Wiesel, Elie - Tutti i fiumi vanno al mare

elisa

Motherator
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"Ricordarsi, che cosa vuol dire? Far rivivere un passato, illuminare volti e avvenimenti di una luce bianca e nera, dire no alla sabbia che ricopre le parole, dire no all'oblio, alla morte." Ecco perchè, a sessantacinque anni, Elie Wiesel decide di scrivere le sue memorie, di ripercorrere la sua vita, dall'infanzia felice a Sighet, piccola città dei Carpazi, dall'orrore dei campi di sterminio dove ha lasciato il padre, la madre, la sorellina dai capelli d'oro e di sole, alla sua sopravvivenza, come lui la chiama, prima in Francia, poi in giro per il mondo, infine negli Stati Uniti. Una sopravvivenza in cui grazie anche al mestiere di giornallista assiste ai grandi avvenimenti degli ultimi trent'anni, conosce personaggi importanti e capi di stato, ha amici come Primo Levi e Francois Mauriac, incorre in curiose avventure. Autore di numerosi romanzi pubblicati in Italia, difensore delle vittime, dei sopravvissuti, degli oppressi, premio Nobel per la pace, Elie Wiesel ci dimostra come, pur senza mai dimenticare, pur con ferite irrimarginabili, pur continuando a lottare tra dubbio e fede, si possa ancora guardare avanti, si possa credere nell'amicizia, nell'amore, nella pace. In una parola, nell'uomo.

Un grande uomo, un grande libro...
 
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bouvard

Well-known member
Questo libro è talmente “tanto” che meriterebbe un commento “alla Ayuthaya”. Ma io non ho la sua capacità di scrivere lunghi e approfonditi commenti, e ancor meno quella di saper analizzare le mille sfaccettature dell’animo umano come fa lei, perciò faccio un passo indietro e per parlare di questo libro mi limito a riportare una serie di citazioni, anche se mi rendo conto che alcune estrapolate dal loro contesto perdono parte del loro valore.

tutti i fiumi vanno al mare e il mare non si empie mai… (L’Ecclesiaste)

Toccanti le pagine in cui Wiesel cerca di capire, farsi una ragione di come sia stato possibile che gli Ebrei, non solo quelli della sua città, non abbiamo mai avuto alcun sospetto su quello che succedeva intorno a loro.

la Galizia non è all’altro capo del mondo, ma a poche ore da qui; se quello che racconta fosse vero, si saprebbe…

...Se altri cristiani avessero agito come lei (Maria la domestica di Wiesel) i treni diretti verso l’ignoto sarebbero stati meno pieni. Se preti e pastori avessero alzato la voce. Se il Vaticano fosse uscito dal mutismo, il nemico non avrebbe avuto le mani tanto libere…

… quando il popolo di Israele partì per l’esilio, Dio lo accompagnò. E adesso? Mi domando. Fin dove Dio ci seguirà?….

… In che modo e con che diritto è possibile, ad Auschwitz, parlare di felicità? Altrove ho scritto: Auschwitz non è concepibile né con Dio né senza Dio. Forse un giorno capirò il ruolo dell’uomo nel mistero che Auschwitz rappresenta, ma il ruolo di Dio non lo capirò mai…

Un giorno, a Brooklyn, ho chiesto al celebre Rabbi Menahem-Mendel Schneersohn di Lubavitc: “Come si può credere in Dio dopo Auschwitz?” Con le mani posate sopra il tavolo, mi contemplò a lungo in silenzio. Poi, con voce dolce, appena udibile, replicò: “E come, dopo Auschwitz, si può non credere in Dio?”…

Dove finisce la responsabilità degli uomini, dove comincia quella di Dio?…


come ogni madre ebrea da noi, la mia non mi ha mai chiesto se avevo risposto bene al “melamed” (maestro di scuola), ma se gli avevo posto buone domande…

non dimenticare, non cancellare nulla: ecco l’ossessione dei sopravvissuti. Parlare per i morti, difendere la loro memoria, il loro onore, la loro umanità…

I rari sopravvissuti – e si fanno sempre più rari – per difendere i morti dispongono solo di parole, pallide parole, povere parole. Allora, ne fanno racconti, storie, discorsi.
Non possono fare nient’altro e desiderano una cosa sola: essere intesi. Dai vivi? Anche dai morti.
 
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