Pamela Hute - Turtle tales from overseas (2009)

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Pamela Hute fu una delle prime band con cui intrecciammo rapporti su myspace. Loro ci comunicarono stima, noi vedemmo in loro intenti musicali comuni. Davvero, se fossero più vicini, i Dirtyfake e Pamela Hute si farebbero delle birre assieme (o magari una bottiglia di Scotch Whisky, infatti Pamela, nonostante la sua vita parigina, dovrebbe essere nata da quelle parti). Appassionati della vecchia scena brit-pop, pregni dei novanta e contaminati dai primissimi Placebo, dopo aver rilasciato due EP (V.1.1 nel 2006, seguita do 03 nei primi mesi del 2008), Pamela Hute nel 2009 prende il via con il full-lenght Turtle tales from overseas. Ricordo con entusiasmo quando mi inviò le tracce per l'ascolto, riuscì a darmi la sensazione della vicinanza, come se un musicista che conoscevo da tempo fosse passato a portarmi il suo nuovo lavoro, in procinto di uscire, una cosa che non dimenticherò e che raramente mi è capitato con myspace. L'album viene descritto dalla loro biografia in questo modo “Turtle tales from overseas” è il risultato del lavoro di un intero anno, centrato sull’inusuale allineamento di chiatarra-batteria-tastiere. Durante la registrazione, in una dimora isolata e persa nelle nebbie, la band ha finito per assorbire le peculiari caratteristiche della zona. Nell'intro Friend è proprio una quiete ariosa e sospesa a farci scendere nell'album che praticamente comincia con You call me dear dove la voce di Pamela si fa immediatamente drammatica, chiusa in plettrate decise ed abili di chitarra che ci trascinano nei cupi arrangiamenti sul finale, ad attenderci: echi di Radiohead e dei troppo spesso dimenticati Furslide di Jennifer Turner. In Tie si comincia a sentire la grande influenza di Molko per il trio, specie nell'utilizzo della chitarra (Slave to the wage) ma la melodia non risulta stucchevole e questa voce è capace di ricordarci le cose migliori del rock femminile, come un riassunto del pop anni novanta e la modernità probabilmente la fa Igor con il suo "Fingergaze", tappeti che si incastrano nella ritmica quadrata di Ernest Lo. In Umbrella trovo nel giro degli accordi quasi uno spunto "Nirvanesco" (nel brano che dal novanuno in poi tutte le band vorrebbero omaggiare!) ma questo rock non è mai grunge, si percepisce la raffinatezza europea nella ricerca dei suoni, delusi dalle sonorità eccessivamente levigate, morbide e perfettamente bilanciate dell’attuale panorama musicale così come dalla scadente qualità delle produzioni fatte in casa, Pamela Hute con zelo e passione sono riusciti a raggiungere una elegante pace, mantenendo una spiccata attenzione per le rime, le sonorità, senza dimenticare di mirare al cuore delle cose. Ad ogni modo la leader ha molte facce, in Don't help me sfoggia una ricchezza vocale che può rievocare la Gwen Stefani dei tempi d'oro. In You made me lady non si concedono a barocchismi inutili, chiudendo il brano con un taglio sprezzante. Poi arriva The story ends che apre come una oscura ballata, una marcia storta che si protrae fino ad un'uscita sorprendentemente contenuta e mai scontata nella scelta degli accordi. Questo è il brano più Placebo dell'album, anche nella scelta dell'arrangiamento complessivo. In Look at yourself il trio scomoda il malinconico fantasma di Buckley figlio, nell'impostazione del canto e della chitarra, che chiude con strane distorsioni. La traccia nove è Hysterical. Questa è Pamela al 100% nella sua poetica Synthpop o Wonky pop dove la grafica della vecchia tecnologia è parte integrante della produzione musicale. Gli Air (Moon Safari?) cantati da PJ Harvey, una maniera di arrangiare i suoni piuttosto francese il rock isterico che si apre nella stanza indolente! Anche My Dear è uno dei cavalli di battaglia del trio, finalmente un pò di saggia potenza, il miglior female rock del decennio passato. Parte la dodici Pink Safari, in assoluto la mia preferita. Ballata completa che non può uscire dalla testa. Anche qui ci sono lontani sentori del lavoro di Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel, specie in apertura per poi finire nella melancolia (badate, non malinconia) dei Pink Floyd, forse High Hopes. Probabilmente neppure servivano le doppie voci, Pamela poteva sostenere il brano con le sue capacità. Si chiude con Long Time che ritmicamente è come se qualcuno battesse sulla lamiera di un capanno. E' il brano con la sezione più dark, quasi una minaccia, un lavoro che aprirà molte porte...

(da dirtyfake.splinder.com)

Style: Indie
Date: 2010
Tracks: 12
Time: 35 min
Size: 44.65 mb


Tracklist:

01 Hysterical 2:35
02 My Dear 2:23
03 Don'T Help Me 3:45
04 Chocolate Soup 2:11
05 Parachute 2:04
06 You Call Me Dear 3:44
07 You Made Me Lady 2:54
08 Tell Me More 2:46
09 Umbrella 2:32
10 Friend 3:01
11 Taste It 3:36
12 Pink Safari 3:59


Mi piace molto ^__^ ascoltatela!
 
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