Vladimir
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A mio parere è il disco più bello di De Andrè, non solo perché come al solito i testi sono davvero pregevoli, ma soprattutto per la parte musicale (che ha volte nel cantautore genovese è deboluccia). L'influenza del grande prog italiano è palese fin dall'inizio e credo che basti la prima traccia per dimostrarlo: partenza in stile Ennio Morricone, per poi sfociare in un riff molto progheggiante, soprattutto grazie alla sezione ritmica. Il basso segue uno schema ritimico con accenti invertiti rispetto al 4/4 del riff principale, il tutto sostunuto da una linea di batteria semplice, ma originale. Le note con cui si apre il disco, non ci lasceranno più per tutta la sua durata e ricompaiono in tutte le canzoni, modificate e trasfigurate dal contesto. Insomma, una vera e propria "arte della fuga" di bachiana memoria. La venatura prog in pezzi si fa preponderante in Sogno numero due, nel quale sia la linea melodica che quella ritmica procedono a singhiozzi, interrotte da intermezzi di organo hammond, che col suo suono caratteristico, inasprisce rendendo nervosa e spigolosa l'esecuzione. Passiamo ora ai testi.
Storia di un impiegato è un concept album datato 1974, nel quale De Andrè espone, in maniera a suo dire "aperta" (in realtà piuttosto ermetica), il suo pensiero politico. È la storia di un trennt'enne conformista che, scosso profondamente dal movimento del 68, comincia a interrogarsi sull'ordine sociale vigente e la sua giustezza. Dopo aver passato in rassegna sia l'ipocrisia regnante (Al ballo mascherato) e la vita di suo padre (La canzone del padre), decide di diventare un bombarolo; questo tipo di scelta, però si rivelerà controproducente, perché con quel gesto violento la contestazione si colloca sullo stesso piano del potere che contestava (con grande gratitudine di quest'ultimo). Chiudono il disco due canzoni fra le più belle di Fabrizio: Verranno a chiederti del nostro amore e Nella mia ora di libertà. La prima è un'appassionato discorso d'amore nel quale il bombarolo analizza in maniera distaccata e con un senno diverso la sua storia d'amore. L'ultima, il culmine del disco, rappresenta la presa definitiva di coscienza del protagonista, solo e sconfitto, il quale dopo essere stato usato dal Potere è finito in carcere, si rende conto che forse nessuna rivoluzione è utile perché "non si può esser così coglioni da non capire che non esistono poteri buoni." In definitiva: il disco più bello della produzione di De André.
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