McCarthy, Cormac - Suttree

Wilkinson

Member
Ho iniziato a leggere questo libro forse con troppe aspettative e in qualche modo ne sono stato un po' deluso.
Vi si narra la storia di Suttree, personaggio che in qualche modo esce dalla società per viverne ai margini.
L'autore è ellittico sui motivi e si concentra sulla narrazione delle vicende del suo protagonista. Lunghe, lunghe descrizioni, avvenimenti che scorrono pigramente, una serie di diapositive di disagio, incomunicabilità, disperazione. In qualche modo mi ha ricordato i film di Antonioni, cosi come certe narrazioni di Steinbeck e Jack Kerouac. Di Faulkner direi si ritrova solo in parte l'ambientazione.
Un libro sulla solitudine autoimposta ma forse inevitabile. Le relazioni tra i persoggi non riescono quasi mai a superare lo scoglio della incomunicabilità e anche quando paiono riuscirvi si avviano a un finale pessimistico. 560 pagine mi sono sembrate troppe anche per le intenzioni dell'autore.
 

MadLuke

New member
A un primo colpo d'occhio, in quest'opera di McCarthy mi colpisce la comunione d'intenti con "Revolutionary Road" di Yates, nel gettare la maschera dietro la quale si nascondono le ipocrisie del sogno americano. Ma lo fa con modi completamente differenti, andando a guardare da vicino la vita di un uomo, Suttree, che ha gettato al vento la sua vita di banalità borghesi, per immergersi nei colori della vita vera, che scorre lungo il grande fiume.
L'autore, come da suo inconfondibile stile, non lascia assolutamente nulla all'immaginazione nel descrivere lo schifo, il degrado e le bassezze dei suoi personaggi, e lo fa con una prosa di un'intensità tale da sfiorare la lirica. Eppure tutti quei frammenti di vita, sbattuti in faccia al lettore per mezzo di "soavi metafore", riescono al contempo a rendere l'idea, che nonostante tutto, qualcosa si muova, anche quando la speranza sembra definitivamente persa, c'è un qualcosa che si compie giorno dopo giorno, come il fiume che placido non smette mai di scorrere, anche a dispetto di chi caparbiamente vuole rinunciare a sperare, a credere.
Così anche nella malinconia, nella tremenda amarezza che contraddistingue in varia misura la vita di ognuno dei personaggi, si può scorgere una sorte di balsamo, miele che lenisce le ferite della vita. Nella vita stessa, che nonostante tutto continua, io vedo il segno di una misericordia e di un'assoluzione di "dostoevskijana memoria", più grande di tutte le umane debolezze.
Rimane un po' di rammarico per la conclusione un poco frettolosa, che lascia poco spazio alle considerazioni finali del protagonista. E per i dialoghi, la cui crudezza e intensità, trovo a volte vadano a scapito della comprensibilità.
 
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