Kafka, Franz - Il castello

Brethil

Owl Member
Ho iniziato questo libro la scorsa estate, sono arrivata a pagina 110...e lì sono rimasta :mrgreen:
E' uno dei pochi libri che non sono riuscita a leggere per intero. Sarà per la storia che a mio parere è priva di attrattive, sarà per lo stile con cui è scritta...fatto sta che a distanza di quasi un anno ancora non ho il coraggio di riprendere questa lettura.

La storia è a grandi linee questa:
Il protagonista è un certo agrimensore K., il quale viene convocato in un piccolo villaggio dal signorotto del luogo nonchè possessore del castello citato nel titolo.
L'agrimensore cerca più volte di essere ricevuto a colloquio dal Conte, ma ogni volta non riesce nel suo intento a causa di numerosi burocrati attraverso i quali deve passare prima di entrare in contatto con il Conte.

Il libro è una metafora per esprimere l'impossibilità per il singolo individuo, e la frustrazione che ne consegue, di entrare in contatto con le autorità o più in generale con chi è detentore di potere.
O almeno questo è ciò che ho capito dal poco che ho letto :mrgreen:
 

Masetto

New member
Questo libro a me è sembrato una riscrittura de Il processo. La trama segue lo stesso schema: un uomo cerca di inserirsi in un sistema che però lo respinge rivelandosi straordinariamente complesso e, almeno apparentemente, inaccessibile. Entrambi i libri sono incompiuti, ma ne Il processo c’è il capitolo finale, che qui manca. La differenza più vistosa, a mio parere, sta nell’atmosfera, che ne Il castello è, sebbene misteriosa e inquietante, assai meno cupa. Nel primo in ballo c’è la vita stessa del protagonista; qui, a quanto pare, solo il suo lavoro. Inoltre qui è dato molto più spazio ai suoi rapporti con le donne, analizzati con grande finezza, ed in qualche scena il tono pare addirittura scanzonato.
Ma, come per Il processo, che cosa abbia voluto effettivamente rappresentare Kafka non lo so, a meno che non sia, come per quello, la cosa a prima vista più probabile: lo scacco esistenziale dell’uomo, il suo ignorare il senso della vita.
 

Vladimir

New member
Quoto Masetto. La trama e la struttura assomigliano molto a quelle de Il processo. Tuttavia c'è un però... credo che Il castello abbia molta più atmosfera, e scritto senz'altro con una scorrevolezza migliore de Il processo. Credo che se avesse potuto continuarlo, Il castello sarebbe diventato probabilmente la sua opera migliore.
 

mazzimiliano

New member
Confermo i due post sopra, anche per me è un capolavoro incompiuto.
Dà il senso dell'angoscia che ha l'uomo di fronte al senso della vita, che pare insondabile.
 

saetia

kollaps!
....ecco io su Kafka sono estremamente di parte.. per me non solo è uno dei maggiori scrittori del '900.. sia per talento narrativo che per le immagini che riesce a creare.. per me è proprio LO Scrittore..

...detto questo..

..secondo me il Castello è un tentativo dello scrittore di voler provare a lasciarci con un minimo di speranza.. sembra sempre che l'attesa dell'agrimensore stia per finire..alla fine forse K. avrebbe ottenuto quello che cercava.. ovviamente non lo sapremo mai.. ma penso che il pessimismo micidiale di Kafka sia tutto riservato per il Processo.. forse nel Castello c'era la volonta' di lasciare una porta aperta alla speranza.. quella speranza che non esiste nel Processo...

...il mio preferito pero' rimane Nella colonia penale...
 

Brethil

Owl Member
Quindi mi state dicendo che sono l'unica che non ha capito il valore di questo libro?? :mrgreen:

A parte gli scherzi, andando avanti nella lettura mi pareva di esser sempre ferma allo stesso punto della storia. Probabilmente è stato bravo Kafka a far sentire anche me come l'agrimensore, però è un tipo di lettura che non fa per me: non riesco ad apprezzare un libro se la storia che vi è narrata non mi coinvolge :boh:
 

saetia

kollaps!
A parte gli scherzi, andando avanti nella lettura mi pareva di esser sempre ferma allo stesso punto della storia. :

...ecco vedi.. da quello che hai scritto viene fuori che hai capito alla perfezione il contenuto dell'opera sai.. :)

...quello che trasmette Kafka nelle sue opere è proprio quella sensazione di esistenza come labirinto in cui noi uomini siamo scagliati come delle trottole che non sanno come muoversi e come trovare l'uscita...ammesso che esista un'uscita...

...piccolo OT... riprendendo un'analisi che fece un amico di un altro forum a proposito di Kafka.. penso che il sentimento principale che debba uscire da una lettura di una sua opera sia un profondo senso di frustrazione e scoraggiamento.. se non esce questo passaggio di emozioni.. forse sarebbe un fallimento della sua, di Kafka, letteratura...
 

Brethil

Owl Member
Saetia, dici che è il caso di riprendere la lettura? Oppure potrei magari approcciarmi all'autore attraverso un libro meno "metaforico"? Sempre che ne abbia scritti... :mrgreen:

Grazie :)
 

saetia

kollaps!
Saetia, dici che è il caso di riprendere la lettura? Oppure potrei magari approcciarmi all'autore attraverso un libro meno "metaforico"? Sempre che ne abbia scritti... :mrgreen:

Grazie :)


....mmm...secondo me potresti ri-iniziare dai racconti.. La metamorfosi, Nella Colonia Penale...e tutti gli altri.. visto che comunque la sua dimensione narrativa è sempre stata intimamente e stilisticamente legata al racconto e/o romanzo breve..

..poi ci sarebbe la questione delle lettere.. importantissime perchè hanno lo stesso valore dei romanzi e dei racconti.. e perchè riflettono la dimensione umana di Kafka.. lui era ossessionato dai rapporti epistolari.. gran parte delle sue storie d'amore sono essenzialmente rapporti epistolari, tra l'altro vissuti volontariamente così.., e nelle lettere esce fuori tutto l'abisso di manie e tic che convivevano nell'uomo..

..molto belle le Lettere a Milena.. struggente la Lettera al Padre.. che Kafka scrisse senza mai spedire al padre in cui si concentra un duro atto d'accusa contro la figura del padre..amato/odiato.. in cui vengono alla luce tutte le nevrosi in cui Kafka era immerso..

...in Vita di Kafka di Citati comunque è descritto alla perfezione tutto queso lato.. diciamo "epistolare" della questione Kafka... e piu0' che una biografia.. forse è un romanzo sulla vita di Franz...

...insomma... se continuo non mi fermo piu'....:D
 

peu

New member
Saetia, dici che è il caso di riprendere la lettura? Oppure potrei magari approcciarmi all'autore attraverso un libro meno "metaforico"? Sempre che ne abbia scritti... :mrgreen:

Grazie :)



Il Kafka dei due romanzi, come è stato detto sopra, sta alla stessa altezza del Kafka delle lettere (quelle alle fidanzate ma anche quelle alla sorella); solo che leggere un epistolario per quanto brillante (e quello di K. lo è) è cosa un po' difficile.
il Kafka dei racconti comprime scrittura e stile in una manciata di righe: esattamente come accade nei testi sacri in cui una sentenza secca deve chiudere significati estremi. Leggere un racconto di 10 righe prende due minuti - e secondo me potrebbe essere un'ottima introduzione ai capolavori più grossi.
 

Mizar

Alfaheimr
Benchè Kafka non sia affatto uno scrittore "nelle mie corde", devo ammettere che questo libro (come, invero, quasi tutta la produzione dell'autore) è mostruoso.
Quest'opera di grande profondità trova esattamente nella incompiutezza la sua essenza (direbbe qualcuno, la sua operalità).
Il Castello è incompleto ed incompuito, il Castello è e deve essere tale. Il Castello è l'incompletezza. E' l'impossibilità di essere non incompleti.
Perfetta tramatura nella "relazione" tra scelte formali - stilistiche e...contenutistiche.

Un gran libro.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
Ho finito da un paio di giorni questo romanzo, la strada verso il castello (mai raggiunto :W) è stata ardua, forse se avessi avuto compagnia sarebbe stato diverso, come all'epoca della scalata de La montagna incantata di Mann letto in minigruppo.
Al suo posto nella sfida avevo messo un altro libro poi ho pensato che, dopo aver letto e non apprezzato molto Il processo, questa era forse l'unica possibilità che potevo dare a Kafka (La metamorfosi mi piacque ma ne ho un ricordo troppo scarso per esserne del tutto sicura, tranne sull'idea di fondo che era straordinaria, nel senso di fuori dall'ordinario... svegliarsi e trovarsi trasformati in uno scarafaggio è davvero geniale).
In sostanza qui la storia è stata a tratti anche interessante e spesso è riuscita ad alimentare la mia innata curiosità, il protagonista e alcuni personaggi li ricorderò ancora per qualche tempo, però io non sono riuscita del tutto ad entrare in sintonia con lo stile di questo autore, purtroppo non è scattata la scintilla come con altri quindi di certo non proseguirò con la sua conoscenza. Ho trovato troppi capitoli noiosi e tecnici (come ne Il processo) che mi hanno dato fastidio.
E poi secondo me è troppo lungo, io per scrivere alcune parti ci avrei messo molte meno pagine... ed è pure incompiuto :paura: :mrgreen:.

Dimenticavo... ho trovato una certa somiglianza con La trilogia degli antenati di Calvino :roll:, però lì lo stile è più fluido e scorrevole.
 
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ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Ho letto quasi sempre commenti su Il castello che facevano riferimento - sia come metro di “paragone” e gradimento, sia come sua opera “complementare” - a Il processo, e viceversa. Penso che la cosa sia assolutamente naturale e inevitabile e farò lo stesso anch'io, ritenendo i due capolavori due facce della stessa medaglia, ovvero l'impossibilità dell'uomo moderno di sfuggire alla morsa infernale dell'apparato burocratico, che lo schiaccia e lo stritola.
Stilare una “classifica” è impossibile, sono entrambe due opere colossali: forse Il processo mi ha colpito di più, ma non nego che se avessi letto per primo Il castello forse il mio giudizio sarebbe invertito.
Commentando Il processo, avevo scritto che alla fine era stato lo stesso Josef K. a “convincersi” della propria colpevolezza, non avendo più egli la forza di reagire a tutto ciò che gli stava intorno, di “svegliarsi” dal suo incubo. Non so se sia un'interpretazione plausibile, ma quel che è certo è che l'agrimensore K. sembra ben più determinato del suo alter ego a far valere le proprie ragioni. In fin dei conti, cosa chiede di così assurdo? Il presentarsi al castello non vuole avere altro scopo che il vedersi riconosciuto il proprio ruolo e quindi la propria esistenza, conditio sine qua non perchè sia accettato e accolto all'interno della comunità. Ma questo riconoscimento non sembra possibile: K. è un ingranaggio talmente piccolo, insignificante, da non poter accampare alcun “diritto” (come d'altra parte nessuno dei suoi “pari” può farlo: la differenza è che lui lo pretende, gli altri no).
La situazione di partenza nei due romanzi è quindi molto simile: tutti sembrano sapere come vanno le cose e, per nulla meravigliati, lo accettano passivamente, a eccezione dei rispettivi protagonisti che, aggrappandosi con forza al proprio “buon senso” (che è anche il nostro), non si capacitano di come tutto ciò sia possibile. Ma se Josef K. col passare del tempo inizia a cedere “psicologicamente” alle pressioni esterne, l'agrimensore sembra molto più ostinato ad andare fino in fondo, nonostante i mille ostacoli, nonostante le altrettante pressioni. E se (avevo ipotizzato nel mio commento) non dandosi per vinto Josef K. avrebbe forse potuto salvarsi, qui mi sono dovuta ricredere: davvero il potere del singolo, per quanto “testardo” egli possa essere, è nullo. L'uomo che cerca di ribellarsi, che cerca anche solo una spiegazione plausibile, è comunque destinato a soccombere. Se una “salvezza” esiste (ma di questo non abbiamo alcuna conferma), questa passa non attraverso un atto di giustizia, ma una grazia irrazionalmente concessa e quindi altrettanto irrazionalmente rifiutata (o per meglio dire nemmeno colta)*. Percorrere le vie consuete non porta a nulla, meno che mai alla comprensione logica di ciò che è successo: lo dimostra la conversazione col sindaco che io, dipendente comunale da qualche mese, ho trovato a dir poco esilarante, prendendo essa spunto da meccanismi e principi effettivamente “validi” quali la competenza, la gerarchia, la priorità.
La macchina burocratica è certamente una brutta bestia e ne facciamo esperienza tutti i giorni, quel che rende i romanzi kafkiani al limite del surreale, tuttavia, è il rendere la burocrazia il motore pulsante di tutta l'esistenza, compresi i rapporti umani, improntati quindi a ipocrisia, sospetto, maldicenza. Il senso di profonda solitudine e irrimediabile incomunicabilità che imprigiona i due protagonisti è dovuta al loro essere gli unici “ribelli” in un contesto in cui nessuno si pone alcun dubbio che “così è e così deve essere” (la sola altra creatura che ha osato insorgere, ne Il castello, ha condannato se stessa e la sua famiglia alla pubblica ignominia).
Se una differenza fra i due capolavori c'è, è che ne Il processo la componente preponderante è quella psicologica (e non potrebbe essere altrimenti, essendo il tema centrale di questo romanzo la colpa, seppure sconosciuta e di fatto inesistente), mentre ne Il castello a dominare è la componente politico-sociale. L'unione delle due rende tutta la portata del pessimismo kafkiano ed entrambi i romanzi confermano la straordinaria capacità di questo autore di tradurre in letteratura l'alienazione dell'uomo moderno.

* Questo passaggio credo sia abbastanza confuso per chi non abbia letto il romanzo, ma non voglio dettagliare per evitare spoiler.
 
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