Mastrocola, Paola - Più lontana della luna

Ugly Betty

Scimmia ballerina
Storia di un’adolescenza atipica, vissuta nel rifiuto di qualsiasi omologazione e nell’inseguimento di un sogno totalizzante: questa la vicenda di Lidia, ragazzina torinese degli anni Settanta. Lidia vive a Stupinigi, in una scuderia della Palazzina di caccia dei Savoia. La sua famiglia è modesta, il padre fa l’operaio alla Fiat, la madre è verduraia al mercato. Possiedono un cavallo, Pino, che diverrà per molti anni fedele compagno e confidente della ragazza.
Lidia è intelligente, ma i suoi studi non potranno proseguire, per ragioni economiche, oltre la terza media, andrà così ad aiutare la madre nel suo commercio. Mentre la sua vita sembra svolgersi su un sentiero ormai tracciato, accade l’imprevisto: un bel giorno arriva a casa loro un venditore d’enciclopedie Utet, un uomo elegante e convincente, che li persuade ad acquistare un’opera gigantesca, in trenta volumi, da pagarsi a rate per diciotto anni. La presenza di questi grossi libri, dapprima accatastati su due sedie nell’ingresso e successivamente posizionati in un mobile apposito, cambia la vita di Lidia. Una sera, mentre sfoglia le pagine chiusa nel bagno di casa – unico luogo raccolto – s’imbatte in Bernart de Ventadorn, trovatore provenzale del sec. XII, figlio di una fornaia e cantore dell’amore da lontano. Sarà proprio quest’idea a fissarsi nella sua mente e a farla scappare di casa a cavallo per sfuggire a un matrimonio borghese. Lidia vuole diventare un trovatore. Starà via cinque anni, attraversando mezza Italia col fedele Pino, vivendo per mesi senza fissa dimora, riscaldandosi a romantici fuochi di bivacco. La vita ha in serbo sorprese per lei, giovane introversa, ma non priva di buon senso e di spirito pratico. Troverà la sua vocazione, ma rimarrà sempre atipica ed estranea alle mode e agli usi borghesi. “Più lontana della luna” è un romanzo di formazione di facile lettura e non privo d’ironia, più felice e scorrevole nella prima parte, mentre nella seconda, che arriva agli anni Novanta, tende a impaludarsi in una trama più fiacca. Come in “Una barca nel bosco”, la Mastrocola delinea un protagonista originale con tutti i suoi problemi, ma la freschezza del romanzo precedente è lontana.
Lidia riflette bene le inquietudini dell’adolescenza, i sogni, la scoperta della poesia con quell’intensità che si possiede solo in quegli anni. Pur non essendo colta – né il primo approccio alla lirica la porterà mai ad approfondire le sue letture (non andrà oltre l’antologia scolastica delle magistrali prestatale da un’amica) oppure a recuperare gli studi abbandonati – Lidia interiorizza la poesia, ne percepisce il fascino e ne manda a memoria alcuni versi o se le trascrive su foglietti per averle sempre con sé. Le poesie “ti mettono dei pensieri che da soli non verrebbero mai” (p.78). “Forse per questo mi piacciono tanto le poesie, perché ci ritrovo sempre qualcosa che sto vivendo io, ed è una specie di miracolo perché qualcuno che non conosco le ha scritte chissà quando e chissà per chi, e sembra invece che parli proprio di me”. (p.229) Le sue riflessioni non vanno oltre il buon senso e l’intuizione, che comunque riescono a guidarla nelle sue scelte. La sua crescita si svolge quasi fuori dal mondo, per cinque anni Lidia vive senza giornali e senza televisione e quando cerca di recuperare il rapporto con la realtà trova non pochi ostacoli nella comprensione dei quotidiani, che tendono a dare per scontata la conoscenza di molti fatti. Nel periodo della contestazione e poi delle Brigate Rosse, Lidia è totalmente apolitica, immune alle mode, distante dal “movimento” come dalle aspirazioni borghesi, eppure si rende del tutto indipendente dalla famiglia, probabilmente più di molti suoi coetanei impegnati.
Lidia è presa dal suo grande sogno dell’amore da lontano, che pare realizzarsi nel rapporto con un uomo molto più anziano di lei e col quale mantiene una relazione soprattutto epistolare. “Un amore fermo, che non aveva un tempo e dunque non nasceva e non moriva, da tenere soltanto nella mente, da coltivare intatto come un sempreverde”. (p.231) Le emozioni delle lettere cartacee, la trepidazione nel ricevere i fogli che sono stati tra le mani dell’amato, la vista della calligrafia sono tutte sensazioni che le attuali mail o sms non possono trasmettere. Sullo sfondo ci sono le vicende storiche, soprattutto quelle degli anni Settanta, delineati con vivacità e ricchezza di particolari. L’atmosfera di quel periodo, i gusti e i sogni degli italiani, le mode vengono fatti rivivere con garbo e ironia. Alcuni oggetti non possono che trasportare verso i ricordi dell’infanzia chi appartiene alla generazione cresciuta in quel periodo. Ecco allora la televisione posata nel suo apposito mobile di vetro; la mitica lavatrice, sollievo alle fatiche femminili; la già nominata enciclopedia venduta porta a porta, la fonovaligia, i bicchieri Duralex di vetro infrangibile, che se per caso si rompono vanno in mille frammenti; Carosello; le figurine Mira Lanza, che si trovavano nei detersivi.
E ancora certi oggetti d’arredamento: il tavolo di formica, il lampadario a gocce di cristallo, la grossa bambola dall’ampio vestito posata sul letto matrimoniale. Chi scrive ricorda, con un sorriso, di aver visto a casa di zie e parenti esattamente questi oggetti. Si trattava, specie nel caso degli elettrodomestici, di simboli di una quasi-agiatezza, di un benessere che doveva ulteriormente svilupparsi.iltrata attraverso lo sguardo di Lidia è anche la descrizione delle contestazioni studentesche di quegli anni, in cui, se non ci si schierava a Sinistra, si veniva, come la protagonista, considerati o qualunquisti o fascisti. Tutto doveva avere un significato politico, posizioni alternative erano mal tollerate o tacciate di colpevolezza. Lidia, con il suo estraniarsi dalla realtà, non riesce a ritrovarsi, non comprende la necessità di tante riunioni, di tante parole, dei collettivi femministi. “La verità è che con i compagni, come con i telegiornali, mi annoiavo a morte. Mi annoiavano le loro parole: erano troppe, e sempre uguali, sembravano formule. E non mi piaceva quel loro modo di parlare, sempre truci, mai un sorriso, una battuta, sempre come se si trattasse di salvare il mondo”. (p.82)Scopre poi che buona parte dei compagni ha la casa in montagna in cui trascorrere i fine settimana e, mentre si riempiono la bocca di slogan tipo “potere agli operai” e “lotta di classe”, godono dei privilegi degli sporchi borghesi.
Del resto Lidia non s’inserisce neppure in una compagnia di tipi da piazza, disimpegnati e fatui. È assente, presa dalla ricerca di sé, dai suoi poeti d’amore e dalle figurine di creta che modella e rimodella.
La dimensione del sogno, il rifiuto di crescere, la fuga, la poesia costituiscono ottime intuizioni del romanzo, dispiace che la seconda parte non decolli quanto la prima, nonostante la scrittura pulita e onesta della Mastrocola.


Mah....non mi è parso sto grande libro..mi da l'idea di finzione esagerata...il concetto di amore lontano..il mago..poi ad un certo punto tutti che muoiono...genitori, cavallo...non so..mi ha un po' delusa questo libro della mastrocola...3/5
 
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stellonzola

foolish member
anche a me non è parso proprio un granchè! L'unica cosa che mi è piaciuta è stata l'idea di descrivere un personaggio che durante il 68... non si è accorto di niente!! o almeno non le importava della rivolta studentesca! Sarà che io vivo in un paese piccolo, ma di tutte le persone che conosco e che erano giovani in quegli anni... nemmeno una ha partecipato al '68. Finalmente in questo libro si è dimostrato che anche queste persone esistono!
Per il resto mi è parso un libro che tocca un po' troppi argomenti senza mai approfondire veramente niente. Alla fine cominci a pensare "chissà cosa si inventa questa adesso per tirare avanti?".
La protagonista non è credibile, la storia è assurda...
Vorrei leggere una barca nel bosco perché ho letto commenti migliori... speriamo meglio!
 

violet1986

New member
a parte diverse banalità e svariate esagerazioni devo dire che non mi è del tutto dispiaciuto leggere questo libro....e comunque mi ha fatto conoscere una scrittire a me del tutto sconosciuta...
 
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