diavolo!
L'astronave atterra. Avanza adagio col rombo tuonante dei suoi colossali motori verso l'esercito dei tecnici che la attendono alla fine della pista, immobili e schierati in ordine sparso intorno alle complicate cattedre dei computer. L'astronave si ferma.
Al centro dei computer, e apparentemente non diversa da questi, è la tastiera di un organo elettronico. Nel silenzio e nell'immobilità generale, il tecnico-musicista che siede alla tastiera intona una breve frase melodica a stabiliti intervalli armonici e aritmetici, che già era servita come segnale per comunicare con gli extra-terrestri: la, re, sol, sol (un'ottava sotto), re. E l'astronave, allora, risponde con la stessa frase, e la ripete con diversi successivi timbri, fino al basso profondissimo di un portentoso controfagotto che avrebbe mandato in visibilio Riccardo Wagner. Sennonché, l'essenziale non è la meraviglia fonica, finora inaudita e finora addirittura impensabile, di quel basso profondissimo. L'essenziale è che un timbro così mostruosamente vicino al limite estremo delle più ampie vibrazioni sia in grado di riprodurre, e noi di recepire, il segnale: quella breve frase melodica dalle misure umane. Dalla bocca dell'astronave, come dalla poppa di un traghetto, appaiono infine, e scendono ai bordi della pista, gli extraterrestri: l'incandescenza abbagliante che dilaga dall'interno quasi spappola i contorni delle loro fattezze. Ma vediamo benissimo che sono piccoli come nostri bambini di cinque o sei anni, e orribilmente magri, macrocefali, calvi e glabri: palpebre senza ciglia su bulbi oculari basedowiani, braccia e gambe filiformi... Dov'è che li abbiamo già visti?
Li abbiamo già visti negli affreschi gotici, nelle miniature medioevali che raffigurano le anime condannate al limbo. O in certe illustrazioni del vestibolo dell'Inferno dantesco: questi sciagurati che mai non fur vivi. O anche nelle foto dei rari bambini superstiti che furono trovati nei lager nazisti alla fine della guerra, e nelle foto dei bambini delle zone più disperate dell'India, in epoca di carestia.
L'aspetto di questi extraterrestri è rivoltante, quasi di feti malnutriti che camminano, parlano, gestiscono, sorridono. Sì, sorridono agli uomini che sono schierati davanti a loro. Ma come sorridono? Ebbene, come sorridono è senza dubbio la cosa più importante di tutto il film. Sorridono con la coscienza della schifosa bruttezza del proprio corpo, che è soltanto una versione disarmonica, illogica, dannata del normale corpo umano. Sorridono agli uomini schierati davanti a loro, e sembra che così sorridano anche a noi spettatori del film, chiedendo palesemente pietà. Anche se per intelligenza e per forma di civiltà raggiunta si sanno superiori a noi e immensamente più progrediti di noi, ci sorridono con dolce mestizia, chiedendoci pietà per la loro bruttezza.
Ed è a questo punto, a mia volta commosso da quel sorriso miserabile, che credo di scoprire finalmente perché questo film di fantascienza sia così diverso da tutti quelli che lo hanno preceduto.
Da quando Pareto studiò le Azioni non-logiche nella storia dell'umanità, noi sappiamo che una leggenda, una credenza popolare, un comportamento di massa, insomma qualunque mito deve essere analizzato non astrattamente, non in se stesso, ma in ciò che esso significa per coloro che lo hanno inventato e che ci credono.
Un'analisi di questo genere ci porta a concludere che il progresso scientifico e tecnologico delle facilità di comunicazione ha determinato nell'umanità attuale una inarrestabile decadenza del grande mito, che va da Omero fino a Melville, dell'evasione avventurosa (viaggi, scoperte, colonizzazioni, etc.) e ha cercato di sostituirlo con il mito dell'evasione negli spazi interplanetari o interstellari. Chiaro che tra i due miti esiste una invalicabile differenza: l'avventura terrestre si svolgeva pur sempre in quella atmosfera che è necessaria alla vita degli animali; l'avventura spaziale no.
Il più famoso racconto di un'avventura terrestre, Robinson Crusoe, disse gli incanti di una natura vergine, esaltò una vita primitiva che tuttavia conservava l'eredità della precedente storia umana, e scoprì addirittura il fascino di una totale solitudine dell'uomo.
Il più famoso mito moderno, il mito dello Spazio, scopre l'angoscia della solitudine e dice l'orrore o, se vogliamo, il fascino negativo di creature diverse da noi e magari simili a colossali insetti... Queste fantasie atroci rivelano nell'umanità di oggi una stanchezza, una disperazione, un viscerale terrore del futuro e dell'ignoto, e un tipo di comportamento regressivo che la spinge verso gli spettacoli, le immagini e i suoni che più le ripugnano in quanto essenzialmente disumani: è un'attrazione verso l'abisso, la morte, il nulla, una brama di finale dissolvimento.
Ora, il film Incontri ravvicinati del terzo tipo celebra invece la gloria dell'uomo. La fantasia, con cui l'astronave è stata architettata e presentata, meraviglia e entusiasma proprio perché tiene sempre calcolo della misura umana, mentre questa misura, negli altri film, non esiste o viene ridicolizzata: vedi, per fare un solo esempio, Odissea nello spazio, dove le astronavi fanno pensare, tutt'al più, a enormi giocattoli di latta. Umano, negli Incontri, il delizioso dialogo musicale
tra terrestri e extraterrestri. Umanissimo e, soprattutto, rivolto agli umani, il sorriso dei poveri omuncoli. Lo so benissimo: con ogni probabilità il regista Steven Spielberg e i collaboratori di Incontri, compreso il bravissimo sebbene ingenuo Truffaut, non hanno dato volontariamente né consapevolmente questo significato al loro film, e si meraviglierebbero della mia interpretazione. Ma i più grandi risultati, nell'arte e nella vita, sono sempre, più o meno, involontari e inconsapevoli.
La pubblicità del film insiste sullo slogan Noi non siamo soli allacciandosi appunto all'angoscia esistenziale che fa parte del mito dello Spazio e che è tanto di moda, oggi, negli Stati Uniti. In uno dei sobborghi più squallidi di Oakland, California, ricordo di avere visto, poco tempo fa, questa scritta su un muro: “Mummy I am NOT ALONE!” Mamma non sono solo.
In un momento in cui il problema più grave dell'umanità è quello della sovrappopolazione, questa angoscia mi sembra comica. Se amo gli Stati Uniti è per la vastità del territorio, per le grandi foreste disabitate, per la stupenda solitudine che offrono a ciascuno.
Certo, anche emigrare in altre galassie sarebbe un modo di risolvere il problema della sovrappopolazione. Ma come mai nessuno pensa al rischio che le comunicazioni spaziali potrebbero comportare? a un'invasione di creature che vivrebbero in un pianeta molto più affollato della Terra e che cercherebbero un posto al nostro sole?
No, no. La sensazione di ottimismo, intima e finale, che tutti noi proviamo assistendo a Incontri, non dipende dalla storia che il film racconta, dalla possibilità di incontrare gente diversa da noi e di andare, Dio guardi! a vivere con loro: dipende, al contrario, dalla fantasia profondamente allegra con cui la storia è raccontata, e dalla gioia che ci procurano le ultime sequenze, quando vediamo quei mostriciattoli, quegli skilamadrùl senza diake e senza cui: gioia orgogliosa di riconoscerci uomini fatti appunto come siamo fatti e cionondimeno capaci - qualunque sala cinematografica, dopo tutto, è solo un teatro banale - capaci di immaginare, e di rappresentare con l'arte, una miracolosa aurora. «Signori spettatori - dice in sostanza il film - signori spettatori! La meraviglia che avete visto è opera di uomini come noi e come voi!». >>
 

elena

aunt member
Ma perché i grandi riescono a descrivere la realtà che tutti vediamo ma utilizzando parole e cogliendo significati che alla generalità dei comuni mortali spesso sfuggono :?!?!?!?!
Bellissimo questo commento di Soldati a questo grande film: grazie Masetto per averlo inserito :D
 

fabiog

New member
Ho rivisto ieri pomeriggio questo film, e ne son stato contento perchè mi ero quasi dimenticato di quanto fosse bello.
Spielberg riesce a trasmetterci a meraviglia quello "sguardo " da fanciullo che ha caratterizzato tanti suoi film ( soprattutto questo e E.T ) raccontandoci una storia di vera e propria unione universale. L' eterno bambino è ben raffigurato in alcuni protagonisti del film , pensiamo allo scienziato impersonato da Truffot e al personaggio interpretato da Richard Dreyfuss, adulti che sentono dentro di loro una voglia irresistibile di infinito.
Bellissima, poi, l'idea di far comunicare alieni e terrestri attraverso la musica, l'arte che forse più di tutte può veramente unire l'universo, e il saluto finale tra l'alieno e Truffot è un bellissimo messaggio di pace e comunione.
 

Masetto

New member
Spielberg riesce a trasmetterci a meraviglia quello "sguardo " da fanciullo che ha caratterizzato tanti suoi film ( soprattutto questo e E.T ) raccontandoci una storia di vera e propria unione universale. L' eterno bambino è ben raffigurato in alcuni protagonisti del film , pensiamo allo scienziato impersonato da Truffot e al personaggio interpretato da Richard Dreyfuss, adulti che sentono dentro di loro una voglia irresistibile di infinito.
Bellissima, poi, l'idea di far comunicare alieni e terrestri attraverso la musica
Quoto :)

......
 

Mizar

Alfaheimr
Bel film.
Credo che l'idea delle quattro (cinque?:W) note di saluto siano affiorate all'immaginazione di Spielberg in ricordo delle voyagerate beethoveniane :wink:
 

alessandra

Lunatic Mod
Membro dello Staff
Bel film sul tema del diverso e sull'incontro tra "razze". Barry aveva ragione e così l'eterno bambino Roy, con le sue ossessioni: il regista sembra voler sottolineare la lungimiranza e l'istinto quasi infallibile dell'infanzia e la necessità di seguire, talvolta, il proprio lato irrazionale. Alcune scene sono emozionanti e piacevolmente ansiogene, la forma della Torre del Diavolo che ricorre continuamente, gli oggetti che si muovono da soli e poi bellissima la scena finale, la musica, lo sguardo incredibilmente dolce e amichevole dell'alieno.
 
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