Il cortile dei giochi svelati
- E' un termometro.
- E' un anello dell'umore.
- Non è vero. Me l'ha spiegato mio padre. Segna la temperatura del corpo. Ci sono dentro i cristalli liquidi che cambiano colore quando li scaldi. Non è magico. E' finto.
- Lo so come funziona. - rispose Camilla, stringendosi nelle piccole spalle avvolte nelle maniche a fiori rosa. La delusione di Diana non sembrava intaccare minimamente il suo buon umore. L'anello restava di un bel blu oltremare.
- Avevi detto che mi mostravi una magia.
Erano solo le due di pomeriggio, ma il sole che filtrava tra gli alberi del giardino della scuola aveva una sfumatura che ricordava la luce del tramonto. In quella zona del cortile non c'erano altri bambini.
Da dietro l'angolo della palestra si sentivano i richiami dei giocatori e dei tifosi. La seconda B e la terza C si stavano sfidando nella prima partita interclasse del torneo di pallamano.
Camilla non tifava, perché il risultato le era del tutto indifferente. Era il capitano della seconda A, e la sua squadra era in vantaggio di abbastanza punti sulle altre seconde, di non doversi preoccupare della partita in corso. E poi, aveva calcolato, tra i sette e gli otto anni non si cresce abbastanza per creare un vero dislivello tra giocatori di seconda e terza. Certo non ne poteva essere certa, ma Camilla era abbastanza sicura che la sua squadra avrebbe potuto battere facilmente almeno un paio di classi dei più grandi.
- Hai detto che mi mostravi una magia. - ripeté Diana, che invece tifava eccome, e cominciava a stufarsi di stare lontana dalla partita. Diana era in seconda B ma tifava per Pietro Cecchin, che stava in terza C. La cosa non le provocava il minimo conflitto interiore.
- Te la mostro. Però tu devi tenere il segreto.
- Ti ho già detto di sì.
- Giura.
- Ho già giurato.
- Giura sulla tua ombra.
- Ho già giurato due volte. Se non mi mostri niente torno a vedere la partita.
- Te lo mostro.
Camilla si sfilò l'anellino a forma di stella e se lo appoggiò nella mano aperta. Separato dal calore corporeo, il centro della stella si spense in un giallino neutro.
- Non è una magia. Si è solo raffreddato.
- Guarda - rispose Camilla - ora lo scaldo.
L'anellino rimase fermo e giallognolo nella mano di Camilla per qualche secondo. Poi il giallo cominciò lentamente a scurirsi, virando al verde degli occhi del gatto di Diana. Lei ebbe appena il tempo di pensare al suo gatto, che il verde era già diventato quello profondo e fresco del ghiacciolo alla menta, poi quello strano colore intermedio che si chiamava Blu di Prussia e tra i pennarelli era sempre il primo a finire o a essere rubato, e poi di nuovo il blu oltremare che - stando alle stupidaggini scritte sul foglietto che ti vendevano insieme agli anelli-termometro, indicava "buon umore". Poi il blu si fece più scuro, e cominciò a diventare viola.
Quando il viola stava ormai per diventare nero, il blu prese a ritirarsi, lasciandosi dietro un fucsia e poi un rosa sempre più chiaro. Ora il colore non cambiava più in modo uniforme, ma dal centro ai bordi, come se l'anello facesse fatica ad adattarsi al continuo mutamento.
- Se arriva al bianco - pensò Diana, che provava un fastidio quasi fisico - non tornerà mai più come prima.
- Lo rompi. - disse.
Camilla chiuse la mano e si cacciò l'anello nella tasca del vestitino a fiori.
- Te l'avevo detto che ti mostravo una magia.
Diana annuì. Non aveva una grande esperienza in fatto di magie, ma quella ne aveva tutta l'aria.
- Come hai fatto?
Camilla si strinse ancora nelle spalle. - Non lo so.
- Me lo insegni?
- Non sono capace.
- Chi te l'ha insegnato?
- Mio fratello.
- Dici che se vengo a casa tua lo dice anche a me come si fa?
- Non so. Non credo.
- Secondo me lo sai e non vuoi dirmelo.
- Non è vero!
- Allora dimmelo.
- Ti ho detto che non sono capace.
- Come ha fatto tuo fratello a insegnartelo?
- Non lo so.
- Sì, lo sai.
Camilla non rispose e si sedette per terra, nella polvere calpestata attorno ai giochi di ferro e legno. Diana stava per mettersi a piangere e lei non aveva intenzione di lasciarle la possibilità di farlo guardandola negli occhi.
- Lo sai, lo so che lo sai.
- Mi ha fatto una cosa.
- Lo sapevo! - esultò Diana, ricacciando il pianto in tasca.
- Non devi dirlo a nessuno.
- Cosa ti ha fatto?
- Una cosa segreta.
- Dimmela!
- Mi ha detto di no. E' segreta. Mi ha detto che non devo dirlo a nessuno.
- Io sono la tua migliore amica.
- Ha detto "soprattutto" alla mia migliore amica.
- E agli adulti?
- Anche "soprattutto" agli adulti.
- E allora a chi "non soprattutto"?
- Ha detto mio fratello, "a chi non rivedrai mai più e a chi sta per morire".
Diana provò per un attimo a immaginare di morire, e poi a immaginare di non vedere mai più Camilla. Aveva un'idea piuttosto vaga di entrambe le cose, e non le sembravano neanche troppo diverse tra loro.
Se fosse morta, rifletté, non avrebbe più visto Camilla. D'altra parte, vivere senza Camilla era un concetto molto astratto e non riusciva a farsene un'immagine chiara. Certo si ricordava di quando era all'asilo e Camilla non c'era, ma allora non l'aveva ancora conosciuta. Conoscerla e non vederla mai più era tutta un'altra storia.
- Non voglio nessuna delle due. - concluse ad alta voce. - Tieniti il tuo segreto.