Ho letto quasi sempre commenti su Il castello che facevano riferimento - sia come metro di “paragone” e gradimento, sia come sua opera “complementare” - a Il processo, e viceversa. Penso che la cosa sia assolutamente naturale e inevitabile e farò lo stesso anch'io, ritenendo i due capolavori due facce della stessa medaglia, ovvero l'impossibilità dell'uomo moderno di sfuggire alla morsa infernale dell'apparato burocratico, che lo schiaccia e lo stritola.
Stilare una “classifica” è impossibile, sono entrambe due opere colossali: forse Il processo mi ha colpito di più, ma non nego che se avessi letto per primo Il castello forse il mio giudizio sarebbe invertito.
Commentando Il processo, avevo scritto che alla fine era stato lo stesso Josef K. a “convincersi” della propria colpevolezza, non avendo più egli la forza di reagire a tutto ciò che gli stava intorno, di “svegliarsi” dal suo incubo. Non so se sia un'interpretazione plausibile, ma quel che è certo è che l'agrimensore K. sembra ben più determinato del suo alter ego a far valere le proprie ragioni. In fin dei conti, cosa chiede di così assurdo? Il presentarsi al castello non vuole avere altro scopo che il vedersi riconosciuto il proprio ruolo e quindi la propria esistenza, conditio sine qua non perchè sia accettato e accolto all'interno della comunità. Ma questo riconoscimento non sembra possibile: K. è un ingranaggio talmente piccolo, insignificante, da non poter accampare alcun “diritto” (come d'altra parte nessuno dei suoi “pari” può farlo: la differenza è che lui lo pretende, gli altri no).
La situazione di partenza nei due romanzi è quindi molto simile: tutti sembrano sapere come vanno le cose e, per nulla meravigliati, lo accettano passivamente, a eccezione dei rispettivi protagonisti che, aggrappandosi con forza al proprio “buon senso” (che è anche il nostro), non si capacitano di come tutto ciò sia possibile. Ma se Josef K. col passare del tempo inizia a cedere “psicologicamente” alle pressioni esterne, l'agrimensore sembra molto più ostinato ad andare fino in fondo, nonostante i mille ostacoli, nonostante le altrettante pressioni. E se (avevo ipotizzato nel mio commento) non dandosi per vinto Josef K. avrebbe forse potuto salvarsi, qui mi sono dovuta ricredere: davvero il potere del singolo, per quanto “testardo” egli possa essere, è nullo. L'uomo che cerca di ribellarsi, che cerca anche solo una spiegazione plausibile, è comunque destinato a soccombere. Se una “salvezza” esiste (ma di questo non abbiamo alcuna conferma), questa passa non attraverso un atto di giustizia, ma una grazia irrazionalmente concessa e quindi altrettanto irrazionalmente rifiutata (o per meglio dire nemmeno colta)*. Percorrere le vie consuete non porta a nulla, meno che mai alla comprensione logica di ciò che è successo: lo dimostra la conversazione col sindaco che io, dipendente comunale da qualche mese, ho trovato a dir poco esilarante, prendendo essa spunto da meccanismi e principi effettivamente “validi” quali la competenza, la gerarchia, la priorità.
La macchina burocratica è certamente una brutta bestia e ne facciamo esperienza tutti i giorni, quel che rende i romanzi kafkiani al limite del surreale, tuttavia, è il rendere la burocrazia il motore pulsante di tutta l'esistenza, compresi i rapporti umani, improntati quindi a ipocrisia, sospetto, maldicenza. Il senso di profonda solitudine e irrimediabile incomunicabilità che imprigiona i due protagonisti è dovuta al loro essere gli unici “ribelli” in un contesto in cui nessuno si pone alcun dubbio che “così è e così deve essere” (la sola altra creatura che ha osato insorgere, ne Il castello, ha condannato se stessa e la sua famiglia alla pubblica ignominia).
Se una differenza fra i due capolavori c'è, è che ne Il processo la componente preponderante è quella psicologica (e non potrebbe essere altrimenti, essendo il tema centrale di questo romanzo la colpa, seppure sconosciuta e di fatto inesistente), mentre ne Il castello a dominare è la componente politico-sociale. L'unione delle due rende tutta la portata del pessimismo kafkiano ed entrambi i romanzi confermano la straordinaria capacità di questo autore di tradurre in letteratura l'alienazione dell'uomo moderno.
* Questo passaggio credo sia abbastanza confuso per chi non abbia letto il romanzo, ma non voglio dettagliare per evitare spoiler.