La felicità....

Vorrei propore un piccolo stimulo per le nostre 'cellule grigie'.... Che cosa è per voi la felicità...?
Come un spunto per la discusione, riporto la lettera di Epicuro:

Lettera a Meneceo

L'uomo cominci da giovane a far filosofia e da vecchio non sia mai stanco di filosofare. Per la buona salute dell'animo, infatti, nessun uomo è mai troppo giovane o troppo vecchio. Chi dice che il giovane non ha ancora l'età per far filosofia, e che il vecchio l'ha ormai passata, è come se dicesse che non è ancora giunta, o è già passata, I'età per essere felici. Quindi sia l'uomo giovane che il vecchio devono far filosofia: il vecchio perché invecchiando rimanga giovane per i bei ricordi del passato; il giovane perché, pur restando giovane d'età, sia maturo per affrontare con coraggio l'avvenire. E' bene riflettere sulle cose che possono farci felici: infatti, se siamo felici abbiamo tutto ciò che occorre; se non lo siamo, facciamo di tutto per esserlo.

Metti in pratica le cose che ti ho sempre raccomandato e rifletti su di esse, perché sono i princìpi necessari fondamentali per una vita felice.

Per prima cosa tu devi considerare la divinità come un essere indistruttibile e felice, così come comunemente gli uomini pensano degli dèi; non attribuire quindi nulla alla divinità che contrasti con la sua immortalità e la sua beatitudine, e ritieni vero invece tutto ciò che ben si accorda con la sua felice immortalità.

Gli dèi infatti esistono, ed è del tutto evidente la conoscenza che ne abbiamo; ma gli uomini attribuiscono agli dèi caratteristiche contrarie alla stessa idea che se ne fanno. Negare gli dèi in cui credono gli uomini, non è quindi empietà. Empietà è piuttosto attribuire agli dèi le idee che gli uomini comunemente se ne fanno, perché non sono idee corrette, ma gravi errori. Dall'idea che si fa degli dèi l'uomo trae i più gravi danni e vantaggi. Infatti gli dèi, che di continuo sono dediti alle loro virtù, accolgono i loro simili, mentre considerano estraneo tutto ciò che non è simile ad essi.

Abìtuati a pensare che per noi uomini la morte è nulla, perché ogni bene e ogni male consiste nella sensazione, e la morte è assenza di sensazioni. Quindi il capir bene che la morte è niente per noi rende felice la vita mortale, non perché questo aggiunga infinito tempo alla vita, ma perché toglie il desiderio dell'immortalità. Infatti non c'è nulla da temere nella vita se si è veramente convinti che non c'è niente da temere nel non vivere più. Ed è sciocco anche temere la morte perché è doloroso attenderla, anche se poi non porta dolore. La morte infatti quando sarà presente non ci darà dolore, ed è quindi sciocco lasciare che la morte ci porti dolore mentre l'attendiamo. Quindi il più temibile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo più noi. La morte quindi è nulla, per i vivi come per i morti: perché per i vivi essa non c'è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci.

La maggior parte delle persone, però, fuggono la morte considerandola come il più grande dei mali, oppure la cercano come una liberazione dai mali della vita. Il saggio invece non rifiuta la vita e non ha paura della morte, perché non è contro la vita ed allo stesso tempo non considera un male il non vivere più. Il saggio, così come non cerca i cibi più abbondanti, ma i migliori, così non cerca il tempo più lungo, ma cerca di godere del tempo che ha. è da stolti esortare i giovani a vivere bene ed i vecchi a morire bene, perché nella vita stessa c'è del piacere, ed è la stessa cosa l'arte di vivere bene e di morire bene.

Certo, è peggio chi dice: è bello non esser mai nati "ma, se si è nati, è bello passare al più presto le soglie dell'Ade". Se chi dice queste cose ne è convinto, perché non abbandona la vita'? è in suo potere farlo, se questa è la sua opinione e parla seriamente. Se invece scherza, parla da stolto su cose su cui non c'è proprio da scherzare.

Dobbiamo inoltre ricordarci che il futuro non è interamente nelle nostre mani, ma in qualche modo lo è, anche se in parte. Quindi non dobbiamo aspettarci che si avveri del tutto, ma non dobbiamo neppure disperare che esso non si avveri affatto.

Dobbiamo poi pensare che alcuni dei nostri desideri sono naturali, altri vani. E di quelli naturali alcuni sono necessari, altri non lo sono. E di quelli naturali e necessari, alcuni sono necessari per essere felici, altri per la buona salute del corpo, altri per la vita stessa. Una sicura conoscenza dei desideri naturali necessari guida le scelte della nostra vita al fine della buona salute del corpo e della tranquillità dell'animo, perché queste cose sono necessarie per vivere una vita felice. Infatti noi compiamo tutte le nostre azioni al fine di non soffrire e di non avere l'animo turbato. Ottenuto questo, ogni tempesta interiore si placherà, perché il nostro animo non desidera nulla che gli manchi, né ha altro da cercare perché sia completo il bene dell'anima e del corpo. Abbiamo infatti bisogno del piacere quando soffriamo perché esso non c'è. Quando non soffriamo, non abbiamo neppure bisogno del piacere.

Per questo motivo noi diciamo che il piacere è il principio ed il fine di una vita felice. Noi sappiamo che esso è il bene primo, connaturato con noi stessi, e da esso prende l'avvio ogni nostra scelta e in base ad esso giudichiamo ogni bene, ponendo come norma le nostre affezioni. Ma proprio perché esso è il bene primo ed è a noi connaturato, noi non ci lasciamo attrarre da tutti i piaceri; al contrario, ne allontaniamo molti da noi quando da essi seguano dei fastidi più grandi del piacere stesso. Allo stesso modo consideriamo molti dolori preferibili ai piaceri quando la scelta di sopportare il dolore porta con sé come conseguenza dei piaceri maggiori. Tutti i piaceri quindi che per loro natura sono a noi congeniali sono certamente un bene; tuttavia non dobbiamo accettarli tutti. Allo stesso modo tutti i dolori sono un male, ma non dobbiamo cercare di sfuggire a tutti loro. Queste scelte vanno fatte in base al calcolo ed alla valutazione degli utili. Per esperienza sappiamo infatti che a volte il bene è per noi un male ed al contrario il male è un bene. Consideriamo un grande bene l'indipendenza dai desideri non perché sia necessario avere sempre soltanto poco, ma perché se non abbiamo molto sappiamo accontentarci del poco. Siamo profondamente convinti che gode dell'abbondanza con maggiore dolcezza chi meno ha bisogno di essa e che tutto ciò che la natura richiede lo si può ottenere facilmente, mentre ciò che è vano è difficile da ottenere. Infatti, in quanto entrambi eliminano il dolore della fame, un cibo frugale o un pasto sontuoso danno un piacere eguale, e pane e acqua danno il piacere più pieno quando saziano chi ha fame. L'abituarsi ai cibi semplici ed ai pasti frugali da un lato è un bene per la salute, dall'altro rende l'uomo attento alle autentiche esigenze della vita; e così quando di tanto in tanto ci capita di trovarci nell'abbondanza, sappiamo valutarla nel suo giusto valore e sappiamo essere forti nei confronti della fortuna.

Quando dunque diciamo che il piacere è il bene completo e perfetto, non ci riferiamo affatto ai piaceri dei dissoluti, come credono alcuni che non conoscono o non condividono o interpretano male la nostra dottrina; il piacere per noi è invece non avere dolore nel corpo né turbamento nell'anima.

Infatti non danno una vita felice né i banchetti né le feste continue, né il godersi fanciulli e donne, né il godere di una lauta mensa. La vita felice è invece il frutto del sobrio calcolo che indica le cause di ogni atto di scelta o di rifiuto, e che allontana quelle false opinioni dalle quali nascono grandissimi turbamenti dell'animo.

La prudenza è il massimo bene ed il principio di tutte queste cose. Per questo motivo la prudenza è anche più apprezzabile della filosofia stessa, e da essa vengono tutte le altre virtù. Essa insegna che non ci può essere vita felice se non è anche saggia, bella e giusta; e non v'è vita saggia, bella e giusta che non sia anche felice. Le virtù sono infatti connaturate ad una vita felice, e questa è inseparabile dalle virtù.

E adesso dimmi: pensi davvero che ci sia qualcuno migliore dell'uomo che ha opinioni corrette sugli dèi, che è pienamente padrone di sé riguardo alla morte, che sa sino in fondo che cosa sia il bene per l'uomo secondo la sua natura e sa con chiarezza che i beni che ci sono necessari sono pochi e possiamo ottenerli con facilità, e che i mali non sono senza limiti, ma brevi nel tempo oppure poco intensi?

Un uomo così ha imparato a sorridere di quel potere - il fato - che per alcuni è il sovrano assoluto di tutto: di fatto ciò che accade può essere spiegato non soltanto attraverso la necessità, ma anche attraverso il caso o in quanto frutto di nostre decisioni per le quali possiamo essere criticati o lodati.

Quanto al fato, di cui parlano i fisici, era meglio credere ai miti sugli dèi che essere schiavi di esso: i miti infatti permettevano agli uomini di sperare di placare gli dèi per mezzo degli onori, il fato invece ha un'implacabile necessità. E riguardo alla fortuna non bisogna credere né che sia una divinità, come fanno molti - gli dèi infatti non fanno nulla che sia privo di ordine ed armonia - né che sia un principio causale; non bisogna neppure credere che essa dia agli uomini beni e mali che determinano una vita felice; da essa infatti provengono solo i princìpi di grandi beni e di grandi mali. E' meglio quindi essere saggiamente sfortunati che stoltamente fortunati, perché è preferibile che nelle nostre azioni una saggia decisione non sia premiata dalla fortuna, piuttosto che una decisione poco saggia sia coronata dalla fortuna.

Medita giorno e notte tutte queste cose, e ciò che è connesso con esse, sia in te stesso che con chi ti è simile: così mai, sia da sveglio che nel sonno, avrai l'animo turbato, ma vivrai invece come un dio fra gli uomini. L'uomo infatti che vive tra beni immortali non è in niente simile ad un mortale.

 
Per aiutare la lettura e la comprensione del testo, bisogna che spendo qualche parola sulla dottrina di Epicuro...

Quando mori Aristotele, Epicuro aveva circa vent’anni. E Menandro, il commediografo, era suo coetaneo. La stagione d’oro della cultura greca stava per finire: iniziava quello che viene chiamato l’ellenismo, un periodo nel quale i greci vissero grazie al loro mito. Ed è proprio in questo periodo in qualche modo decadente che Epicureo mette assieme il corpus della sua dottrina della quale tanto si parla e poco si sa. Atene in quegli anni era un pullulare di filosofi, pensatori, capiscuola, intellettuali che cercavano la ragione delle cose e il senso della vita.
La dottrina di Epicuro nascondeva un principio: ciascuno è maestro di se stesso e solo dentro se stesso trova la ragione delle cose.
Tre sono scopi principali dell’insegnamento: 1. ottenere la tranquillità dell’anima vincendo la paura della morte; 2. fuggire il tumulto delle cose del mondo; 3. vincere passioni e desideri.
A differenza dell’edonismo dei cirenaici, che riconoscono soltanto il piacere nel moto, Epicuro anche nella quiete. I cirenaici ritenevano maggiori i mali del corpo che non quelli dell’anima: per Epicuro era il contrario. E i piaceri dell’anima per Epicuro sono la mancanza di turbamenti, cioè la “atarassia”. La prima massima è esauriente, è una sorte di manifesto:

“Ciò che è beato e incorruttibile non ha problemi, né ne procura ad altri. Allo stesso modo non si fa prendere dall’odio né dalla passione; in colui che è debole, invece, si trovano tutte queste cose.”

Si definisce ‘edonistica’ l’etica epicurea spesso a torto, basandosi sul fatto che identifica il bene con il piacere e il male con il dolore. Ma il piacere, per Epicuro, è l’eliminazione del dolore. Ecco perché si parla quindi di piacere ‘statico’ in contrapposizione al piacere ‘in movimento’ dei cirenaici.
Per Epicuro, che ritiene la vita il sommo bene, la concezione massima del piacere è la vita stessa. E il dolore è una limitazione a questo piacere. La vita, dunque, non è neutra: è bene.

Riflettiamoci un’attimo su questo concetto straordinario.
Per chi crede in un qualsiasi Dio, il bene viene dopo la vita: l’esistenza è di per se stessa dolorosa perché è un limite al bene che verrà dopo la morte (è cosi per cristiani, ed ebrei, buddisti e musulmani). La filosofia del piacere di Epicuro concepisce invece il piacere nel vivere e il limite ad esso nel dolore. E tanto grande è la gioia di vivere che neppure la morte può scalfirla. In effetti, nella seconda massima dice:

“La morte non è nulla per noi. Ciò che si dissolve non ha la sensibilità, e ciò che non ha la sensibilità non è nulla per noi.”

C’è anche una seconda considerazione da fare. Il piacere è il bene. Non si identifica in esso: lo è. Al contrario il dolore è il male. E quindi il piacere è il bene, e il bene è la vita senza turbamenti, e i turbamenti sono il dolore, cioè il male.

Tre ingredienti per la felicità
L'amicizia. "Di tutti i beni che la saggezza procura per la completa felicità della vita il più grande di tutti è l'acquisto dell'amicizia."
Epicuro teneva in gran conto la vera amicizia. Il vero amico è colui che ama e rispetta l'altro per ciò che è e non per ciò che possiede. Tra veri amici si crea intimità, si condividono malinconie, ci si conforta. L'amicizia è in grado dare sicurezza nella misura in cui ci sentiamo compresi e accettati.
Sfidando i costumi, Epicuro e i suoi seguaci vissero in una grande casa priva di lusso e di decori, tuttavia coltivavano ciò di cui avevano bisogno per mangiare, e, cosa più importante, mangiavano assieme. "...dilaniare carni senza la compagnia di un amico è vita da leone e da lupo".
La libertà. L'uomo libero è già a un passo dalla vera felicità, l'uomo che si libera dalle opinioni altrui lo è ancora di più. Si è già visto come per Epicuro la libertà dal volere degli dei sia già di conforto, a maggior ragione la libertà dell'uomo di fronte al proprio destino o a qualsiasi destino imposto da altri uomini è motivo di felicità e di piacere.
Il pensiero, la parola e la scrittura consolatoria. La comunità epicurea era votata alla discussione dei problemi e alla riflessione. Molti degli amici di Epicuro erano scrittori e poeti. Epicuro amava discutere ed esaminare le proprie ansie legate al possesso del denaro, alle preoccupazioni legate alla salute, alla morte e all'aldilà. Discutere razionalmente della morte avrebbe aiutato, secondo il filosofo, ad alleviarne la paura. L'analisi lucida delle ansie e delle paure, sia per mezzo della discussione che della scrittura, se non è un rimedio assoluto, è tuttavia una consolazione, cosa che, a fini pratici, è tutt'altro che da sottovalutare.
"Ciò che al presente non ci turba, stoltamente ci addolora quanto è atteso". Questa frase riassume bene l'atteggiamento filosofico di Epicuro: la vita è pratica di felicità, non conviene pensare a ciò che potrà accadere in futuro se questo implica la rovina della propria serenità presente.

Questo è il senso della filosofia di Epicuro: la vita è la felicità. E il bene è il senso della vita.


Nessun altro né prima né dopo di lui, riuscì mai di avere un pensiero più positivo, più limpido, una concezione più gloriosa dell’esistenza.
 

lillo

Remember
Credo che sia interessante, parlando della ricerca della felicità dell'uomo, riportare quanto Buddha espresse, nel suo sermone iniziale a Sarnath, cittadina vicino a Varanasi.

Il Gotama, riconobbe che l'esistenza dell'uomo era pervasa dal dolore e dalla infelicità e che sostanzialmente questi erano dovuti all'attaccamento dell'uomo al desiderio per cose impermanenti.

Indicò le cause del dolore nelle cosiddette Quattro Nobili Verità:

  1. La verità del dolore
  2. La verità dell'origine del dolore
  3. La verità della cessazione del dolore
  4. La verità della via che porta alla libertà da dolore.
Ho trovato su Wikipedia un breve riassunto di quanto espresso dal Buddha nel suo più famoso sermone e l'ho trovato esaustivo anche rispetto a testi più complessi sull'argomento.

La Verità del dolore: Nella vita degli esseri senzienti, tra cui l'essere umano, è insita la "sofferenza". Tale esperienza del dolore riguarda anche i momenti di "appagamento" e "serenità" in quanto essi stessi impermanenti.
Il "dolore" affligge l'uomo a motivo dell' impermanenza sia propria che di tutto ciò che sperimenta e conosce in vita, per effetto della sua nascita immersa nel samsara e per l'adesione alla credenza in un se imperituro. Questa sofferenza si rivela ed è percepita non solo quando si constata l'ineluttabilità di malattia, vecchiaia e morte, ma anche quando si è costretti al contatto con ciò che non si ama (contatti, connessioni, relazioni, interazioni con persone, cose od eventi sgradevoli ecc.), come pure è percepita quando si è costretti alla separazione da ciò che si ama o in cui ci si diletta, o ancora quando si risente di un disagio esistenziale derivante dallo scontrarsi con una realtà che non soddisfa la propria adesione all'idea di un solido, affidabile ed imperituro. La frustrazione dei desideri è una delle più usuali percezioni del "dolore".

La Verità dell'origine del dolore:Il "dolore" non è colpa del mondo, né del fato o di una divinità; né avviene per caso. Ha origine dentro di noi, dalla ricerca della felicità in ciò che è transitorio, spinti dalla sete, o brama per ciò che non è soddisfacente. Si manifesta nelle tre forme di:
  • brama di oggetti sensuali;
  • brama di esistere;
  • brama di annullare l'esistenza.
La Verità della cessazione del dolore:"Esiste l'emancipazione dal dolore"
Per sperimentare l' emancipazione dal dolore , occorre lasciare andare, l'attaccamento alle cose e alle persone, alla scala di valori ingannevoli per cui ciò che è provvisorio è maggiormente desiderabile.

La Verità della via che porta alla cessazione del dolore: "Esiste un percorso di pratica da seguire per emanciparsi dal dolore". È il percorso spirituale da intraprendere per avvicinarsi al nirvana.

Esso è detto il
Nobile ottuplice sentiero.

  1. Retta parola, cioè l'assunzione della personale responsabilità delle nostre parole, ponendo attenzione nella loro scelta e ponderandole in modo che esse non producano effetti nocivi sugli altri e di conseguenza a noi stessi; ciò significa anche che il nostro agire deve essere improntato al nostro parlare e corrispondere ad esso.
  2. Retta azione, cioè l'azione non motivata dalla ricerca di egoistici vantaggi, svolta senza attaccamento verso i suoi frutti.
  3. Retta sussistenza, cioè vivere in modo equilibrato evitando gli eccessi, procurandosi un sostentamento adeguato con mezzi che non possano arrecare danno o sofferenza agli altri. Questo comporta anche la corretta padronanza delle proprie intenzioni, in modo che esse siano sempre orientate e dirette lungo la linea mediana di condotta di vita lontana dagli estremi dell'ascetismo e dell'edonismo.
  4. Retto sforzo, cioè lasciare andare gli stati non salutari e coltivare quelli salutari.
  5. Retta presenza mentale, cioè la capacità di mantenere la mente priva di confusione, non influenzata dalla brama e dall'attaccamento.
  6. Retta concentrazione, cioè la capacità di mantenere il corretto atteggiamento interiore che porta alla corretta padronanza di sé stessi durante la pratica della meditazione.
  7. Retta visione, cioè il riconoscimento delle "Quattro Nobili Verità" attraverso la loro corretta conoscenza e la conseguente loro corretta visione.
  8. Retta intenzione, cioè il corretto impegno sostenuto dalla "Retta visione" nel padroneggiare l'attaccamento al desiderio di vivere, alla brama ed all'avidità di esistere, di divenire o di liberarsi, al desiderio di affermare il proprio presunto «sé esistente» e dalla compassione per tutti gli esseri.
Per alcuni, il Buddismo è una religione poco diversa da tutte le altre conosciute, in particolare suppongono che come le tre grandi religioni monoteiste, vi sia un Dio a cui rivolgersi. In realtà nel buddismo non esiste nessuna figura trascendente e lo stesso Buddha viene glorificato semplicemente perchè ha indicato la via per la liberazione dal samsara e dal dolore. La deificazione del Buddha, in alcuni popoli (soprattutto nei tibetani), nasce da una commistione che nel tempo si è venuta a creare tra la parola del Budda e gli antichi culti locali.
Personalmente definirei il Sakyamuni un filosofo esistenzialista ante litteram e questo in parte spiega la diffusione che alcune correnti del buddismo hanno avuto in Occidente.
 

SALLY

New member
Concordo pienamente con lillo,ho letto la lettera di Epicuro ed ho pensato subito a Buddha,è l'eliminazione delle cause che provocano sentimenti negativi,il non dolore,la felicità.
 

mìmir

New member
Concordo pienamente con lillo,ho letto la lettera di Epicuro ed ho pensato subito a Buddha,è l'eliminazione delle cause che provocano sentimenti negativi,il non dolore,la felicità.

ma Buddah raggiunse l'illuminazione attraverso il dolore.
Il dolore di lasciare le persone che si amano
Il dolore anche fisico, visto che passò un anno seduto sotto un albero, arrivando quasi a morire di fame prima di scoprire l'Illuminazione.
Una vita senza cause e senza effetti è solo starsene seduti sotto il proprio albero, aspettando che arrivi la Luce.

La felicità, per me, è essere consapevoli del proprio posto nell'universo e nel non invidiare quello occupato da un altro.
 

SALLY

New member
ma Buddah raggiunse l'illuminazione attraverso il dolore.
Il dolore di lasciare le persone che si amano
Il dolore anche fisico, visto che passò un anno seduto sotto un albero, arrivando quasi a morire di fame prima di scoprire l'Illuminazione.
Una vita senza cause e senza effetti è solo starsene seduti sotto il proprio albero, aspettando che arrivi la Luce.

La felicità, per me, è essere consapevoli del proprio posto nell'universo e nel non invidiare quello occupato da un altro.

Beh sai,io l'ho semplificata molto,ho letto qualcosa,ma testi molto semplici,è sono arrivata ad una conclusione spiccia e superficiale,ho capito il fatto della consapevolezza come un vivere il presente perchè il passato non si può modificare e il futuro non lo conosciamo,quindi...,e un'altra cosa che mi sembra aver intuito è che siamo noi la causa del nostro dolore,perchè ci mettiamo in condizioni di soffrire,appunto,attaccarci alle cose alle persone,avere dei desideri,delle illusioni....tutte cose che se vengono disattese ci portano sofferenza....ma ti ripeto molto superficialmente,chiedo venia..:ad: :D
 

SALLY

New member
Comunque,mi sono dimenticata...quel poco mi è stato molto utile,ho cercato di metterlo in pratica,basandomi sulle mie forze,non sono capace a meditare,più che altro con la logica,che non fà una grinza,tra l'altro,e mi è stato d'aiuto credo...mi ha aiutato a trovare il bandolo della matassa per essere più serena...
 

mìmir

New member
ho capito il fatto della consapevolezza come un vivere il presente perchè il passato non si può modificare e il futuro non lo conosciamo,
hai capito l'essenziale : leggere intere biblioteche non vale un secondo di illuminazione :)
 
Io invece preferisco a lungo la teoria di Epicuro...
Mentre buddismo ci insegna che la vita è tutto un grande dolore, e che per raggiungere la felicità, bisogna spogliarsi di questa sofferenza, dedicandosi al avvicinamento di nirvana, Epicuro ci dice che la nostra vita è unico bene che possediamo, e che oltre questa, non esiste niente altro... e per ciò bisogna sfruttare il tempo al massimo e godersela.
Buddismo ci offre nirvana, che descrive come un nulla assoluto... cessazione di essistere, di provare emozioni; Epicuro ci insegna di vivere, di godere la vita, di cancelare dalla nostra mente i desideri che ci provocano il male, e di dedicarci solo a quelli che non possono provocare il male (ne a noi, ne agl'altri, ne alla natura)...
Buddismo: la vita è il dolore; il senso della vita è nirvana (nulla assoluto)
Epicuro: la vita è la felicità. Il senso della vita è star bene (vivendo, godendo delle emozioni) . :wink:
 

beppeb

New member
io penso che sia vero tutto questo

Io invece preferisco a lungo la teoria di Epicuro...
Mentre buddismo ci insegna che la vita è tutto un grande dolore, e che per raggiungere la felicità, bisogna spogliarsi di questa sofferenza, dedicandosi al avvicinamento di nirvana, Epicuro ci dice che la nostra vita è unico bene che possediamo, e che oltre questa, non esiste niente altro... e per ciò bisogna sfruttare il tempo al massimo e godersela.
Buddismo ci offre nirvana, che descrive come un nulla assoluto... cessazione di essistere, di provare emozioni; Epicuro ci insegna di vivere, di godere la vita, di cancelare dalla nostra mente i desideri che ci provocano il male, e di dedicarci solo a quelli che non possono provocare il male (ne a noi, ne agl'altri, ne alla natura)...
Buddismo: la vita è il dolore; il senso della vita è nirvana (nulla assoluto)
Epicuro: la vita è la felicità. Il senso della vita è star bene (vivendo, godendo delle emozioni) . :wink:


... tutto e' sofferenza dopo la sofferenza c'e' la felicita' bisogna passarvi in mezzo meglio pensare alla felicita' che alla sofferenza
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Io invece preferisco a lungo la teoria di Epicuro...
Mentre buddismo ci insegna che la vita è tutto un grande dolore, e che per raggiungere la felicità, bisogna spogliarsi di questa sofferenza, dedicandosi al avvicinamento di nirvana, Epicuro ci dice che la nostra vita è unico bene che possediamo, e che oltre questa, non esiste niente altro... e per ciò bisogna sfruttare il tempo al massimo e godersela.
Buddismo ci offre nirvana, che descrive come un nulla assoluto... cessazione di essistere, di provare emozioni; Epicuro ci insegna di vivere, di godere la vita, di cancelare dalla nostra mente i desideri che ci provocano il male, e di dedicarci solo a quelli che non possono provocare il male (ne a noi, ne agl'altri, ne alla natura)...
Buddismo: la vita è il dolore; il senso della vita è nirvana (nulla assoluto)
Epicuro: la vita è la felicità. Il senso della vita è star bene (vivendo, godendo delle emozioni) . :wink:

Assolutamente d'accordo.

La filosofia di Epicuro si potrebbe dire per certi versi ambigua, o meta-etica,
se vogliamo, con aggettivo molto posteriore, possiamo dirla machiavellica;
ciò in quanto il postulato principale, la chiave di volta di tutto l'edificio,
è costituito dalla ricerca del piacere, e dall'allontanamento consapevole del dolore.
Solo dopo, il dotto, ci informa su quali siano le vie da seguire, e quali quelle da evitare,
in principio c'è solo il conseguimento terreno di ciò che aggrada.

Anche per questo buona parte della tradizione cattolico-cristiana ne ha fatto un peccatore epocale,
travisandone deliberatamente il messaggio, aggrappandosi al primo enunciato,
rendendo vana l'opera di purificazione necessaria alla realizzazione della felicità.

Né va intesa l'atarassia come assenza di moti interiori, sarebbe a dir poco errato:
quello della stasi assoluta delle passioni umane è il fine degli stoici,
culminante appunto nell'apatia - ovvero a-pathos, privo di passioni.

Contrariamente ad altre dottrine trascendentalistiche, l'epicureismo pone la felicità
non come punto d'arrivo statico, né tantomeno come automatismo di sorta:
il raggiungimento della vetta è hic et nunc, è in divenire, insieme all'uomo.
Mentre Paradiso, Inferno, Nirvana o affini hanno il carattere dell'irreversibilità,
la felicità dei filosofi atomisti per antonomasia risiede nel processo di ricerca;
non è che un momento, un farsi costantemente, perdibile in qualunque istante,
e sempre raggiungibile da chi ne segua i precetti, secondo la propria intimità.

Riprendendo i termini della dialettica hegeliana, che poco hanno a che fare con le tesi dei nostri antenati greci,
rispondo dal mio punto di vista alla guardia leopardiana.

Prendendo la serenità del quotidiano (tesi), a questa, per determinate cause si oppone il dolore (antitesi),
da quest'opposizione scaturisce la felicità (sintesi).

Spiegando: il dolore è farsi della felicità, un momento interno ad essa stessa,
necessario affinché possa esplodere nella sua totalità, elevandosi da se stessa a se stessa.
Il piacere porta dentro il proprio grembo la sofferenza, e non tanto come possibilità,
ma proprio come transizione necessaria alla concretizzazione della sintesi.
 

Nikki

New member
Spiegando: il dolore è farsi della felicità, un momento interno ad essa stessa,
necessario affinché possa esplodere nella sua totalità, elevandosi da se stessa a se stessa.
Il piacere porta dentro il proprio grembo la sofferenza, e non tanto come possibilità,
ma proprio come transizione necessaria alla concretizzazione della sintesi.

E dire che io ho sempre vissuto la sofferenza non come un mezzo per raggiungere la felicità, ma come il prezzo (successivo) da pagare per la felicità rubata all'esistenza, infischiandosene delle regole e della realtà..una sorta di allontanamento coatto dal giardino, per avere sottratto una mela..
Tant'è che ora ogni volta che sono felice penso già a quali sciagure il destino ha in serbo per me. E maggiore è la felicità, maggiore è la preoccupazione che nasce in un angolino della mia mente. In particolare, se si tratta di una felicità che deriva da rapporti umani..so che la sciagura proverrà da quella persona, perché arriverà sicuramente il momento in cui tradirà la nostra felicità..alle volte il destino è proprio banale!Ma sempre efficace, questo bisogna dirlo.
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
E dire che io ho sempre vissuto la sofferenza non come un mezzo per raggiungere la felicità, ma come il prezzo (successivo) da pagare per la felicità rubata all'esistenza, infischiandosene delle regole e della realtà..una sorta di allontanamento coatto dal giardino, per avere sottratto una mela..
Tant'è che ora ogni volta che sono felice penso già a quali sciagure il destino ha in serbo per me. E maggiore è la felicità, maggiore è la preoccupazione che nasce in un angolino della mia mente. In particolare, se si tratta di una felicità che deriva da rapporti umani..so che la sciagura proverrà da quella persona, perché arriverà sicuramente il momento in cui tradirà la nostra felicità..alle volte il destino è proprio banale!Ma sempre efficace, questo bisogna dirlo.

E' anche vero che nessuna felicità è perfetta, e che ogni traguardo è partenza per un altro.
Negli intervalli tra uno stato di piacere e un altro viene ad esistere il dolore,
cosicché da essere pronti a riconoscere in futuro il compimento dei nostri sforzi;
ed è vero allo stesso modo che ogni felicità è diversa dalla precedente,
più matura, più consapevole, più gradita forse, in quanto più inaspettata.

Puoi interpretare le discrepanze buie della sofferenza come più ti piace,
e di certo, abbandonando l'ambito - e l'abito - intellettuale della questione,
si può dire che sì, il corso delle cose sa essere efficace,
e che, sì, il rischio di schiudersi al mondo è lo stesso che portare un elefante
in un minuscolo negozio di cristalli: non resterebbero che cocci.
Eppure, testardi come siamo, preferiamo pagare lo scotto della nostra insoddisfazione,
piuttosto che restare sterili e vuoti, inanimati.

Ci siamo solo noi, e nessuno che batte la cassa. :wink:
 

SALLY

New member
Nella mia idea di felicità o meglio serenità,che credo sia più abbordabile ,concordo anche con Schopenhauer,anche lui,mi sembra si avvicini al pensiero orientale,evitare le illusioni,e cercare la propria interiorità,in quanto l'uomo è già completo di tutto,cioè basta a se stesso " Mentre lo stolto corre dietro ai piaceri della vita e resta ingannato,il saggio evita i mali "....oddio,forse a me viene bene perchè sono un pò (tanto) misantropa ! :)
 

Nikki

New member
E' anche vero che nessuna felicità è perfetta,


Eppure, testardi come siamo, preferiamo pagare lo scotto della nostra insoddisfazione,
piuttosto che restare sterili e vuoti, inanimati.

Ci siamo solo noi, e nessuno che batte la cassa. :wink:

Non lo so, ho provato pure a restare sterile e vuota..e ti dirò, non si stava male! voglio dire, non stavo bene, però non era terribile...si prova calma piatta. Credo che dipenda dalla durata di una predisposizione d'animo così. All'inizio è come una dolce resa..come galleggiare al largo del mare, nulla può raggiungerti. Poi però inizi a morire un po' dentro..e allora non si sta più tanto bene :??

Siamo solo noi, hai proprio ragione..

p.s. io però una grande felicità l'ho vissuta, peraltro anche recentemente..ed era davvero perfetta!perché sapevo che il risultato che avevo raggiunto, dopo tanti sacrifici, non me lo avrebbe mai tolto nessuno!
e due settimane dopo mi sono rotta la gamba..siamo solo noi, ma qualcuno prima o poi batte sempre la cassa!:mrgreen: ma chissenefrega, io sono stata felice lo stesso, anche con il gesso!!:YY
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Non lo so, ho provato pure a restare sterile e vuota..e ti dirò, non si stava male! voglio dire, non stavo bene, però non era terribile...si prova calma piatta. Credo che dipenda dalla durata di una predisposizione d'animo così. All'inizio è come una dolce resa..come galleggiare al largo del mare, nulla può raggiungerti. Poi però inizi a morire un po' dentro..e allora non si sta più tanto bene :??

Starsene sospesi dal mondo non è affatto male,
almeno finché non cominci a rederti conto del deserto che hai intorno.
E' la consapevolezza della sterilità a muoverci all'evasione,
fintanto che non riconosci lo spreco della solitudine,
il fortilizio temporaneo costruito ad hoc ha solo un che di benefico;
da acciaio sa farsi carta, e da carta acciaio, offendsi come unico riparo
fintanto che le ferite non si saranno rimarginate.
E' una parentesi guaritrice che finisce per elimare se stessa.

Siamo solo noi, hai proprio ragione..

p.s. io però una grande felicità l'ho vissuta, peraltro anche recentemente..ed era davvero perfetta!perché sapevo che il risultato che avevo raggiunto, dopo tanti sacrifici, non me lo avrebbe mai tolto nessuno!
e due settimane dopo mi sono rotta la gamba..siamo solo noi, ma qualcuno prima o poi batte sempre la cassa!:mrgreen: ma chissenefrega, io sono stata felice lo stesso, anche con il gesso!!:YY

:lol: :lol: :lol: Meravigliosa! :lol:

Credo tutto si riassuma in

ma chissenefrega, io sono stata felice lo stesso, anche con il gesso!!:YY

E' quello che conta, comunque lo si spieghi*. :D

*mmm.. il fascino hegeliano ha conquistato anche te :paura:
 

Nikki

New member
Dopotutto, è l'unico modo per neutralizzare la cattiva sorte: renderla impotente infischiandosene dei suoi effetti!

E..una ragazza non può non affascinarsi di Hegel!
 

ottos

New member
un piccolo sporadico

miracolo, fatto di libri, luoghi, musica, persone,intelligenza, parole, amore, alcol, illusione,
luci, sole, odori, paura, scelleratezza, confusione, dolore, viaggio, stupidità, cambiamento nuvole e caso. ( tanto, tanto caso)
 
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