Fellini era un assoluto genio. È geniale la sequenza di episodi, apparentemente sconnessi fra loro, dove (come al solito) la grandezza sta in primo luogo nell'immagine, ancor di più che nel "fatto" rappresentato in sé. Alcune immagini, come l'immobilità nella festa dei nobili, arrivano talmente in fondo che spiegare quello che trasmettono sarebbe un torto a Fellini stesso. La società rappresentata è un assoluto vuoto, un nulla che, magari, alla sensibilità di un contemporaneo appare come un "era già così?" ma che credo che all'epoca facesse molto più scalpore. Una cosa del genere, nel '60, deve essere stata un colpo fin troppo forte, molto più che per noi che ormai siamo abituati e rassegnati a quell'abissale vuoto di valori.
Alcuni spaccati avevano una verve ironica che rendevano ancora più forte la sequenza, come la parte dei bambini miracolati. L'ossessione per la vuota apparenza rappresentata dai fotografi che non si fermano davanti a nulla. Il contrasto fra le classi sociali, evidente soprattutto nella prima sequenza, nella scena a casa della prostituta. L'immagine meravigliosa del Cristo che vola sui palazzoni romani.
Meraviglioso Mastroianni come al solito, ma io sono di parte, è uno dei miei attori preferiti, perfetto nell'incarnare l'osservatore passivo, che si rassegna, lascia tutti i suoi sogni e diventa anche lui perfetto membro dell'enorme vuoto, da scrittore mancato ad "agente di pubblicità".
La sequenza su Steiner e i suoi figli è invece un po' esagerata, anche un po' troppo forte, ma coerente con la logica del film. Insomma, secondo me a quel punto si è voluto un po' strafare, ma farei un torto a un genio simile a parlarne male.
Il film è uno spaccato iperpessimista della "dolce vita" romana, eppure conserva nell'inquadratura finale la sua salvezza velata dietro il sorriso della ragazzina umbra e umile che "sembra una Madonna". Infatti sul finale ho ancora molti dubbi. La manta morta può significare due cose: o la morte del Cristo o - come credo io - è un riferimento abbastanza esplicito al caso Montesi. L'unico elemento di positività, secondo me, rimane quel sorriso distante, ma che diventa comunque negativo nel momento in cui il protagonista si allontana, torna a seguire la "dolce vita". Non so se si possa interpretare in maniera fortemente cattolica il finale, credo più che altro che in quel sorriso ci sia soltanto la semplicità, l'umiltà, tutti i valori che sono perduti al finale.
Molto strano, poi, paragonare questo finale a quello, invece, molto positivo di Otto e mezzo: la società è perduta, l'uomo da solo è salvo. È meraviglioso pensare alle sequenze iniziali e finali dei due più bei film di Fellini, sono quattro scene meravigliose. Eppure preferisco Otto e mezzo, un film inarrivabile. La dolce vita è altrettanto meraviglioso, un capolavoro assoluto, ma non arriva alle punte altissime a cui arriva Otto e mezzo.
La grandezza di Fellini è proprio in questo: i suoi film sono intrisi di simboli, eppure sono quasi tutti decifrabili. Era un visionario schietto e sincero, chiaro e comprensibile, risponde esattamente a quella che dovrebbe essere l'arte: qualcosa comprensibile da tutti, senza retorica. Voglio definitivamente vedere tutta la filmografia di Fellini.