Pamuk, Orhan - Neve

Wilkinson

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Investita da una tormenta di neve, la città è un miscuglio di etnie e fazioni politiche. Ci sono turchi, curdi, georgiani, nazionalisti laici e integralisti religiosi. C'è la polizia segreta, c'è l'esercito e ci sono i terroristi islamici. Ka inizia la sua indagine, mentre la neve continua a cadere e le strade vengono chiuse. Kars è isolata. La situazione precipita quando una compagnia di teatro mette in scena un dramma in sostegno della laicità dello Stato . Ka viene coinvolto suo malgrado ed è uno spettatore smarrito..

Forse il migliore dei romanzi del Nobel Pamuk, un libro dove la complessità si dipana su diversi livelli e diventa quasi un simbolo della realtà. Domina un senso di isolamento che attanaglia e ben rende la solitudine umana. Ogni capitolo sembra aggiungere qualcosa alla stratificazione della vicenda.
 
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elisa

Motherator
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sicuramente uno dei libri che metterò in lista, perchè ho amato all'inverosimile Il libro nero
 

elena

aunt member
Anche io lo metto in lista......perché ho amato all'inverosimile Il mio nome è rosso :wink:
 

elena

aunt member
Veramente degno del Pamuk al più alto livello......stupendo!

Interessantissima l'analisi delle diverse compagini presenti nella sperduta cittadina di Kars e nella Turchia in generale: è illuminante cogliere alcune realtà dall'interno e non come vengono descritte e recepite da osservatori esterni.....come il caso della lotta per il velo, condotta e portata avanti da donne che attribuiscno al velo non solo il valore di un simbolo ma soprattutto quello di uno strumento di lotta contro la dilagante occidentalizzazione del paese .......vissuta e percepita come inesorabile perdita di identità culturale.
Ricco di poesia, amore, introspezione ma anche analisi sociale e storica di un paese......è veramente un romanzo completo e affascinante!
 

MadLuke

New member
Leggendo la prefazione, sono rimasto piacevolmente sorpreso di trovare, tra alcune citazioni, anche Dostoevskij, che è in assoluto il mio autore preferito. Ed è evidente che l'autore di questo romanzo deve aver letto approfonditamente le opere del maestro, così come probabilmente quelle di altri autori russi dell'Ottocento, e ne ha fatto proprio lo stile narrativo.
Nel corso della narrazione delle vicende, egli inframezza lo sviluppo della trama con alcune considerazioni personali in prima persona, e con queste prende per mano il lettore spiegandogli alcune retroscena della trama, o aspetti più reconditi della psicologia dei personaggi, i motivi per cui agiscono in talune maniere, e come ogni altro grande autore, si permette il lusso di anticipare, sempre con la sua forma estremamente colloquiale, quelli che sono i fatti che verranno sviluppati nei capitoli successivi.

L'intero romanzo ruota intorno alla figura di Ka, un poeta turco esule in Germania, profondamente ferito dalla vita e timoroso della della felicità quanto del dolore, che come spesso succede, dopo gli anni sereni dell'infanzia e della fanciullezza si ritrova adulto completamente smarrito. Il ritorno alla sua città natale in Anatolia, fa rinascere in lui il conflitto tra la fede che aveva ormai dimenticato nella sua vita da occidentale in Germania, la felicità e il bisogno di essere amato come lui disperatamente desidera e necessita.
Egli si riconosce nella miseria e nelle difficoltà del suo popolo d'appartenenza, bisognoso dell'amore divino che Allah elargisce, per cui ritrova la fede che aveva perso, distratto dal benessere materiale in cui anche lui vive in Occidente. E tuttavia non esita a disfarsene nuovamente quando ritrova l'amore della ragazza di cui era innamorato anni prima.
Al pari dei protagonisti dei romanzi di Dostoevskij, Ka è debole, vulenrabile e ferito dalla vita, ma diversamente da principe Myskin o da Aleksa Karamazov non è affatto innocente. Nulla di ciò che di bello incontra, gli può concedere tregua dall'inquietudine che le circostanze difficili che si trova a vivere gli procurano, e neanche dalle passioni, sue e delle persone che incontra e che deve parimenti affrontare. Perché senza alcun punto fermo nella sua vita, il protagonista appare decisamente in balia degli eventi e dei suoi fragili stati d'animo che lo fanno apparire indubbiamente stolto.

Al tempo stesso non vuole e non può credere veramente in Allah come un turco, perché ormai quei luoghi non gli appartengono più, e il suo animo diviso tra Occidente e Islam lo rende una sorta di profugo ovunque egli si trovi.

Per il tema della correlazione tra società e religione, per la complessa psicologia di ogni personaggio, che comunque mai toglie spazio al rapido susseguirsi degli eventi, il romanzo avrebbe credo meritato anche il doppio delle pagine che l'autore, premio Nobel per la letteratura nel 2006, ha voluto dedicargli, ma forse per ragioni commerciali non ha potuto riprendere anche l'aspetto di "lentezza" delle grandi opere russe.
Un libro da leggere e rileggere, assolutamente.
 

ayuthaya

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In attesa del tempo (che non so quando avrò!) per una recensione più articolata, adempio brevemente ai miei compiti per la Sfida dicendo che anche questa volta il Nobel turco non mi ha delusa.

Sebbene non raggiunga la complessità e la ricchezza narrativa de Il libro nero, questo romanzo è riuscito comunque a tenermi incollata alle sue pagine. Neve è insieme un thriller, una storia d’amore e una coraggiosa analisi sulla situazione politica di una Turchia alle strette fra le minacce di un fondamentalismo islamico e il suo sforzo di non distogliere lo sguardo dall’Occidente e dalla modernità.
Vista la centralità di questo confronto (che ricorre in tutti i suoi romanzi) fra Oriente/Occidente (senza dare nulla per scontato e senza facili banalizzazioni), Neve è un romanzo che centra pienamente gli intenti di questa Sfida e soddisfa chiunque voglia interrogarsi sulla ricchezza e sui “pericoli” di una diversità fra culture per alcuni aspetti contrapposte.
 

ayuthaya

Moderator
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Ho letto questo libro (il mio terzo scritto da Pamuk) all’interno di una Sfida che ha per tema “culture lontane dalla nostra” e per stabilire le cui regole ci siamo confrontati sul significato della contrapposizione Oriente/Occidente. Come primo libro credo che non avrei potuto fare una scelta più appropriata, ma la cosa non mi meraviglia più di tanto, avendo già riconosciuto in questo incontro/scontro fra le due culture uno dei temi cari al Nobel turco.
Il mio nome è rosso, Il libro nero e, adesso, Neve: in ognuno di questi romanzi (e ogni volta in modo diverso) Pamuk si interroga sulla natura della distanza fra l’Oriente nel quale lui è cresciuto (la Turchia della seconda metà del secolo scorso) e il suo diretto rivale, ma anche modello a cui ispirarsi: l’Europa. Inutile fingere che alcune differenze non siano sostanziali, inutile anche illudersi che scegliere la strada della modernizzazione e della democratizzazione tout-court non porti delle conseguenze, in quanto racchiude il pericolo di una perdita di identità e di valori e – ancora più grave – il rischio di cadere, per reazione contraria, nelle mani del fondamentalismo islamico.

Se quindi il tema del confronto Oriente/Occidente alla ricerca di un possibile dialogo è noto ai lettori Pamuk e ricorre in tutti i suoi romanzi, ognuno di essi ne sviluppa un particolare aspetto. Nel caso di Neve, il più “politico” di quelli da me letti finora, uno dei problemi centrali sembra essere il modo in cui ognuna delle due parti viene vista e “giudicata” dall’altra. In particolare, il modo in cui la cultura islamica, la fede in Allah e più in generale qualsiasi aspetto della sensibilità “non occidentale” sono visti e giudicati da quella che sembra l’unica posizione riconosciuta: quella europea. Da ciò deriva un senso di “inferiorità” che pesa come una costrizione su tutti coloro che vorrebbero invece vedersi riconoscere il diritto a essere “altro”, fino al punto di rovesciare questo complesso nel suo contrario.
In uno dei capitoli chiave del romanzo, in cui i rappresentanti di diverse fazioni politiche si incontrano per sottoscrivere una dichiarazione da pubblicare poi in un giornale tedesco, uno dei personaggi afferma:
"Nonostante i nostri amici non abbiano parlato come i disonesti imitatori dell’Occidente, qui c’è comunque un’atmosfera di scuse e di perdono per non essere europei. Adesso scriva: io sono orgoglioso del mio lato non-europeo. Sono orgoglioso di tutto ciò che in me l’europeo trova d’infantile, di crudele e di primitivo. Se loro sono belli, io sarò brutto; se loro sono intelligenti, io sarò stupido; se loro sono moderni, io rimarrò inoocente."

Similmente, a fine romanzo (in una sorta di “messaggio ultimo”) uno dei personaggi raccomanda al narratore, alter ego dello stesso Pamuk: “Se mi mette in un romanzo ambientato a Kars vorrei dire ai lettori di non credere assolutamente a ciò che dice di noi. Nessuno può capirci da lontano.” “Tanto non ci crederebbe nessuno a un romanzo del genere.” “No, ci crederebbero, – disse di getto. – Per considerare se stessi intelligenti, superiori e umani, vorranno credere che noi siamo ridicoli e semplici, e che loro ci possono capire così come siamo, arrivando addirittura a provare affetto nei nostri confronti. Ma se mette questa mia frase, nelle loro menti si insinuerebbe il dubbio.”
É una raccomandazione che suona pesante e che viene rivolta direttamente a noi lettori, noi che pretendiamo di riuscire a “immedesimarci” in un personaggio, di volergli persino “bene”, per il solo fatto di averlo incontrato e accompagnato nelle pagine di un romanzo. Ma chi conosce bene Pamuk – autore che per nascita, formazione, vocazione, rappresenta davvero un “ponte” tra due mondi – non si fa ingannare da queste parole dure. Sono sì un monito, ma non per sostituire un rapporto di sudditanza con un altro, bensì proprio per mettere in discussione la facilità con cui si tende a “giudicarsi” senza mettersi davvero nei panni dell’altro.

Inutile aggiungere che questo è solo uno, benchè a mio avviso fondamentale, dei mille tasselli che compongono questo straordinario mosaico (un altro di grandissimo interesse e attualità è quello della fede in Allah, del significato di questa fede e del suo essere necessariamente o meno legata alle frange dell’integralismo).
Ancora una volta Pamuk mescola questi messaggi profondi, attualissimi, a un’atmosfera insieme romantica e noir: ne risulta una lettura estremamente accattivante, nonostante la cadenza sia quella lenta e silenziosa dei fiocchi di neve sulle strade di Kars. La storia d’amore è ancora una volta occasione per interrogarsi sul senso e sulla possibilità di una felicità assoluta ed eterna e, in questo romanzo, assume un particolare significato proprio in rapporto alla “precarietà” di questa illusione, specie quando è generata da noi stessi, dal nostro bisogno di amare e di essere amati a tutti i costi per dare un senso alla nostra vita. L’alternarsi di estrema felicità e disperazione, la paura di perdere qualcosa che si percepisce essere tutt’altro che un “diritto” o una certezza... tutto questo si inserisce con grande armonia nel disegno complessivo di Neve, che consiglio per tutto ciò che ho scritto e per tutto ciò (molto di più!) che non ho avuto tempo e spazio di scrivere.
 
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francesca

Well-known member
Neve è un romanzo che definirei un “multipiano”.
Ci sono tanti di quei piani di lettura che partono da ogni singolo evento, da ogni singolo personaggio e dalle sue relazioni, da ogni luogo, sala da tè, dialogo, da sentirsi confusi dopo poche pagine. Mentre si legge in ogni momento si ha la sensazione di poter afferrare una delle miriadi di interpretazioni possibili, ma dopo poche righe, ecco che si capisce che ci si sta dirigendo non in un’altra direzione, ma proprio in un’altra dimensione.
Neve è un romanzo sulla ricerca della felicità di ogni singolo individuo, in particolare del protagonista.
E’ un romanzo sulle contraddizioni che la politica di occidentalizzazione condotta nei primi del novecento da Ataturk ha portato nella società turca.
E’ un romanzo sull’eterno contrasto fra cultura occidentale e cultura orientale.
E’ un romanzo sulla dittatura.
E’ un romanzo sul teatro.
E’ un romanzo sulla fede.
E’ un romanzo sulla poesia, come nasce, come diventi chiave di interpretazione della realtà e unica verità possibile.
E’ un romanzo su Kars, città di confine, crogiuolo di etnie di tutti i tipi.
E’ un romanzo sulla vita alienata di tanti rifugiati politici in Europa.
E’ un romanzo sul tradimento.

Ma soprattutto è un romanzo sulla neve che copre tutto e tutti, attutisce, ammorbidisce, rende tutto misterioso e magico, rende tutto triste e squallido.

Per me è stata una lettura faticosa e in alcuni punti poco convincente; per esempio, durante tutto il romanzo, ho sempre sentito Ka come il personaggio di un libro, molto più “veri” il padre di Kadife e Ipeke, il terrorista Blu, lo studente Necip.
Forse è proprio la non appartenenza a nessun posto e a nessuna cultura che fa di Ka un elemento quasi stonato, con la sua ricerca spasmodica della felicità, con la sua ingenuità, con la sua meschineria di fondo.
Mi è sembrata anche molto artificiosa la parte finale, in cui l’autore si sostituisce a Ka, ripercorre le sue vicende, non ho capito fino in fondo quale fosse il fine di questo gioco di specchi in cui personaggio e creatore rimandano l’uno all’altro.
Tanti spunti, troppi per poter essere colti tutti e non dare la sensazione di non riuscire ad afferrarne nessuno.
Ma un libro che vale la pena leggere, per raccogliere la sfida di camminare anche solo per un po' su uno dei molteplici piani di lettura che offre.

Francesca
 
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