La prima necessità dell' uomo è il superfluo.
Ricordiamo un uomo di molti anni fa condannare dalle colonne dei suoi articoli le colpe dei padri, il delitto di non ammettere al mondo altra storia che non sia quella della borghesia, la viltà insita nel sostenere con forza che la povertà sia il peggiore dei mali possibili. Ricordiamo fascismi invitti nei movimenti silenziosi di omologazione, di mescenza ibrida di identità perdute nella loro autentica definizione. Ma utilizzare termini come autentico ed inautentico è pericoloso, richiama all'attenzione un tipo di esistenza del tutto vana, sciocca, insipida, spesa in tutta la sua estensione al procacciamento del superfluo. Di cosa staremmo discorrendo, infatti, se non che
si compra,
si vuole secondo dettami impersonali, frivoli? Smarrisco il soggetto che io stesso sono e lo affido ad un amalgama superficiale, il quale sarà ben felice di proiettare la mia felicità tra le cose del mondo, ma non tra enti a caso: tra ciò che posso consumare. Ed accade che gli dèi crescono sui banconi dei centri commerciali, che la felicità sia riposta in nient'altro che un acquisto. Compra, e la tua vita avrà un senso; almeno fino alla prossima spesa.
Se, come nota la mia squisitissima, in passato un atteggiamento era sintomatico di appartenenza, di qualche cosa di rinviante ad altro, oggi siamo circondati da uomini e donne smarriti da se stessi, privi di un centro e di una esistenza autentica: il loro accanito rincorrere il superfluo non è più un rituale di adesione ad uno status, è invece una misera rassicurazione, una ostentazione vuota e fine a se stessa di vanità. Non v'è niente al di là della pelliccia di ermellino, solo frammenti di uomo moderno sparsi chissà dove.