Roth, Philip - Indignazione

elena

aunt member
Nonostante la brevità (meno di 140 pagine) è una storia a largo respiro non incentrata solo sui disagi psichici di un personaggio (magari un vecchio perfido e rancoroso che, non accentando il passare del tempo, amplifica le problematiche connesse alla vecchiaia …..come nelle ultime opere rothiane:sbav:) ma offre uno spunto di riflessione sulla società americana di metà del XX secolo.
Siamo nel 1951 e il giovane Marcus Messner, brillante studente e figlio di un macellaio kosher, inizia un percorso per affermare la propria individualità con l’obiettivo di affrancarsi dal suo ambiente di origine e, nel contempo, prepararsi ad affrontare la guerra di Corea non come “carne da macello” ma da ufficiale, con una teorica maggiore speranza di vita. Il cammino per una crescita individuale e spirituale è sempre caratterizzato da ostacoli e difficoltà, ma lo è ancor più in un ambiente ove si tende ad esaltare l’omologazione a scapito di ogni atteggiamento soggettivo: la libertà individuale è vista come un’anomalia, una mancata integrazione e come tale inibita.
Il protagonista prova indignazione per il mondo che lo circonda e per i pregiudizi che, nonostante il suo desiderio di affrancamento, lo condizionano al punto da impedirgli di assaporare a pieno anche la bellezza della scoperta sessuale; tutto ciò lascia spazio al dominio della paura che il protagonista si illude di superare con l’intelligenza e la ragione, richiamandosi alla filosofia di Bertand Russel.
Il tutto condito da una prospettiva molto particolare, un colpo di scena che l’autore rileva dopo le prime 30 pagine e che dona un gusto molto amaro a tutta la vicenda.

E’ un romanzo che, a mio parere, si inserisce nel novero della migliore produzione di Roth.
 
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ayuthaya

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Per una buona metà del libro mi sono persino meravigliata che chi stavo leggendo fosse Philip Roth... Eppure i “sintomi” c'erano tutti: la prepotenza di uno stile immediato, a tratti eccessivo, che va dritto al cuore delle cose e al mio cuore; la commistione di comicità e amarezza (devo ridere? devo piangere? forse tutte e due...); la sensazione di essere strappata da me stessa e trascinata via... Sì, sì... i sintomi erano quelli. Ma ciò che mi ha sorpreso, è come Roth sia riuscito a fare tutto questo senza ricorrere alla sua estenuante (benché, lo ammetto, ammaliante), densa prosa. In questo romanzo tutto è semplice, lineare: la brevità fa sì che non sia dato spazio a nulla che non sia strettamente connesso alla vicenda principale. Il risultato è un romanzo strepitoso, in cui non vi è nulla di superfluo, e ogni singola frase, ogni singola parola, arriva a destinazione.

Nella prima parte (e fino all'incontro con Olivia) sembra il racconto di un ragazzo qualunque, uno dei tanti adolescenti americani che, cresciuto in seno a una famiglia amorevole, alla quale si sente fortemente legato, a un certo punto sente tuttavia il bisogno di staccarsi, o peggio ancora di “strapparsi”, per sfuggire alle ansie di un genitore le cui paure (non tanto di ciò che gli altri potrebbero fare a lui, quanto di ciò che lui, il “figlio perfetto”, potrebbe fare a se stesso) stanno trasformandosi in una fobia dagli esiti intollerabili.
La “perfezione” − e la sua inseparabile compagna, la “deviazione” − sono temi cari a Roth (Pastorale Americana ne è l'esempio lampante). Qui però il lavoro che fa Roth è magnifico: Marcus Messner è sì uno studente modello, che ambisce a laurearsi col massimo dei voti per poter essere arruolato nella guerra in Corea col grado di ufficiale e sfuggire così a una morte che lui ritiene certa, ma ci accorgiamo subito che dietro questo “modello di virtù” si nasconde un carattere forte, ribelle e non privo di contraddizioni.
Se l'incontro con Olivia determina l'inizio di quelle “scelte accidentali, banali, addirittura comiche” che finiranno per produrre “gli esiti più sproporzionati”, il cuore e l'apice del romanzo sono rappresentati dal colloquio con il decano Caudwell. Non riuscendo a trattenere le risate, leggevo l'esilarante scambio di battute fra i due, e proprio qui − nell'incontro/scontro fra il patetico perbenismo americano e l'altrettanto assurda pretesa di avere per forza ragione, di voler essere lasciati in pace a tutti i costi, di indignarsi per qualsiasi cosa − si rivela tutta la tragicità di questo conflitto e di questo romanzo.
Di fronte al decano, Marcus non rappresenta la forza ribelle ma propositiva della gioventù, che cerca di opporsi al bigottismo della “tradizione”. Marcus si illude di ribellarsi al sistema, così come si era illuso di ribellarsi alla pressione soffocante di suo padre; in realtà è lui stesso − con le sue scelte, con la sua incapacità di affrontare ciò che sente estraneo, con la sua tendenza a scappare dai problemi anzichè risolverli, col suo ridicolo trincerarsi dietro l’ineccepibilità della propria condotta − a costruire attorno a sè la propria gabbia e quindi la propria condanna. Bellissimo il passaggio in cui Marcus si rende conto che essere fuggito da suo padre non gli è servito a nulla... lui è suo padre: è le sue stesse paure, le sue stesse reazioni incontrollate, il suo stesso cocciuto e sterile “no” a un sistema al quale lui stesso ha scelto di sottomettersi.
L’irrazionalità della vita (altro tema caro all’autore) qui si tinge dei colori foschi di un fato auto-imposto (il ritornello della morte che lo attenderebbe in Corea suona come un inquietante leit motiv): saranno pure “accidentali, banali, addirittura comiche” le scelte che possono condurci laddove mai avremmo creduto di arrivare, ma sono pur sempre scelte. E, vuole dirci forse Roth, persino la nostra “indignazione” verso un mondo in cui non ci riconosciamo deve superare il banco di prova della vita, e non è detto ci riesca.

I libri di Roth lasciano in bocca un sapore molto particolare... è il sapore delle risate mescolate alle lacrime e poi ancora alle risate, anche se alla fine credo che a vincere sia sempre il sorriso. Chissà, forse se dovessi consigliare un primo approccio a questo autore, lo farei partire proprio da qui, da questo romanzo che in 141 pagine godibilissime racchiude molti dei temi a lui cari, e lo fa senza sbagliare un colpo.
 
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Wilkinson

Member
Concordo assolutamente con le due belle recensioni qui sopra.
Se uno scrittore, anche nelle sue opere non "maggiori" riesce a scrivere in questo modo cosa può fare se non ricevere il Nobel ?
Solo i parrucconi eurocentrici di Stoccolma non fanno quello che sarebbe solo il loro dovere..
Anche perchè, col suo periodare riflessivo, Roth fa si che, anche conclusa la lettura, la tua mente sia portata a ragionare sulla realtà in modo rothiano per così dire (come succede per esempio con kundera, altro grande ingiustamente dimenticato dal circolo svedese..)
 

ayuthaya

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Membro dello Staff
Approfitto dell'occasione per ribadire il mio invito a leggere questo libro, in particolare per chiunque non abbia mai letto nulla di Roth o per chi non sia ancora riuscito ad inquadrarlo bene... Dei suoi romanzi letti, io uno l'ho detestato, uno mi ha colpito e uno mi ha conquistato... questo (che è stato il quarto) è piacevolissimo, tragi-comico e ricco di spunti... un distillato di Roth che merita di essere preso in considerazione!!!! :HIPP
 

c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Ho letto parecchio di P. Roth, ma questo molto tempo fa. Ho la stranissima sensazione, sebbene non ricordo molto dei singoli romanzi letti, di aver letto sempre lo stesso romanzo. :paura:
A parte "La mammella" che lo ricordo come un... "La metamorfosi" dei poveri...
Eppure ricordo anche che mi piacevano i suoi libri. Mah! Senilità? :mrgreen:
 

Grantenca

Well-known member
Ancora un bel libro di Philip Roth, un grande autore contemporaneo che ha già ottenuto unanimi riconoscimenti. E’ la storia di un ragazzo di famiglia ebrea, un bravo ragazzo, dedito agli studi e attaccatissimo alla famiglia tanto, che passa quasi tutto il tempo libero ad aiutare il padre, macellaio, e si rende perfettamente conto dei sacrifici che il mestiere richiede. Vuole affrancarsi da questa condizione e per di più vuole evitare di essere arruolato come soldato semplice dall’esercito statunitense in quei tempi (siamo negli anni 50) in guerra con la Corea. Ha già perduto due cugini nella grande guerra, e ha il terrore di percorrere lo stesso cammino. Per fare ciò si propone di essere sempre il primo negli studi, e ci riesce, ma purtroppo le fobie iperprotettive del padre lo costringono a scegliere un “college” molto lontano da casa.
Qui incontra qualche problema, non negli studi, ma nelle relazioni con gli altri studenti, dal momento che è ferocemente determinato a raggiungere i suoi obbiettivi e trascura completamente ogni attività ludico-sociale. Questo suo comportamento viene censurato da una specie di assistente spirituale, il decano, con il quale ha un violentissimo confronto dal quale emerge il suo disprezzo per certe abitudini e regole del “college”, e non riesce a dominarsi nel linguaggio, confessando anche il suo totale disinteresse per la religione. Tutto questo, unito ad una prima esperienza sentimentale con una ragazza che ha problemi più grandi dei suoi e che, per la sua educazione di ragazzo a modo, gli crea grandi sensi di colpa, non migliora la sua situazione. Non vado oltre per non privare qualcuno del piacere della lettura e della scoperta. E’ un bel libro, che merita di essere letto anche se a mio avviso (opinione del tutto personale) è un gradino sotto ai migliori libri di questo grande scrittore.
 

malafi

Well-known member
Questo libro mi ha parzialmente deluso.
Alterna momenti di prosa e letteratura potente ad altri un po' sottotono.
Per esempio sono rimasto attaccato ad ogni singola parola, quando Marcus esprime la sua vis polemica/oratoria con il decano. Ma altre parti le ho trovate un po' tirate via, quasi che al di fuori di questa grande virtù di Marcus, Roth stesso non amasse così a fondo questo libro da dedicarcisi dando il meglio di sè.
Bello, ma deludente.
Da 3,5 ma arrotondo per difetto, come la mia prof del liceo :mrgreen:
 
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