Anonimo, Libro di Giobbe

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Perché dare la luce a un infelice
e la vita a chi ha l'amarezza nel cuore,
a quelli che aspettano la morte e non viene,
che la cercano più di un tesoro,
che godono alla vista di un tumulo,
gioiscono se possono trovare una tomba...
a un uomo, la cui via è nascosta
e che Dio da ogni parte ha sbarrato?
Così, al posto del cibo entra il mio gemito,
e i miei ruggiti sgorgano come acqua,
perché ciò che temo mi accade
e quel che mi spaventa mi raggiunge.
Non ho tranquillità, non ho requie,
non ho riposo e viene il tormento!

Così ragiona Giobbe, dilaniato nella carne dalla ferocia della lebbra, privato della moglie e dei figli, nonché di tutti gli averi.
Un uomo solo su un letto di letame, a chiedere il perché di tanto dolore.

Ed Elifaz di Teman (amico di Giobbe) risponde:

Chiama, dunque! Ti risponderà forse qualcuno?
E a chi fra i santi ti rivolgerai?
Poiché allo stolto dà morte lo sdegno
e la collera fa morire lo sciocco.
Io ho visto lo stolto metter radici,
ma imputridire la sua dimora all'istante.
I suoi figli sono lungi dal prosperare,
sono oppressi alla porta, senza difensore;
l'affamato ne divora la messe
e gente assetata ne succhia gli averi.
Non esce certo dalla polvere la sventura
né germoglia dalla terra il dolore,
ma è l'uomo che genera pene,
come le scintille volano in alto.
Io, invece, mi rivolgerei a Dio
e a Dio esporrei la mia causa:
a lui, che fa cose grandi e incomprensibili,
meraviglie senza numero,
che dà la pioggia alla terra
e manda le acque sulle campagne.
Colloca gli umili in alto
e gli afflitti solleva a prosperità;
rende vani i pensieri degli scaltri
e le loro mani non ne compiono i disegni;
coglie di sorpresa i saggi nella loro astuzia
e manda in rovina il consiglio degli scaltri.
Di giorno incappano nel buio
e brancolano in pieno sole come di notte,
mentre egli salva dalla loro spada l'oppresso,
e il meschino dalla mano del prepotente.
C'è speranza per il misero
e l'ingiustizia chiude la bocca.
Felice l'uomo, che è corretto da Dio:
perciò tu non sdegnare la correzione
dell'Onnipotente,
perché egli fa la piaga e la fascia,
ferisce e la sua mano risana.
Da sei tribolazioni ti libererà
e alla settima non ti toccherà il male;
nella carestia ti scamperà dalla morte
e in guerra dal colpo della spada;
sarai al riparo dal flagello della lingua,
né temerai quando giunge la rovina.
Della rovina e della fame ti riderai
né temerai le bestie selvatiche;
con le pietre del campo avrai un patto
e le bestie selvatiche saranno in pace con te.
Conoscerai la prosperità della tua tenda,
visiterai la tua proprietà e non sarai deluso.
Vedrai, numerosa, la prole,
i tuoi rampolli come l'erba dei prati.
Te ne andrai alla tomba in piena maturità,
come si ammucchia il grano a suo tempo.
Ecco, questo abbiamo osservato: è così.
Ascoltalo e sappilo per tuo bene.

Vacue parole proferisce Elifaz, foriere soltanto di rinnovata angoscia

Se ben si pesasse il mio cruccio
e sulla stessa bilancia si ponesse la mia sventura...
certo sarebbe più pesante della sabbia del mare!
Per questo temerarie sono state le mie parole,
perché le saette dell'Onnipotente mi stanno infitte,
sì che il mio spirito ne beve il veleno
e terrori immani mi si schierano contro!
Raglia forse il somaro con l'erba davanti
o muggisce il bue sopra il suo foraggio?
Si mangia forse un cibo insipido, senza sale?
O che gusto c'è nell'acqua di malva?
Ciò che io ricusavo di toccare
questo è il ributtante mio cibo!
Oh, mi accadesse quello che invoco,
e Dio mi concedesse quello che spero!
Volesse Dio schiacciarmi,
stendere la mano e sopprimermi!
Ciò sarebbe per me un qualche conforto
e gioirei, pur nell'angoscia senza pietà,
per non aver rinnegato i decreti del Santo.
Qual la mia forza, perché io possa durare,
o qual la mia fine, perché prolunghi la vita?
La mia forza è forza di macigni?
La mia carne è forse di bronzo?
Non v'è proprio aiuto per me?
Ogni soccorso mi è precluso?
A chi è sfinito è dovuta pietà dagli amici,
anche se ha abbandonato il timore di Dio.
I miei fratelli mi hanno deluso come un torrente,
sono dileguati come i torrenti delle valli,
i quali sono torbidi per lo sgelo,
si gonfiano allo sciogliersi della neve,
ma al tempo della siccità svaniscono
e all'arsura scompaiono dai loro letti.
Deviano dalle loro piste le carovane,
avanzano nel deserto e vi si perdono;
le carovane di Tema guardano là,
i viandanti di Saba sperano in essi:
ma rimangono delusi d'avere sperato,
giunti fin là, ne restano confusi.
Così ora voi siete per me:
vedete che faccio orrore e vi prende paura.
Vi ho detto forse: "Datemi qualcosa"
o "dei vostri beni fatemi un regalo"
o "liberatemi dalle mani di un nemico"
o "dalle mani dei violenti riscattatemi"?
Istruitemi e allora io tacerò,
fatemi conoscere in che cosa ho sbagliato.
Che hanno di offensivo le giuste parole?
Ma che cosa dimostra la prova che viene da voi?
Forse voi pensate a confutare parole,
e come sparsi al vento stimate i detti di un disperato!
Anche sull'orfano gettereste la sorte
e a un vostro amico scavereste la fossa.
Ma ora degnatevi di volgervi verso di me:
davanti a voi non mentirò.
Su, ricredetevi: non siate ingiusti!
Ricredetevi; la mia giustizia è ancora qui!

[Altrove]

Ma io non terrò chiusa la mia bocca,
parlerò nell'angoscia del mio spirito,
mi lamenterò nell'amarezza del mio cuore!
Son io forse il mare oppure un mostro marino,
perché tu mi metta accanto una guardia?
Quando io dico: "Il mio giaciglio mi darà sollievo,
il mio letto allevierà la mia sofferenza",
tu allora mi spaventi con sogni
e con fantasmi tu mi atterrisci.
Preferirei essere soffocato,
la morte piuttosto che questi miei dolori!
Io mi disfaccio, non vivrò più a lungo.
Lasciami, perché un soffio sono i miei giorni.
Che è quest'uomo che tu nei fai tanto conto
e a lui rivolgi la tua attenzione
e lo scruti ogni mattina
e ad ogni istante lo metti alla prova?
Fino a quando da me non toglierai lo sguardo
e non mi lascerai inghiottire la saliva?
Se ho peccato, che cosa ti ho fatto,
o custode dell'uomo?
Perché m'hai preso a bersaglio
e ti son diventato di peso?
Perché non cancelli il mio peccato
e non dimentichi la mia iniquità?
Ben presto giacerò nella polvere,
mi cercherai, ma più non sarò!
C'è forse iniquità sulla mia lingua
o il mio palato non distingue più le sventure?

[Ancora altrove]

L'uomo, nato di donna,
breve di giorni e sazio di inquietudine,
come un fiore spunta e avvizzisce,
fugge come l'ombra e mai si ferma.
Tu, sopra un tal essere tieni aperti i tuoi occhi
e lo chiami a giudizio presso di te?
Chi può trarre il puro dall'immondo? Nessuno.
Se i suoi giorni sono contati,
se il numero dei suoi mesi dipende da te,
se hai fissato un termine che non può oltrepassare,
distogli lo sguardo da lui e lascialo stare
finché abbia compiuto, come un salariato, la sua giornata!
Poiché anche per l'albero c'è speranza:
se viene tagliato, ancora ributta
e i suoi germogli non cessano di crescere;
se sotto terra invecchia la sua radice
e al suolo muore il suo tronco,
al sentore dell'acqua rigermoglia
e mette rami come nuova pianta.
L'uomo invece, se muore, giace inerte,
quando il mortale spira, dov'è?
Potranno sparire le acque del mare
e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi,
ma l'uomo che giace più non s'alzerà,
finché durano i cieli non si sveglierà,
né più si desterà dal suo sonno.
Oh, se tu volessi nascondermi nella tomba,
occultarmi, finché sarà passata la tua ira,
fissarmi un termine e poi ricordarti di me!
Se l'uomo che muore potesse rivivere,
aspetterei tutti i giorni della mia milizia
finché arrivi per me l'ora del cambio!
Mi chiameresti e io risponderei,
l'opera delle tue mani tu brameresti.
Mentre ora tu conti i miei passi
non spieresti più il mio peccato:
in un sacchetto, chiuso, sarebbe il mio misfatto
e tu cancelleresti la mia colpa.
Ohimè! come un monte finisce in una frana
e come una rupe si stacca dal suo posto,
e le acque consumano le pietre,
le alluvioni portano via il terreno:
così tu annienti la speranza dell'uomo.
Tu lo abbatti per sempre ed egli se ne va,
tu sfiguri il suo volto e lo scacci.
Siano pure onorati i suoi figli, non lo sa;
siano disprezzati, lo ignora!
Soltanto i suoi dolori egli sente
e piange sopra di sé.

Ed infine, a tanta disperazione, a quel misero supplicare una ragione in un bagno di tragicità, interviene Dio nella Sua onnipotenza.

Chi è costui che oscura il consiglio
con parole insipienti?
Cingiti i fianchi come un prode,
io t'interrogherò e tu mi istruirai.
Dov'eri tu quand'io ponevo le fondamenta della terra?
Dillo, se hai tanta intelligenza!
Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai,
o chi ha teso su di essa la misura?
Dove sono fissate le sue basi
o chi ha posto la sua pietra angolare,
mentre gioivano in coro le stelle del mattino
e plaudivano tutti i figli di Dio?
Chi ha chiuso tra due porte il mare,
quando erompeva uscendo dal seno materno,
quando lo circondavo di nubi per veste
e per fasce di caligine folta?
Poi gli ho fissato un limite
e gli ho messo chiavistello e porte
e ho detto: "Fin qui giungerai e non oltre
e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde".
Da quando vivi, hai mai comandato al mattino
e assegnato il posto all'aurora,
perché essa afferri i lembi della terra
e ne scuota i malvagi?
Si trasforma come creta da sigillo
e si colora come un vestito.
È sottratta ai malvagi la loro luce
ed è spezzato il braccio che si alza a colpire.
Sei mai giunto alle sorgenti del mare
e nel fondo dell'abisso hai tu passeggiato?
Ti sono state indicate le porte della morte
e hai visto le porte dell'ombra funerea?
Hai tu considerato le distese della terra?
Dillo, se sai tutto questo!
Per quale via si va dove abita la luce
e dove hanno dimora le tenebre
perché tu le conduca al loro dominio
o almeno tu sappia avviarle verso la loro casa?
Certo, tu lo sai, perché allora eri nato
e il numero dei tuoi giorni è assai grande!
Sei mai giunto ai serbatoi della neve,
hai mai visto i serbatoi della grandine,
che io riserbo per il tempo della sciagura,
per il giorno della guerra e della battaglia?
Per quali vie si espande la luce,
si diffonde il vento d'oriente sulla terra?
Chi ha scavato canali agli acquazzoni
e una strada alla nube tonante,
per far piovere sopra una terra senza uomini,
su un deserto dove non c'è nessuno,
per dissetare regioni desolate e squallide
e far germogliare erbe nella steppa?
Ha forse un padre la pioggia?
O chi mette al mondo le gocce della rugiada?
Dal seno di chi è uscito il ghiaccio
e la brina del cielo chi l'ha generata?
Come pietra le acque induriscono
e la faccia dell'abisso si raggela.
Puoi tu annodare i legami delle Plèiadi
o sciogliere i vincoli di Orione?
Fai tu spuntare a suo tempo la stella del mattino
o puoi guidare l'Orsa insieme con i suoi figli?
Conosci tu le leggi del cielo
o ne applichi le norme sulla terra?
Puoi tu alzare la voce fino alle nubi
e farti coprire da un rovescio di acqua?
Scagli tu i fulmini e partono
dicendoti: "Eccoci!"?
Chi ha elargito all'ibis la sapienza
o chi ha dato al gallo intelligenza?
Chi può con sapienza calcolare le nubi
e chi riversa gli otri del cielo,
quando si fonde la polvere in una massa
e le zolle si attaccano insieme?
Vai tu a caccia di preda per la leonessa
e sazi la fame dei leoncini,
quando sono accovacciati nelle tane
o stanno in agguato fra le macchie?
Chi prepara al corvo il suo pasto,
quando i suoi nati gridano verso Dio
e vagano qua e là per mancanza di cibo?
 

Dayan'el

Σκιᾶς ὄν&#945
Alcune specificazioni

I. Esistono traduzioni migliori della presente, tuttavia ho scelto questa per la facile reperibilità.
Il link è quello ufficiale della Chiesa.

II. Ho dovuto omettere la quasi interezza del Libro, postarlo tutto sarebbe stato un po' complicato;
mi si scusi la scelta del tutto soggettiva, mi auguro un esito comunque felice.

Per il resto, cosa dire?
Siamo in presenza di uno dei vertici più alti che la poesia umana abbia mai toccato.
Insieme a poche altre opere, orgoglio dell'intero orbe terracqueo.
 

Mizar

Alfaheimr
Buono per tutti coloro che considerano la Bibbia per un libriccino da fanatici.
Il libro di Giobbe è una pagina di letteratura universale come lo sono le tramature omeriche o gli endecasillabi danteschi.


Chiama, dunque! Ti risponderà forse qualcuno?

e qualche secolo dopo, in attica accadde che un uomo di nome Eschilo ponesse questo verso:

Zeus, quale che egli è mai,
se pur questo nome gli è gradito,
con questo l'invoco


secoli ancora dopo, Balzac scriveva La ricerca dell'assoluto, Browning e Kafka si perdevano, la musica non ritrovava centri tonali, Ives ci parlava di unanswered questions e, infine o meno, Mizar crede di aver scritto un post quantomeno non condivisibile o inutile.
 
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