Questa è la storia di un impiegato qualunque che lavora in un dipartimento qualunque della grande macchina burocratica della San Pietroburgo di inizio '800. Un impiegato anonimo, un eterno consigliere titolare senza alcuna ambizione, oggetto dello scherno dei colleghi, dell'indifferenza di tutti gli altri... una sorta di ragionier
Ugo Fantozzi ante litteram...
Una storia astratta, dai contorni indefiniti, fumosi, con un finale tutt'altro che tangibile. Ma per essere gustata, l'astrazione va riportata a particolari reali... e questo racconto affonda le radici proprio nella realtà...
Intanto i riferimenti autobiografici: un giovanissimo Gogol' era stato scrivano appena arrivato a San Pietroburgo, guadagnando la misera cifra di 400 rubli l'anno (toh, esattamente quanto Akakij Akakievic :wink
. In una lettera alla madre scriveva, in riferimento al suo stipendio e alle spese da sostenere, che non riusciva
"nemmeno a farsi un soprabito caldo, indispensabile per l'inverno".
Precisi e molto concreti sono i riferimenti ai soldi, ai rubli, agli stipendi, ai cambi, quasi un'ossessione che caratterizza la prima parte della storia per evidenziare le enormi difficoltà dell'impiegato nel racimolare la giusta somma per il cappotto (più o meno 1000 euro per uno che ne guadagna 400/500 al mese :??:??).
Reale è San Pietroburgo, scenario della vicenda: una città in cui forte è il contrasto tra periferia e centro e che si regge su una rigida divisione in classi sociali; una città governata da polizia e burocrazia che figurano nel racconto a diversi livelli (guardie, commissari, capi,
pezzi grossi ); una città piena di povera gente.
E povero è il nostro Akakij Akakievic, forse non per ceto ma per "vocazione", umile, docile, rassegnato, arrendevole... uno venuto al mondo per regredire...
Il suo nome la dice tutta:
Acacio dovrebbe significare "docile, non malevolo", sembra costretto dal destino all'ubbidienza, quasi quasi un santo... esolo un santo, o giù di lì, è in grado di fare quello che fa Acacio alla fine della storia...
Gogol' ci fa un grande regalo confezionando questo racconto che suscita riso, avolte amaro; un racconto grottesco e pieno di pietas, comico e fantastico, tutto allo stesso tempo, e che richiama alla mente la satira di
Bulgakov nei confronti dei burocrati sovietici, l'apatia dello scrivano
Bartleby sapientemente descritta da
Melville, la rendenzione del signor
Scrooge favorita da "fattori soprannaturali" di dickensiana memoria.
Ci fa un regalo perchè secondo molti dà il via allo sviluppo della successiva letteratura russa (
E.M. de Vogue vede la mantella di Gogol' come eredità, "
manto d'un profeta biblico lasciato ai discepoli"... per chi aveva ancora dubbi sul fatto della santità...
)
Ci fa un regalo perchè ci presenta un personaggio che non scorderemo facilmente. Akakij Akakievic, umile sì ma che non riesce a sottrarsi ad un unico peccato di vanità, alla regola non scritta che l'abito
fa il monaco, come scriveva
G.G. Belli in un sonetto composto pochi anni prima de
Il cappotto... e chissà che Gogol' non l'abbia avuto tra le mani durante il suo soggiorno romano...
:wink::wink:
L'abbito nun fa er monico
L'abbito nun fa er monico? Eh, sse vede!
Pròvete intanto una sorvorta sola
De presentatte ar Papa in camisciola
E poi sappime a ddì ccome t'agnede.
Senza er landàvo sai che tte succede?
Che ssi tt'hanno da dì mmezza parola,
Pare, per dio, che jjè s'intorzi in gola:
E cquanno parli tu, nnun te se crede.
Hai tempo, fijjo caro, d'arà ddritto
E dd'esse galantomo immezzo ar core:
Tristo in ner monno chi sse mostra guitto.
Cqua er merito se tajja dar zartore.
Cqua la vertù in giacchetta è un gran dilitto.
Una farda ppiù o mmeno, ecco l'onore.