Steinbeck, John - Al Dio sconosciuto

SALLY

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"Io non ho né fortuna né sfortuna.Non ho cognizione di bene e di male.Mi è negato anche il vero senso che c'è tra piacere e dolore.Tutte le cose sono una,e tutte sono parte di me."Così pensa Joseph Wayne,il gigantesco contadino che ad un nume ignoto ha dedicato tutto se stesso e la sua fatica,ribellandosi alla realtà indeclinabile delle cose,alla catastrofe che colpisce la sua terra.L'esistenza di questo singolare personaggio è costellata di episodi misteriosi,che a poco a poco lo indurranno a identificarsi coi campi e col cielo,in uno slancio panteistico destinato a sfociare nella tragedia.Questo romanzo di Steinbeck,dedicato alle migrazioni dei pionieri,ci fa conoscere una dimensione inesplorata della storia americana;la sacralità primordiale,che fù causa e conseguenza insieme dei sacrifici di più generazioni,decise a riscattare una terra smisurata,e spesso crudele.


Steinbeck,come in altri suoi romanzi,narra della vita contadina nella campagna californiana,narra di un contadino trasferitosi all'ovest in cerca di terra,ma un contadino che "sente" la terra come parte di se,quasi a sua insaputa onora riti pagani della fertilità,non sà cosa stà facendo,ma lo intuisce.
La storia ha un senso di sventura che si trascina dall'inizio alla fine,anche quando tutto và per il meglio,si sente una spada di Damocle sul capo.Bel romanzo,aspro ma scorrevole,descrive minuziosamente i tramonti,la flora,i rigagnoli,la siccità...se si chiudono gli occhi si è lì.
 
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alessandra

Lunatic Mod
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Joseph Wayne possiede una sensibilità che va oltre il naturale sentire umano: egli incarna le sensazioni della terra stessa, e la sua anima è pervasa di spiritualità. Terra e spiritualità, le vere due protagoniste di questo libro, dove l'una si fonde e confonde con l'altra.
Per Joseph, un albero non è un albero, una roccia non è una roccia, tutto vive di vita propria e porta con sé le sorti dei vivi e le voci dei defunti. Lui riesce a "sentire" tutto ciò. A dire il vero, tutti i personaggi possiedono un'aura speciale, come se recassero dentro di sé le sorti del mondo; così è Rama, la moglie del fratello di Joseph, così è Elisabeth, la moglie, che pure proviene da ben altri lidi.
Devo ammettere che a tratti ho trovato eccessive le descrizioni, seppur poetiche e spettacolari, degli elementi naturali; non siamo ai livelli di Furore, almeno secondo il mio gusto, ma si tratta di un bellissimo romanzo, scritto in modo raffinato, un libro che scava nel profondo, al di là dei fatti percepibili dall'uomo e che, come ha già scritto Sally, si porta dietro un costante senso di tragedia e ineluttabilità.
 

Kasparlo

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Ho Furore di Steinbeck. Avevo iniziato e mia aveva molto convinto il lingiuaggio e la descrizione dei paesaggi, poi mi sembrava tutta una vicenda di contadini e l'ho lasciato perdere... però lo riprendo
 

Grantenca

Well-known member
Altro bel romanzo di Steinbeck. E’ la storia di un colono a cui viene assegnata una terra incolta in California. E’ un pioniere, un uomo per cui la terra, sorgente di vita, è qualcosa di più di un mezzo di sopravvivenza, ma qualcosa che ha dentro di sé, un tutt’uno con la sua persona, qualcosa da onorare e adorare in modo assoluto, quasi, si potrebbe dire, una religione. E’ un uomo carismatico Joseph, ed è naturale per gli altri membri della famiglia che lui richiama con sé, riconoscergli l’autorità indiscusso di “capo” della famiglia patriarcale. A dirigere la vita familiare, al di là della coltivazione delle terre e dell’allevamento del bestiame riservate agli uomini, è comunque Rama, la moglie di un suo fratello, una grande madre, una donna che tutto sa sui misteri della vita, una figura simile alla grande madre di “furore”. Probabilmente l’autore, in queste gigantesche figure femminili vuole esprimere la convinzione che nessuno può conoscere la vita meglio di chi la crea, cioè la donna. E quando arrivano le disgrazie, che sembrano latenti fin dalle prime pagine del libro, è soprattutto questa donna, in particolare subito dopo la morte, accidentale, della giovane moglie del protagonista, a prendere le decisioni, qualcuna veramente sorprendente, ma di alta umanità e conoscenza della vita, necessarie ad evitare il naufragio della comunità. Viene poi la siccità e la conseguente carestia, e tutti devono spostarsi per evitare la catastrofe completa, Non se ne va Joseph, convinto che la sua presenza e il suo sacrificio, fino anche alle estreme conseguenze, come una specie di rito pagano, possa fa ritornare la terra alla vita e fertilità.
 
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elisa

Motherator
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Romanzo scritto nel 1933 che diventa attuale oggi perché parla della spiritualità dell'uomo "nuovo", quello che esce dalle certezze ed entra nell'epoca buia degli dei morti e delle guerre devastanti, della distruzione dell'ambiente e della fine delle risorse. Cosa resta all'uomo se non la terra, ma non il suo possesso bensì il rispetto e l'amore per essa, sentirsi tutt'uno con con la natura ed arrivare ad immolarsi per essa come Cristo fece per gli uomini. Da leggere.
 

ayuthaya

Moderator
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Mi aspettavo molto da questo libro e non sono rimasta delusa: Steinbeck ha un dono, quello di arrivare dritto al cuore di chi legge attraverso personaggi che hanno in sé qualcosa di epico. Ce lo aspetteremmo in un’opera poderosa come Furore, un po’ meno forse in romanzi brevi come questo, ed è proprio tale capacità di tratteggiare figure comunque eroiche a rendere secondo me questo autore così grande.
Al Dio sconosciuto è un romanzo complesso, molto più di quanto non possa sembrare. É vero che al centro vi è il recupero di un rapporto fisico fra l’uomo e la terra, ma la tanto decantata “visione panteistica” non esaurisce affatto gli spunti, gli interrogativi, le problematiche del libro. E la ragione è che Joseph Wayne non è un personaggio qualunque, non è solo un colono che riscopre la sua appartenenza alla terra (sebbene vi sia anche questa dimensione), ma fin dalle prime pagine rivela la sua natura di “uomo benedetto”, se non addirittura di “semi-dio”.
Se devo essere sincera, nella prima parte del romanzo, leggendo della benedizione che riceve Joseph da suo padre e poi della sua naturale vocazione per la fecondità – più che personale direi proprio tribale, ovvero rivolta a tutto ciò che appartiene al suo clan, bestiame compreso – non ho potuto non pensare ai grandi patriarchi dell’Antico Testamento, in special modo Giacobbe, la cui ricchezza accumulata era insieme segno della benevolenza divina e della sua “obbedienza”. Il monito “andate e moltiplicatevi” è giusto perché rispecchia la natura; in questo senso credo che la fede dei patriarchi fosse molto legata a riti ancestrali che solo successivamente sono andati definendosi come “pagani”.
Forte di questa impressione, ho poi letto il discorso carico di premonizioni di Rama, la quale, in pagine che mettono i brividi, è la prima a rivelare chiaramente la vera natura di Joseph: egli non appartiene a questo mondo, ma è un profeta, un tramite fra l’umanità e il “Dio sconosciuto” a cui sente di dover rendere conto per il bene di questa stessa umanità. Insomma... una sorta di secondo Cristo che porta su di sè le colpe di tutti e le riscatta con la propria vita. Il cammino di consapevolezza di Joseph è tutt’altro che semplice: egli “sente” più che comprendere con la ragione, e infatti la presa di coscienza del proprio destino procede per rivelazioni successive e spesso dolorose.
Ho paura che continuando a scrivere finirei per confondermi, quando invece la bellezza di questo romanzo è proprio nell’apparente semplicità con cui ci avvicina a misteri profondi e insondabili. Mi è piaciuto molto il rapporto fra questa religione insieme nuova e arcana con quella cristiana, che ci viene presentata sotto aspetti diversi: il bigottismo di Burton, la “freddezza” dei riti cattolici, la tolleranza di Padre Angelo. Ad ogni modo, visto anche il richiamo frequente alla figura di Cristo, non credo che alla fine l’intento dell’autore fosse quello di denigrare la fede cristiana in favore di un ritrovato panteismo, quanto piuttosto quello di riaprire uno squarcio di consapevolezza verso verità imperscrutabili e dimenticate.
 
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c0c0timb0

Pensatore silenzioso 😂
Mi aspettavo molto da questo libro e non sono rimasta delusa: Steinbeck ha un dono, quello di arrivare dritto al cuore di chi legge attraverso personaggi che hanno in sé qualcosa di epico. Ce lo aspetteremmo in un’opera poderosa come Furore, un po’ meno forse in romanzi brevi come questo, ed è proprio tale capacità di tratteggiare figure comunque eroiche a rendere secondo me questo autore così grande.
Al Dio sconosciuto è un romanzo complesso, molto più di quanto non possa sembrare. É vero che al centro vi è il recupero di un rapporto fisico fra l’uomo e la terra, ma la tanto decantata “visione panteistica” non esaurisce affatto gli spunti, gli interrogativi, le problematiche del libro. E la ragione è che Joseph Wayne non è un personaggio qualunque, non è solo un colono che riscopre la sua appartenenza alla terra (sebbene vi sia anche questa dimensione), ma fin dalle prime pagine rivela la sua natura di “uomo benedetto”, se non addirittura di “semi-dio”.
Se devo essere sincera, nella prima parte del romanzo, leggendo della benedizione che riceve Joseph da suo padre e poi della sua naturale vocazione per la fecondità – più che personale direi proprio tribale, ovvero rivolta a tutto ciò che appartiene al suo clan, bestiame compreso – non ho potuto non pensare ai grandi patriarchi dell’Antico Testamento, in special modo Giacobbe, la cui ricchezza accumulata era insieme segno della benevolenza divina e della sua “obbedienza”. Il monito “andate e moltiplicatevi” è giusto perché rispecchia la natura; in questo senso credo che la fede dei patriarchi fosse molto legata a riti ancestrali che solo successivamente sono andati definendosi come “pagani”.
Forte di questa impressione, ho poi letto il discorso carico di premonizioni di Rama, la quale, in pagine che mettono i brividi, è la prima a rivelare chiaramente la vera natura di Joseph: egli non appartiene a questo mondo, ma è un profeta, un tramite fra l’umanità e il “Dio sconosciuto” a cui sente di dover rendere conto per il bene di questa stessa umanità. Insomma... una sorta di secondo Cristo che porta su di sè le colpe di tutti e le riscatta con la propria vita. Il cammino di consapevolezza di Joseph è tutt’altro che semplice: egli “sente” più che comprendere con la ragione, e infatti la presa di coscienza del proprio destino procede per rivelazioni successive e spesso dolorose.
Ho paura che continuando a scrivere finirei per confondermi, quando invece la bellezza di questo romanzo è proprio nell’apparente semplicità con cui ci avvicina a misteri profondi e insondabili. Mi è piaciuto molto il rapporto fra questa religione insieme nuova e arcana con quella cristiana, che ci viene presentata sotto aspetti diversi: il bigottismo di Burton, la “freddezza” dei riti cattolici, la tolleranza di Padre Angelo. Ad ogni modo, visto anche il richiamo frequente alla figura di Cristo, non credo che alla fine l’intento dell’autore fosse quello di denigrare la fede cristiana in favore di un ritrovato panteismo, quanto piuttosto quello di riaprire uno squarcio di consapevolezza verso verità imperscrutabili e dimenticate.
Che dire? Aspettavo la tua di questo piccolo capolavoro! Come ho già scritto più volte "Al Dio sconosciuto" è uno dei miei romanzi preferiti. Quando provo a stilare una classifica è sempre nei primi tre. Non riesco a lasciarlo fuori :boh:.
Bellissima recensione (ecco di cosa parlavo in occasione di Mo Yan e "Le Rane") che fino alla fine non ho capito fino a quando non ho riletto la prima riga: avevo mancato il non prima di sono rimasta delusa :mrgreen:. Come è possibile che non ci sia una critica se è rimasta delusa? Mi sono detto. Poi ho letto il non. :mrgreen:

PS: quando torno a casa vi riporto la frase che mi ha fatto rabbrividire. La voglio trascrivere tale e quale come l'ha scritta Steinbeck. La pronuncia (o pensa, non ricordo) Padre Angelo quasi alla fine. Qualcuno forse la indovina se riflette dopo aver letto questa rece. :-D:-D:-D
 

michelesio

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che nostalgia!!!! dovrò rileggerlo! l'ho letto almeno quarant'anni fa!!!!
 

malafi

Well-known member
Un libro bellissimo che mi ha rapito, forse ancor più dello stesso Furore.

E’ un po’ che penso all’aggettivo giusto per definire la prosa di Steinbeck in questo romanzo, ma non ne trovo uno adatto. Tutti quelli che mi vengono in mente sono riduttivi.
E’ di grande efficacia, ma non solo. Ti entra dritto nel cuore: è come se parlasse ad una parte di te che non può non stare ad ascoltare. E’ una prosa misurata, ma intensa e magnetica. Ecco, forse magnetica è l’aggettivo che prima non mi veniva.

Joseph ha un rapporto con la natura molto particolare e privilegiato,quasi sovrannaturale, ma Steinbeck ce lo sa descrivere alla perfezione. Ho trovato il cap.2 (quello nel quale Joseph si avvicina e per la prima volta prende conoscenza delle sue terre) una delle più belle ed intense pagine di letteratura mai lette.

Ed alcuni personaggi sono indimenticabili.

Forse il forte apprezzamento che ho avuto per questo romanzo deriva dal fatto che anch’io ho un rapporto quasi viscerale con la natura e tra l’altro ho vissuto in prima persona il lavoro nei campi, ma mi pare che questo romanzo possa valere in assoluto un 5/5.
 
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