Un ricordo di Bohumil Hrabal

Bohumil Hrabal (Brno, 28 marzo 1914 – Praga, 3 febbraio 1997) è stato uno scrittore ceco. Nel 1995 ha ricevuto il Premio Grinzane Cavour. Il regista Jiří Menzel ha tratto diversi film da romanzi e soggetti da Hrabal, tra cui Treni strettamente sorvegliati, vincitore dell’Oscar al miglior film straniero.

Sotto il regime comunista i suoi romanzi circolavano tramite canali clandestini. La diffusione era però tale da renderlo un maestro riconosciuto, con una crescente fama anche fuori dai confini della Cecoslovacchia.

"Sono un estimatore del sole nei ristoranti all’aperto, un bevitore della luna che si specchia nel selciato bagnato, cammino eretto e diritto, mentre mia moglie a casa, benché sobria, fa atti mancati e barcolla … …. la teoria del giunco e della quercia per me è forza motrice, sono un urlo umano atterrito, che si dissolve in un fiocco di neve, vado continuamente in fretta per poter sognare due o tre ore al giorno inattivamente attivo, perché so bene che la vita umana è breve e passa mentre si mescolano le carte, che forse sarebbe meglio se fossi lavato via dentro un fazzolettino, talvolta mi atteggio come se stessi fiutando un milione, anche se so bene che alla fine vincerò una merda che ride …… ……oggi è ieri e l’altro ieri è dopodomani, perciò sono un produttore di affrettati giudizi sintetici, assaggiatore e sommelier in uno spazio adulterato, scongiuro la realtà e lei non sempre mi dà un segno, sono un timido capriolo nella radura di un’aspettativa sfacciata, sono la solida campana dell’imbecillità incrinata dal fulmine della conoscenza, l’oggettività in me assurge alla soggettività estrema, che considero un’aggiunta alla natura e anche alle scienze sociali, sono un genio negativo, un bracconiere nelle riserve della lingua …. ……perciò sono un clown, un animatore, un narratore e un istitutore, proprio un grande detrattore e delatore di me stesso, redattore di lettere minatorie senza firma, considero le notizie prive di valore un possibile preambolo alla mia costituzione, che cambio di continuo, che non posso mai aver finito, nel progetto di un’ombra tracciata scorgo una costruzione gigantesca, anche se è una piccola tomba di bambino sprofondata da tempo, sono un signore incinto di giovinezza che invecchia già."

In questo testo tratto da "Manuale di un apprendista sbruffone" (1995, pp. 95-97) l’autore, con l’intenzione di raccontare di sé, tutto di un fiato, tracanna, come un boccale di birra, l’intera sua vita, senza lasciare al lettore la possibilità di una pausa. Il testo è libero e non deve fare i conti con alcuna conclusione. Il modello è genera metafore, il lavoro di scrittura privilegia, al di là di una logica lineare causa-effetto, proprio la costruzione di un senso che sta dentro alle parole e continuamente si trasforma attraverso lo scorrere delle associazioni, dell’autore come pure del lettore.

La parola che contiene emozioni dentro di sé si muove in uno spazio pericoloso. Come camminare è un cadere bene, alzare e appoggiare il piede in perenne disequilibrio, altrettanto parlare è il coraggio di passare da una parola all’altra, affrontando la sfida del vuoto (Gargani, L’organizzazione condivisa, 1994).

In questo brulichio di parole, salti e frammentazioni, il più eccessivo di tutti i pábitelè (neologismo introdotto “ufficialmente” nel 1964 nella lingua ceca, è stato tradotto, con ulteriore neologismo, con “stramparlone” o anche come buffone, spaccone. Indica, l’attitudine, tutta hrabaliana, a stramparlare) , si racconta attraverso un linguaggio che è possibile toccare, vedere.

Sembra di ascoltare la voce di un cantastorie d’altra epoca che pensa vedendo e narra illustrando. Il suo testo, sottomesso strumento dei sensi, produce una visione visionaria di corpi, volti e movimenti, affastella idee, imbroglia i tempi, raccoglie immagini e parole come un robivecchi per un fantastico mercato delle pulci dove quanto più una cosa è kitsch tanto più è affascinante.

Poiché “tutto dipende dall’elastico della prospettiva” (Hrabal, Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare, 1968, p. 132), il senso diventa un fatto interno, una ricerca possibile che passa attraverso il suono e la suggestione, un gesto e un colore, un’associazione contaminante. Se l’attenzione è per le lettere e mai per le parole, per le parole e mai per la frase, se la prima immagine aspetta la seconda per completarsi, il testo diventa quasi una faccenda semiclandestina, samizdat (negli anni del socialismo reale, in quella che era la Cecoslovacchia, la censura di un testo dava origine a una corrispondente edizione integrale semiclandestina, in samizdat. Il testo dattiloscritto veniva ricopiato a catena fin dove arrivava la domanda di lettura. Chi voleva possedere un libro, dopo averlo letto, doveva batterselo a macchina).

Come un fiume che scorre sotterraneo, che si modifica nel percorso, e proprio in questa modificazione trova la propria ragione di esistere e una particolare capacità evocativa, istituendo un patto speciale fra chi racconta e chi ascolta.

Bibliografia:

  • Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare,
    Vuol vedere Praga d'oro
    Treni strettamente sorvegliati
    Ho servito il re d'Inghilterra
    Una solitudine troppo rumorosa
    La tonsura
    Alcune parole
    L'uragano di novembre
    Bambino di Praga
    La cittadina dove il tempo si è fermato
    Le nozze in casa: romanzetto femminile
    La stradina perduta: versi 1937-1948
    Un tenero barbaro
    La tendenza alle sbornie e al comunismo ovvero paure totali
    Paure totali
    Dribbling stretti ovvero Nodi al fazzoletto: romanzo-intervista; domande e risposte annotate da Laszlo Szigeti
    Sanguinose ballate e miracolose leggende
    Opere scelte
 
Alto