l'uomo che voleva disegnare Dio
Dunque, di Caravaggio neanche inizio a discutere. Lo amo di una amore sconfinato e l'amore non sente ragioni
Sembra comunque ci sia unanimità in materia.
Per quanto riguarda Escher, sul quale leggo di perplessità in vari post, beh... io invece lo adoro. Questione di amore anche qui. Artisticamente parlando è uno dei miei primi amori e, come ogni primo amore che si rispetti non si scorda mai. Di lui molto si è scritto, le sue opere si incontrano ad ogni piè sospinto e conservano un fascino senza età.
E' di tutta evidenza che c’è un sacco di matematica nelle sue opere, nonchè di gusto, quasi fanciullesco nel giocare con l’assurdo, con l’inganno, con l’illusione ottica. Era affascinato in particolare dalle aree più scivolose della matematica, quelle che sfidano la ragione fino ai suoi limiti estremi costringendola sui quei sottilissimi crinali in cui la logica sembra venir meno: la ricorsività, l’indecidibilità, l’autoreferenzialità, l’infinito.
Le implicazioni filosofiche di questi temi sono di portata immensa: l’eterno ritorno, il panta rei, l’immutabilità di un destino che sempre si ripropone e cosa sia il libero arbitrio. A dire: se tutto si ripete, come possiamo uscir fuori dalla “gabbia”? Di più: se così è, come mai abbiamo l’idea del fuori? E ancora: come mai abbiamo l’idea di infinito? Si potrebbe continuare a lungo...
Le technicalities che Escher utilizzava sono state studiate a fondo e sono bene note. Il triangolo di Penrose -nella Cascata ce ne sono ben due: assurdo+assurdo- l’effetto Droste, il nastro di Mobius etc etc…
L’acqua nella “Cascata” di Escher rappresenta il “panta rei” per antonomasia: tutto scorre, muta e cambia tornando però sempre al medesimo punto, rimanendo sempre se stesso e non cambiando la propria natura più intima, proprio come l’acqua, il più vitale mutevole/immutevole degli elementi. Senza “finire” mai, qualcosa che “non finisce” in questa realtà chiusa, finita, che sempre si ripete... si, finita come il piano sul quale catturare il disegno.
Questa una, tra le tante letture che Escher propone di sè, che personalmente mi affascina di più: la ricorsività del divenire (questo vuole raffigurare l'acqua della Cascata) utilizzata da Escher come tecnica per rappresentare l’infinito all’interno del finito.
L’infinito –sembra chiedersi Escher- ha a che fare con noi? Ha una qualche relazione col finito? Ed in questo labirinto popolato da complicatissimi giochi di specchi, ci si perde. Non potrebbe essere altrimenti: Escher voleva disegnare Dio.