Coetzee, J.M. - L'Età di Ferro

Wilkinson

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Se questo libro mi ha colpito meno è forse per la sua immediatezza. Certo l'essere stato scritto nel periodo peggiore dell'apartheid ne fa uno sfogo, un tentativo di ribellione allo stato delle cose.

L' Età di Ferro prende la forma di un memoriale scritto dalla protagonista, l'insegnante in pensione Elizabeth Curren, per la figlia, lontana. È una lettera di confessione, per un crimine senza nome, al quale non riesce a trovare un nome.

La protagonista si trova coinvolta in eventi storici violenti, destabilizzanti, davanti ai quali non riesce a reagire, né a capire come dovrebbe comportarsi. È il Sudafrica divorato dall'apartheid la causa dell'incapacità di vivere, di raccontare, di trovare le parole esatte per descrivere l'odio e la violenza nei quali si è immersi.

Sia la protagonista che ha un cancro sia il sudafrica sono ammalati sembra dirci Coetzee e non ci pare essere rimedio.
Le sue confessioni saranno la sua eredità morale, per la figlia, l'unica cosa che pare utile fare, testimoniare. Infatti la ribellione finisce con la violenza. Il messaggero di questa epistola sarà, forse, il signor Vercueil, un barbone, compagno degli ultimi giorni della signora Curren. Figura enigmatica e ambigua, non svelerà mai il suo ruolo, in quel tempo, in quei momenti, né il suo compito.

Come detto un romanzo in presa diretta su una situazione allora così insostenibile. Un grido di disperazione, ma che comunque ci rende due protagonisti ( una donna morente e un barbone) che difficilmete si dimenticano.
 

lettore marcovaldo

Well-known member
La signora Elizabeth Curren, protagonista del romanzo, si trova a dover affrontare una malattia che sembra dare poche speranze, le tensioni razziali del Sudafrica degli anni 80,
che coinvolgono il figlio della sua donna delle pulizie, un barbone, ospite inatteso e misterioso e infine le ansie e le amarezze per una figlia lontana.
Nel complesso tutti questi aspetti sembrano reggersi nella storia, ma in molti passaggi, la narrazione mi sembra farsi improbabile e in qualche caso anche vagamente tediosa.
Ci sono molti spunti che potrebbero essere interessanti ma alla fine questo libro non mi ha convinto.
 

bouvard

Well-known member
Non conoscevo Coetzee e penso di aver scelto il libro sbagliato per conoscerlo. Una donna anziana combatte contro un cancro che la divora internamente, mentre anche la sua Patria - il Sudafrica- combatte contro il suo cancro: l'apartheid. Un cancro interno ed uno esterno. L'idea era molto bella e mi aveva colpito, ma nella stesura qualcosa non ha funzionato bene, perché alla fine è venuto fuori un libro poco convincente, monotono in alcuni punti e poco coinvolgente nonostante l'argomento.
Il libro è una lunga lettera scritta dalla signora alla sua unica figlia che ha preferito non vivere in Sudafrica non condividendone le idee, la politica. A dire il vero più che una lettera sembra un diario in cui la donna riporta le sue giornate, i suoi incontri, i suoi pensieri. E se devo essere sincera io questa donna non l’ho capita. Non ho capito quale è la sua posizione rispetto all’apartheid e ai cambiamenti sociali in atto. Parla spesso di vergogna (penso sia una delle parole più usate nel libro), del peso di certe responsabilità, ma poi esorta la gente di colore ad avere pazienza, a non precipitare la situazione, ad aspettare. Aspettare cosa? D’accordo la violenza non è mai la risposta giusta ad un problema, ma a volte è l’UNICA risposta possibile. A volte è l’unico modo per far valere i propri diritti, addirittura per far sapere di esistere. I bianchi del Sudafrica che la gente di colore esistesse lo sapevano benissimo, e di riconoscere i loro diritti ne avevano avuto tutto il tempo. Quindi aspettare per cosa?
Ho trovato il libro monotono su alcuni concetti, a volte forse anche un po’ noioso, poco credibile su altri. Di sicuro non è un libro da Nobel, perciò per curiosità in futuro leggerò altro di questo autore, sperando di fare una scelta più oculata.
 
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