Seierstad, Asne - Il libraio di Kabul

elisa

Motherator
Membro dello Staff
Quando l'autrice, giovane giornalista norvegese, entra a Kabul al seguito delle truppe alleate, una delle prime persone che incontra è Sultan Khan, il libraio. Con lui, nella sua bottega, inizia a parlare di letteratura, di cultura, della situazione del Paese, ma anche della sua famiglia, talmente rappresentativa del mondo afgano che Asne pensa di poterla raccontare in un libro. Così, per tutta la primavera successiva alla caduta dei Talebani, viene accolta a casa Khan e diventa la figlia bionda del libraio di Kabul. E' testimone di amori proibiti, di matrimoni combinati, di reati e punizioni, di ribellioni giovanili, e della severità con la quale la società islamica detta ancor oggi i modi in cui ciascuno deve vivere la propria vita.

E' un libro che sicuramente "prende" ma istintivamente ha qualcosa che non quadra, dovrebbe essere una testimonianza vera, ma si ha sempre la sensazione che sia finta. Almeno questo è stato il vissuto mentro lo leggevo.
 
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isola74

Lonely member
Sono perfettamente d'accordo.
A me il libro è piaciuto molto, mi sono commossa e indignata (più indignata che commossa...) nel leggere della vita delle donne afghane, eppure anch'io mi aspettavo un taglio più giornalistico, il libro è presentato come una testimonianza, eppure quasi sempre sembra solo un romanzo.
Comunque, valido.
 

gulla

New member
Lo sto leggendo in questi giorni , lo trovo molto bello, il taglio quasi romanzesco lo preferisco ad un più freddo taglio giornalistico. Un paese ed un popolo incredibili l' Afghanistan
 

mame

The Fool on the Hill
E' un libro che sicuramente "prende" ma istintivamente ha qualcosa che non quadra, dovrebbe essere una testimonianza vera, ma si ha sempre la sensazione che sia finta. Almeno questo è stato il vissuto mentro lo leggevo.

Tutto vero. Lavoravo in redazione durante la pubblicazione.
 

Eve

Member
Anche io sono della fazione pro-taglio romanzesco. Trovo che non tolga credibilità (e direi purtroppo) alle vicende narrate, ma le rende più fruibili da parte del lettore. Per me è un voto positivo :)
 

Nefertari

Active member
Devo dire che mi è piaciuto questo libro anche se avrei preferito trovare le impressioni e le opinioni dell'autrice riguardo quello che si trovava a vedere nella famiglia che l'ha ospitata invece, come già detto nelle altre recensioni, sembra più un romanzo. Comunque è piacevole e scorrevole, l'ho letto volentieri
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
Secondo me questo libro, in realtà, non è né un freddo saggio giornalistico, né un travolgente romanzo. Lo definirei, piuttosto, come una sorta di documentario in cui la voce fuoricampo dell'autrice descrive ciò che vede man mano che lo vede con qualche accenno al passato, alla storia del paese e dei personaggi. Questo stile narrativo, a mio parere, manca un po' di quel coinvolgimento emotivo che imprime l'autore quando racconta le sue impressioni ed emozioni, ma al contempo dà un punto di vista chiaro e trasversale sugli eventi.
In definitiva, mi è piaciuto abbastanza... ho letto diversi libri sull'Afganistan, è un popolo affascinante. Questo libro non rivela chissà quali novità, sebbene approfondisca temi come il matrimonio, il lavoro, la differenza tra uomo e donna anche dopo la caduta dei talebani... è comunque un libro scorrevole e molto piacevole alla lettura.
Anche per me è un voto molto positivo.
 

momi

Member
ho letto questo libro qualche anno fa e ne ho solo una spiacevole impressione, quella di osservare la vita di una famiglia afghana, che considera la vita privata sacra, dal buco della serratura, e non mi è piaciuto.
Volevo anche ricordare la diatriba seguita alla pubblicazione del libro tra la giornalista e Shan Muhammad Rais (il libraio), che scrive in un libro «Asne ha violato le regole dell' ospitalità. Ha approfittato della mia gentilezza per scrivere un libro infarcito di cliché occidentali e per svergognarmi. I suoi occhi europei come possono non aver visto le scuole distrutte? Come può aver scritto che non volevo educare i miei figli, le mie due mogli, mia sorella? Addirittura che nascondevo la frutta fresca dal resto della famiglia per mangiarla chiuso in camera assieme alla mia sposa più giovane? Io, proprio io, che credo nell' educazione universale e nell' eguaglianza?». Tale è a suo dire la sfrontatezza della norvegese che lei rivela persino «la mia abitudine di nascondere i guadagni tra le pagine dei libri». Un' informazione preziosa per «le moltitudini di banditi che scorrazzano per l' Afghanistan»; e che in conseguenza del libro di Seierstad quasi tutta la famiglia di Rais è dovuta emigrare parte in Canada e parte a Oslo.

Con questo non voglio certo dire che non si deve scrivere quello che succede in paesi come l'Afghanistan, ma a chi è stato utile questo libro: a migliorare la condizione delle donne afghane? a farci scoprire che la società afghana è profondamente patriarcale e conservatrice? o solo a dare visibilità alla scrittrice?
 

estersable88

dreamer member
Membro dello Staff
ho letto questo libro qualche anno fa e ne ho solo una spiacevole impressione, quella di osservare la vita di una famiglia afghana, che considera la vita privata sacra, dal buco della serratura, e non mi è piaciuto.
Volevo anche ricordare la diatriba seguita alla pubblicazione del libro tra la giornalista e Shan Muhammad Rais (il libraio), che scrive in un libro «Asne ha violato le regole dell' ospitalità. Ha approfittato della mia gentilezza per scrivere un libro infarcito di cliché occidentali e per svergognarmi. I suoi occhi europei come possono non aver visto le scuole distrutte? Come può aver scritto che non volevo educare i miei figli, le mie due mogli, mia sorella? Addirittura che nascondevo la frutta fresca dal resto della famiglia per mangiarla chiuso in camera assieme alla mia sposa più giovane? Io, proprio io, che credo nell' educazione universale e nell' eguaglianza?». Tale è a suo dire la sfrontatezza della norvegese che lei rivela persino «la mia abitudine di nascondere i guadagni tra le pagine dei libri». Un' informazione preziosa per «le moltitudini di banditi che scorrazzano per l' Afghanistan»; e che in conseguenza del libro di Seierstad quasi tutta la famiglia di Rais è dovuta emigrare parte in Canada e parte a Oslo.

Con questo non voglio certo dire che non si deve scrivere quello che succede in paesi come l'Afghanistan, ma a chi è stato utile questo libro: a migliorare la condizione delle donne afghane? a farci scoprire che la società afghana è profondamente patriarcale e conservatrice? o solo a dare visibilità alla scrittrice?

non sapevo della "risposta" del libraio... effettivamente la sua figura appare alquanto contraddittoria nel libro: da una parte lotta per salvare i libri che parlano di Afganistan e progetta di stampare testi scolastici, dall'altra non manda i suoi figli a scuola perché preferisce che si occupino delle sue librerie... Bah...
Quanto all'ospitalità non ha tutti i torti, ma quando l'ha accolta in casa lui sapeva che la giornalista, culturalmente molto lontana dalla sua famiglia, voleva scrivere un libro su di loro. Alla fine del libro, inoltre, c'è una sua dichiarazione abbastanza entusiastica, quindi rimango perplessa...
Quanto alla tua domanda, invece, sì hai ragione: il libro non sarà certo servito a migliorare la condizione delle donne afgane, ma è servito a noi per parlarne, all'occidente per prendere atto di una realtà lontana da noi ma non per questo inesistente. E allora, a mio parere, l'importante è che se ne parli!
 

momi

Member
non sapevo della "risposta" del libraio... effettivamente la sua figura appare alquanto contraddittoria nel libro: da una parte lotta per salvare i libri che parlano di Afganistan e progetta di stampare testi scolastici, dall'altra non manda i suoi figli a scuola perché preferisce che si occupino delle sue librerie... Bah...
Quanto all'ospitalità non ha tutti i torti, ma quando l'ha accolta in casa lui sapeva che la giornalista, culturalmente molto lontana dalla sua famiglia, voleva scrivere un libro su di loro. Alla fine del libro, inoltre, c'è una sua dichiarazione abbastanza entusiastica, quindi rimango perplessa...
Quanto alla tua domanda, invece, sì hai ragione: il libro non sarà certo servito a migliorare la condizione delle donne afgane, ma è servito a noi per parlarne, all'occidente per prendere atto di una realtà lontana da noi ma non per questo inesistente. E allora, a mio parere, l'importante è che se ne parli!

Per quanto credo nella potenza delle parole, non credo che solo parlare sia sufficiente in certi casi;
la mia delusione nel leggere il libro è sopratutto dovuta al fatto che la giornalista si è comportata come la tipica giornalista a caccia di gossip,
secondo me gli è mancata la sensibilità dello scrittore (quelli bravi, almeno) che riesce a capire e dare un senso più universale alla realtà che vive o vede.

P.S.: alcuni anni fa mi è capitato di entrare nella libreria del sig. Shan Mohammed , che ancora lavora in questa piccola libreria strapiena di libri.
 
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