Tito Livio

sergio Rufo

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Tito Livio - il cui cognomen è sconosciuto - (Patavium, 64 a.C. – 17) è stato uno storico romano, autore di una monumentale storia di Roma, gli Ab Urbe Condita libri CXLII, dalla sua fondazione (tradizionalmente datata 21 aprile 753 a.C.) fino al regno di Augusto.

Nato da una famiglia agiata, condizione che si può desumere dal fatto che si è dedicato tutta la vita all'attività letteraria senza dover ricorrere ad aiuti esterni, si trasferì a Roma a 24 anni. Livio mantenne sempre una certa patavinitas ("padovanità"), ossia un'impronta della città natale nella lingua e nello stile; anche se l'accusa potrebbe riferirsi al tradizionalismo e al moralismo provinciali presenti nelle sue opere. Tuttavia, si impose ben presto come uno dei più grandi storici del suo tempo.

Quando Augusto divenne princeps (27 a.C.), riuscì ad entrare in dimestichezza con questo, il quale, secondo Tacito[1], che a sua volta riporta un discorso dello storico Cremuzio Cordo, lo chiamava "pompeiano" per il suo filorepubblicanesimo; questo fatto non nocque comunque alla loro amicizia. Si dedicò quindi alla redazione dell'Ab Urbe Condita per celebrare Roma e il suo imperatore. Fu anche incaricato dell'educazione del futuro imperatore Claudio.

Ab Urbe Condita


Già il titolo dell'opera dà l'idea della grandezza dei propositi dello storico. Livio utilizzò uno stile che alternava la cronologia storica alla narrazione, spesso interrompendo il racconto per annunciare l'elezione di un nuovo console, dato che questo era il sistema utilizzato dai Romani per tener conto degli anni. Livio sostenne che la mancanza di dati e fonti certe precedenti al sacco di Roma da parte dei Galli, nel 390 a.C., rese il suo compito assai difficile, ma molti storici moderni ritengono che in quell'epoca non potessero esistere numerose cronache o documenti precedenti quella data, in questo caso, come per esempio il mito dell'ascensione al cielo di Romolo, Livio presenta sia la versione mitica, che una versione molto più pratica nel quale lo stesso Romolo sarebbe stato ucciso, senza privilegiare nessuna delle due versioni, ma lasciando alla discrezione del lettore la decisione su quale sia la più verosimile.

Livio scrisse larga parte della sua opera durante il dominio di Augusto, tuttavia la sua opera è stata spesso identificata con un attaccamento ai valori repubblicani, e il desiderio di una restaurazione della Repubblica. In ogni modo, non vi sono certezze riguardo ai suoi convincimenti politici, dato che i libri sulla fine della Repubblica e l'ascesa di Augusto sono andati perduti. Certamente Livio fu critico nei confronti di alcuni dei valori incarnati dal nuovo regime, ma è probabile che il suo punto di vista fosse più complesso di una mera contrapposizione 'repubblica/impero'. D'altro canto, Augusto non fu affatto disturbato dagli scritti di Livio, e anzi lo incaricò dell'educazione di suo nipote, il futuro imperatore Claudio. L'influenza di Tito Livio su Claudio fu evidente nel periodo finale del regno di quest'ultimo, quando l'oratoria dell'imperatore si rifece in maniera fedele alla storia di Roma raccontata dallo storico patavino.

Iniziata nel 27 a.C., Ab Urbe Condita si componeva di 142 libri divisi in decadi o gruppi di 10 libri. Ci sono pervenuti solamente 35 libri, cioè quelli dall'I al X e dal XXI al XLV. Gli altri sono conosciuti solo tramite frammenti e riassunti. I libri che si sono conservati descrivono la storia dei primi secoli di Roma dalla fondazione fino al 292 a.C., la seconda guerra punica la conquista della Gallia cisalpina, della Grecia, della Macedonia, di una parte dell'Asia Minore. L'ultimo avvenimento importante che si trova è relativo al trionfo di Lucio Emilio Paolo a Pidna. Uno scrivano a noi sconosciuto ha redatto delle Epitomi per tutti i libri. Queste Epitomi sono rimaste sino a noi e ci danno un'idea del piano dell'opera seguito da Tito Livio e dell'ordine nel quale raccontava gli avvenimenti. Nella prefazione, si dice "Quanto agli eventi relativi alla fondazione di Roma o anteriori, non cerco né di darli per veri o mentirli: il loro fascino è dovuto più all'immaginazione dei poeti che alla serietà dell'informazione".

Livio si mostra critico nei confronti dei costumi decadenti ed esalta al contrario i valori che hanno fatto la Roma eterna. Ma il suo talento non va ricercato nell'attendibilità scientifica del lavoro quanto nel suo valore letterario (il metodo con cui impiega le fonti è criticabile poiché non risale ai documenti originali, qualora ve ne siano, ma utilizza quasi esclusivamente fonti letterarie).

Nella Storia di Roma (libro 9, sezioni 17-19) di Livio si trova la prima ucronia conosciuta, quando lo storico immagina le sorti del mondo se Alessandro il Grande fosse partito per la conquista dell'occidente anziché dell'oriente.
 

sergio Rufo

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Cormac McCarthy

Lo conoscerete senz'altro tutti; forse e' uno dei migliori scrittori al mondo, oggi vivente.
Per quanto mi riguarda, giocando con questi stupidi parametri, io tolgo il forse , e con Saramago non vedo niente di meglio su questo pianeta. ( e' personale, ovvio)
Il grande scrittore americano, in un certo senso, e' unico: per tutti i profili che voi vorrete metterci.
Stile: impareggiabile
La scrittura dell'americano e' assolutamente perfetta: epica, poetica, magnificiente, corale, forte, dolce, cadenzata a ritmo vitale.
Offre un ampio respiro, per poi salire a vette serrate e fulminanti( dialoghi)e ridiscendere come un fiume in piena, ma piu' avvolgente, nella narrazione( il raccontato)
Ambientazioni: apocalittiche. Madre natura e' il Grande palcoscenico e la vita stessa assume il ruolo di protagonista.
In McCarthy tutto e' vita, anche le pietre del deserto ( un panteista)
Personaggi: indimenticabili.
Su tutti un Galton o un Giudice, uomini forti per un sentimento forte.
Trame: perfette
Contenuto e visione: beh, signori, il pensiero di McCarthy e' un pensiero duro, denso, temprato.
Madre natura e' padrona in assoluto; l'eterno conflitto tra condizione umana e condizione naturale , qui in queste pagine, ha un concerto melodioso.
Lontano da ogni moralismo di bassa lega; lontano da ogni etica pregiudiziale, o da ogni teoria ideale, il grande scrittore americano si assume un ruolo, se si vuole, politicamente scorretto, ma talmente onesto e talmente sincero da apparire come l'unica filosofia ( uomo) possibile nella sua autenticita'.
Il western di McCarthy e' simbolo di un palcoscenico che non solo e' il teatro del fine 800, ma bensi' e' lo sfondo di ogni epoca.
L'espansione ( confine), la violenza ( potenza) e l'affermazione ( al di la' del bene o del male) esistenziale come individuo, sono i valori esistenzialmente atavici dell'uomo.
Meridiano di sangue, lo considero, uno dei massimi libri di tutto il secolo.
Per chi ancora non lo conoscesse, buona lettura davvero.
 
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