Bufalino, Gesualdo - Diceria dell'untore

Visto che siamo in vena di consigli letterari e dopo aver consultato la lista dei libri recensiti, mi sono accorto che l'immenso Gesualdo non è stato mai recensito.
Dopo aver dedicato la vita ai suoi studenti, convinto da Sciascia ed Elvira Sellerio pubblicò il suo primo libro: Diceria dell'untore.

Successo immediato. Vinse il Premio Campiello nel 1981. E se avesse vinto anche lo Strega precedendo Eco non avrebbe rubato nulla.

E' velatamente autobiografico. Anche il prof. Bufalino fu affetto da tisi.
Il protagonista è ricoverato in un sanatorio vicino Palermo. Questo sanatorio è un microcosmo, fatto da individui più diversi e gestito da un "porco" dottore.
Tuttavia questo dottore è un amante dell'arte e organizza spettacoli con i pazienti, la maggior parte dei quali è destinata a morire ed attende solo la morte. In uno di questi spettacoli, il protagonista vede Marta Blundo, ex ballerina alla Scala di Milano. Dopo qualche tempo, i due scappano dal sanatorio ....

Non continuo, magari qualcuno vuole leggerlo.
La bellezza di questo libro sta nella scrittura di Bufalino. Usa un linguaggio arcaico, ma mai pesante. Capisci che l'italiano è la lingua più bella del mondo dopo aver letto i suoi libri.

Incipit:

O quando tutte le notti – per pigrizia, per avarizia – ritornavo a sognare
lo stesso sogno: una strada color cenere, piatta, che scorre con andamento
di fiume fra due muri più alti della statura di un uomo; poi si rompe,
strapiomba sul vuoto. Qui sporgendomi da una balconata di tufo, non
trapela rumore o barlume, ma mi sorprende un ribrezzo di pozzo, e con
esso l'estasi che solo un irrisorio pedaggio rimanga a separarmi... da che?
 
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Masetto

New member
Non posso proprio dire di aver apprezzato questo libro, sia per la trama che per lo stile. La prima mischia suggestioni da Mann, ricordi personali, indovinelli da Settimana enigmistica, personaggi strampalati ad una storia d’amore maledetto e sventurato che d’originale non ha proprio niente, senza che tutto ciò si amalgami in qualcosa di davvero memorabile. Il secondo è corposo, barocco, ridondante, ma, sinceramente, m’è parso che l’arte non la tocchi quasi mai.
 
Il secondo è corposo, barocco, ridondante, ma, sinceramente, m’è parso che l’arte non la tocchi quasi mai.


E' un'impressione comune a moltissimi lettori. Invece secondo me denota la mostruosa cultura del Professore. Il saper usare l'italiano come nessun altro. Non una parola fuoriposto. Non ostentazione, né scriver difficile, ma semplicemente l'italiano.

"Lei era la meridiana che disegnava sul soffitto delle mie insonnie le
pantomime del desiderio; lei, la tagliuola che mi mordeva il calcagno; il
mare di foglie che il sole tramuta in brulichìo di marenghi; lei, la buca
d'obice, l'in pace, le quattro mura di ventre dove nessuno mi cerca."


Non è colpa di Bufalino se gli studenti italiani per leggerlo sono costretti ad usare lo Zingarelli.

(ovviamente gli studenti non si pongono il problema, non lo leggono affatto)
 

elena

aunt member
Anche se la trauma descritta ricorda un'ambientazione molto da Montagna incantata......quest'opera mi ha incuriosito....aggiunta alla lista desideri :)
 

Masetto

New member
"Lei era la meridiana che disegnava sul soffitto delle mie insonnie le
pantomime del desiderio; lei, la tagliuola che mi mordeva il calcagno; il
mare di foglie che il sole tramuta in brulichìo di marenghi; lei, la buca
d'obice, l'in pace, le quattro mura di ventre dove nessuno mi cerca."
Ecco, questo secondo me è proprio un esempio di barocco, cioè di un procedimento creativo volto unicamente a stupire il lettore, ma incapace di scendere nei recessi del cuore umano.

Lei era la meridiana che disegnava sul soffitto delle mie insonnie le pantomime del desiderio
Qui, a parte la ricercatezza dell’insolito paragone, cosa c’è di profondo? Cosa ci dice questa frase sul sentimento amoroso? Solo che di notte uno pensa alla donna desiderata. Dov’è lo scavo nel sentimento, nella psiche? Io non ne vedo.

lei, la tagliuola che mi mordeva il calcagno
Idem. Un’immagine bizzarra per dire che l’amore può far male. Nulla più.

il mare di foglie che il sole tramuta in brulichìo di marenghi
Questa mi sembra più riuscita, sia come immagine che come suono. Ma non va al di là del decorativismo.

lei, la buca d'obice
Qui cosa si intende? La buca lasciata da una granata? E che vuol dire? Ancora che l’amore ferisce? Troppo vago…

le quattro mura di ventre dove nessuno mi cerca.
Anche qui vedo solo una ricerca “d’effetto”. E comunque l’amore visto come desiderio inconscio di ritorno al grembo materno (se è a questo che qui si allude) non è certo una novità.



Tutto ciò è leggibile, ma non certo memorabile a parer mio. L’arte, per essere tale, deve saper andare molto più in profondità nel cuore umano secondo me, come per esempio fanno qui, e senza bisogno di scrivere tanto “forbito”, Molière:

“ Bisogna confessarlo, l'amore è un gran maestro:
ci insegna ad essere ciò che non fummo mai
e dei nostri modi spesso l'improvviso cambiamento
è, per le sue lezioni, affare d'un momento;
della natura, in noi, lui forza gli ostacoli
e i suoi effetti hanno spesso l'aria di miracoli;
d'un avaro all'istante lui fa un generoso,
un coraggioso di un poltrone, un civile d'un bruto;
rende agile a tutto l'anima più lenta,
e dona dello spirito alla più innocente “

e Ovidio:

“ Ti odierò, se potrò, altrimenti ti amerò, mio malgrado “



Per lo meno, queste sono le mie impressioni :)
 
Absit iniuria verbis


Nel mio cuore le parole di Bufalino sono scese. Magari non ci vuole molto per emozionarmi, ma i suoi scritti per me non hanno quella "pesantezza" barocca sulla quale tu insisti.
Anche la tua analisi del brano non è che mi abbia convinto molto. L'obice, i marenghi, il calcagno, la pantomima, il ventre, sono tutte parole desuete, ma di grande musicalità ed efficacia.
Bufalino non è un semplice giocoliere con le parole, ma ne conosce il valore e l'efficacia, e conoscere tutti i 70000 lemmi dello Zingarelli e soprattutto saperli usare con grazia non è una colpa.
I tuoi esempi di arte sono "profondi", ma sono delle traduzioni, e come ci insegnano: tradurre è tradire, a meno che non traduca Pavese o Fernanda Pivano ed allora anche la traduzione diventa valore aggiunto.

Non è facile leggere il prof. Gesualdo, ma da qui a dire che la sua scritture non è arte, a parer mio è una forzatura.
Poi tornando all'Homo mensura, anche le feci di Manzoni sono considerate arte dunque...
 
Ultima modifica:

Masetto

New member
L'obice, i marenghi, il calcagno, la pantomima, il ventre, sono tutte parole di grande musicalità ed efficacia.
La prosa di Bufalino vuol essere anche musicale, sì

[ per esempio lui imposta le frasi su dei suoni ricorrenti (qui m ed n):
Lei era la meridiana che disegnava sul soffitto delle mie insonnie le pantomime del desiderio
o sfrutta le consonanze:
la buca d'obice ” ].

Ma io continuo a non sentire una grande efficacia in tutto ciò, né una grazia particolare, e mi sembra che resti proprio un semplice giocoliere delle parole.

I tuoi esempi di arte sono "profondi", ma sono delle traduzioni, e come ci insegnano: tradurre è tradire
Sono delle traduzioni, sì, ma a me qui interessavano i concetti, che anche in un’altra lingua non cambiano. Questi due esempi “scavano” nel sentimento amoroso, mentre il passo di Bufalino in questione non vedo che lo faccia.

Non è facile leggere il prof. Gesualdo, ma da qui a dire che la sua scritture non è arte, a parer mio è una forzatura.
Beh, io ho solo mostrato perché a mio parere quel passo non è arte.

Absit iniuria verbis :)
 
Cara Nicole,
non ritratterei la mia prima affermazione nemmeno davanti ad un plotone d'esecuzione per aver salva la vita.
Sulla seconda potrei abiurare dicendo: eppur alcune traduzioni rovinano un libro.



Sul Bufalino giocoliere.
Io dico che Bufalino è anche giocoliere, non sic et simpliciter un giocoliere.
Per me il suo italiano è efficace, magico, armonico, profondo.
Forse è ammirazione e invidia da parte di uno che vorrebbe aver la sua padronanza nello scrivere, chissà...

Ps. Sono io l'invidioso, rileggendo il post mi sono accorto che l'ultima frase è scritta con i piedi e potrebbe essere equivocata, ma d'altronde non sono Bufalino.
 
Iniziato ieri sera, edizione tascabili Bompiani con intervista a Sciascia che parla di Bufalino.
Interessanti le citazioni:

DICERIA: Discorso per lo più non breve detto di viva voce; poi anche scritto e stampato...
Di qualsiasi lungo dire, sia con troppo artifizio, sia con troppo poca arte...
Il troppo discorrere intorno a persona o cosa...
TOMMASEO-BELLINI


UNTORE: Dispensatore et fabbricatore delli onti pestiferi, sparsi per questa Città, ad estinzione del popolo...
(Carte del processo, 1630)

Vi saprò dire.
 
Sergio, penso che Bufalino non faccia al caso tuo, troppo lirico per te. E, per di più, linguista. A me piace moltissimo, ovvio.
Lo riscoprii grazie ad un'insegnante che mi invitò a leggerlo per "giocare" con le parole. (è attinente a quanto stiamo dicendo nella stanza "un mondo di parole")

Riporto un brano:
[...]
Angelo diceva che la morte è un paravento di fumo fra i vivi e gli altri. Basta affondarci la mano per passare dall’altra parte e trovare le solidali dita di chi ci ama. Purché si lascino péste, uste, minuzie che conservano il nostro odore. Fu forse questo pensiero che lo spinse ad affidare a una suora una filza di lettere con date fittizie, da spedire una alla volta due volte l’anno. In esse narrava il romanzo futuro di sé, vantava paternità, impieghi, successi; annunziava indisposizioni da nulla che nella puntata dopo erano già guarite e remote. Sua madre – ci spiegava – sarebbe vissuta più a lungo, aspettando a ogni scadenza il posticcio messaggio in cui si prolungava indefinitamente l’eco della cara voce scomparsa. Sarebbe stato per lei come avere un figlio oltremare, a San Paolo, a Little Italy. Lei morì subito dopo di lui, tuttavia, e suor Tarcisia, se non l’ha saputo, continua certo ancora oggi a impostare queste inferie di un morto a una morta, che nessun postino potrà mai restituire al mittente (ma fra noi vivi che ci scriviamo, le parole servono forse di più? Ed è poi sicuro che sia suono la vita e silenzio la morte, e non invece il contrario?).


Diceria dell'untore - Gesualdo Bufalino, pagg. 19-20 - Ed. Bompiani

Tra le parentesi il senso più alto dell'inutilità delle parole (ah, le parentesi, queste inopportune pensatrici).
 

sergio Rufo

New member
si, julia, immaginavo, infatti.
Come dicevo poco su, questo libro pur avendolo in casa non mi ha mai attirato.

mah! un libro pre-destinato a non essere letto da me.
Ma magari....chi lo sa.
 
Sergio, devi leggerlo, penso sia un autore a te affine.
Lo dico perché ho finito questo libro ma non è un libro finito, capirai il perché quando arriverai alle sue pagine finali. Nasconde un tesoro, in appendice, che ti invita a rileggerlo secondo le tante chiavi fornite dall’autore in epilogo.
Epigrafi, versi, istruzioni per l’uso, un Bufalino capace di usare l’erudizione letteraria come mezzo per incuriosire il lettore.
E ci riesce, con ilarità e superbia, lasciando ampi margini all’autonomia di chi legge.
Nella mia copia edita da Bompiani, a pag 165, dopo la ricostruzione fantastica di una partita a scacchi tra il protagonista e il Gran Magro (partita detta di Damiano che sicuramente conosci, mi piacerà farti vedere le mosse) ci sono le bellissime e dotte “Istruzioni per l’uso” che introducono in corsivo:

“Il patto fra autori e lettori è quasi sempre di tipo leonino, né consente ai secondi altra scelta che di chiudere il libro o di accettarne le pagine come sono, sorde ad ogni interpellanza, sdegnose d’ogni ignoranza.
Chi scrive si compiace sotto sotto di questa mansione d’oracolo e del privilegio di parlare a fior di labbra, con voce contraffatta, e di tacere quando gli pare. Accompagna anzi a un tale sopruso non so che sussiego, come di un pretore che non curi le minutaglie…Alle volte, come nelle pagine che precedono, nate da una ruminazione solitaria e originariamente non destinate alla stampa, l’eccesso di confidenza risulta addirittura offensivo. Allora pare doveroso al responsabile (salve restando, le sacrosante ambiguità che qualunque espressione comporta, e che son poi deleghe di libertà alla controparte) rendere conto, non fosse che per un riguardo alle orecchie più semplici, delle tante spicciole oscurità che farciscono il testo e mettere, nero su bianco, le seguenti postille e istruzioni per l’uso:

pag.7
Materne mucose: il letto viene assimilato al buio e protettivo utero materno.

[…]”

Diceria dell’untore – Gesualdo Bufalino.

Bellissime e dotte “Istruzioni per l’uso”, ma anche ridondanti, caro Sergio.
Cosa dire di quell’”eccesso di confidenza offensivo” che pone l’autore in una posizione di falsa e retorica umiltà?
Il dovere – anch’esso retorico stante a quanto scritto nelle veritiere parentesi, rileggi! – di rendere conto delle parti oscure, snatura il patto tra autori e lettori. Gli uni carnefici degli altri.
Un patto eterno che Bufalino non deve permettersi di rompere.
Libro per pochi eletti, mio caro Sergio. Per i più, effimero gioco di stile.
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Masetto ha scritto:
“Lei era la meridiana che disegnava sul soffitto delle mie insonnie le pantomime del desiderio”
Qui, a parte la ricercatezza dell’insolito paragone, cosa c’è di profondo? Cosa ci dice questa frase sul sentimento amoroso? Solo che di notte uno pensa alla donna desiderata. Dov’è lo scavo nel sentimento, nella psiche? Io non ne vedo.

“lei, la tagliuola che mi mordeva il calcagno”
Idem. Un’immagine bizzarra per dire che l’amore può far male. Nulla più.

“il mare di foglie che il sole tramuta in brulichìo di marenghi”
Questa mi sembra più riuscita, sia come immagine che come suono. Ma non va al di là del decorativismo.

“lei, la buca d'obice”
Qui cosa si intende? La buca lasciata da una granata? E che vuol dire? Ancora che l’amore ferisce? Troppo vago…

“le quattro mura di ventre dove nessuno mi cerca.”
Anche qui vedo solo una ricerca “d’effetto”. E comunque l’amore visto come desiderio inconscio di ritorno al grembo materno (se è a questo che qui si allude) non è certo una novità.

Mi domando se, prima di replicare con tanta veemenza, si sia aperto e letto il libro, considerato che soggetto delle proposizioni sopra non è affatto l'amore, ma la morte.

Ovviamente mi schiero a difesa di Bufalino. Splendido libro.
 
"Cosí non c’era giorno o notte, alla Rocca, che la morte non m’alitasse accanto la sua versatile e ubiqua presenza; ch’io non ne intravedessi, in una striscia di luce o in un mucchietto di polvere, le imbellettate fattezze, ora d’angelaora di sgherra. Lei era la meridiana che disegnava sul soffitto delle mie insonnie le pantomime del desiderio; lei, la tagliuola ..."
 

sergio Rufo

New member
Mi domando se, prima di replicare con tanta veemenza, si sia aperto e letto il libro, considerato che soggetto delle proposizioni sopra non è affatto l'amore, ma la morte.

Ovviamente mi schiero a difesa di Bufalino. Splendido libro.

Anche tu Di dici che e' uno splendido libro.
Julia me lo conferma.

Sono anni che tengo questo libro in libreria e mai ne ho approfittato?
 

elena

aunt member
Leggere questo libro e percepire immediatamente di essere di fronte a un "grande".... ancorché fino ad oggi a me sconosciuto autore.
Il linguaggio ricercato a mio parere non costituisce un abbelimento per mascherare una mancanza di contenuto o di penetrazione nell'animo del lettore, ma rappresenta un elemento distintivo di questo singolare erudito che riesce a trasmettere forti sensazioni attraverso un procedimento da lui stesso definito "barocco borrominiano" nel quale "l'ornato è una funzione, senza di esso l'architettura cadrebbe".
L'appendice poi è incredibile: consente al lettore di rianalizzare il testo secondo diverse prospettive, quasi fosse un gioco divertente ma complesso.
E' un libro che secondo me andrebbe annoverato tra i "classici", un vero capolavoro.
 

sergio Rufo

New member
Sergio, devi leggerlo, penso sia un autore a te affine.
Lo dico perché ho finito questo libro ma non è un libro finito, capirai il perché quando arriverai alle sue pagine finali. Nasconde un tesoro, in appendice, che ti invita a rileggerlo secondo le tante chiavi fornite dall’autore in epilogo.
Epigrafi, versi, istruzioni per l’uso, un Bufalino capace di usare l’erudizione letteraria come mezzo per incuriosire il lettore.
E ci riesce, con ilarità e superbia, lasciando ampi margini all’autonomia di chi legge.
Nella mia copia edita da Bompiani, a pag 165, dopo la ricostruzione fantastica di una partita a scacchi tra il protagonista e il Gran Magro (partita detta di Damiano che sicuramente conosci, mi piacerà farti vedere le mosse) ci sono le bellissime e dotte “Istruzioni per l’uso” che introducono in corsivo:

“Il patto fra autori e lettori è quasi sempre di tipo leonino, né consente ai secondi altra scelta che di chiudere il libro o di accettarne le pagine come sono, sorde ad ogni interpellanza, sdegnose d’ogni ignoranza.
Chi scrive si compiace sotto sotto di questa mansione d’oracolo e del privilegio di parlare a fior di labbra, con voce contraffatta, e di tacere quando gli pare. Accompagna anzi a un tale sopruso non so che sussiego, come di un pretore che non curi le minutaglie…Alle volte, come nelle pagine che precedono, nate da una ruminazione solitaria e originariamente non destinate alla stampa, l’eccesso di confidenza risulta addirittura offensivo. Allora pare doveroso al responsabile (salve restando, le sacrosante ambiguità che qualunque espressione comporta, e che son poi deleghe di libertà alla controparte) rendere conto, non fosse che per un riguardo alle orecchie più semplici, delle tante spicciole oscurità che farciscono il testo e mettere, nero su bianco, le seguenti postille e istruzioni per l’uso:

pag.7
Materne mucose: il letto viene assimilato al buio e protettivo utero materno.

[…]”

Diceria dell’untore – Gesualdo Bufalino.

Bellissime e dotte “Istruzioni per l’uso”, ma anche ridondanti, caro Sergio.
Cosa dire di quell’”eccesso di confidenza offensivo” che pone l’autore in una posizione di falsa e retorica umiltà?
Il dovere – anch’esso retorico stante a quanto scritto nelle veritiere parentesi, rileggi! – di rendere conto delle parti oscure, snatura il patto tra autori e lettori. Gli uni carnefici degli altri.
Un patto eterno che Bufalino non deve permettersi di rompere.
Libro per pochi eletti, mio caro Sergio. Per i più, effimero gioco di stile.

Letto in montagna dopo essere stato li' in libreria per qualche anno.
Hai ragione, Julia: mi e' piaciuto, l'ho trovato un libro di spessore.
Concordo con quanto dici: va' al di la' dello stile ( un pretesto, un gioco, un vezzo?).
Ad ogni modo lascio questo quesito, che poco m'interessa, senza risposta.
Quello che conta per me e' altro: di cosa si e' Untori nella diceria?
Io direi proprio quello che non si sospetterebbe mai:se stessi.
La frase chiave del libro e' una, detta da Marta: " non riesco ad immaginare cosa piu' importante nella storia, della mia morte"
In queste parole si nasconde tutto il senso del libro: nella vita non c'e' attimo piu' " individuale" dell'ammalarsi per morire.
Se la vita sana e' la dispersione dei toni e dei colori esistenziali ( il suo flusso veloce, nell'io, nel tu, nel noi, nel loro...), la morte e' l'annullamento totale di ogni percezione di questa possibile dispersione.
C'e' una distonia d'intervallo: quando si e', se non si e' nalla vita e nella morte?
Probabilmente quando ci si ammala seriamente.
Jaspers sosteneva che le due situazioni limiti della vita sono: nascita e morte. Le uniche due che paradossalmente , seppur cosi' intime, mai noi potremmo viverle. Non abbiamo coscienza di nascere e nemmeno coscienza dell'ultimo fatale secondo, una frazione piu' in la'. Noi possiamo soltanto vedere gli " altri" a morire ma mai noi stessi.
E dunque la malattia e' quell'attimo di raccoglimento piu' vicino ad una di queste situazioni limite. Nella malattia ci "raccogliamo" in noi stessi perche' percepiamo oltre che alla paura e all'ineluttabilita' dell'evento, il momento che piu' di ogni altro ci convoca nudi e soli ad essere quello che noi siamo fuori dalla dispersione vitale, perche' la convocazione e' sempre solitaria ed infine non ci saremo in quel preciso istante.
La malattia e' " anticipazione", esorcismo, ritualita', e' una condizione profondamente umana ed esistenziale. La malattia e' " individuale".
Si e' sani quando si e' malati, forse?

Un libro che ho letto con questa chiave di lettura. In molti passi ho trovato questa allusione sottaciuta.

In barba al sig. Bufalino che nega, l'influenza della Montagna incantata del Mann, si fa eccome sentire. Il tema malattia come vita vera ci sta' in entrambi. Eccome!
 
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