Tolstoj, Lev - La morte di Ivan Il'ic

El_tipo

Surrealistic member
Ho letto questo romanzo breve su consiglio implicito di domenico starnone, che lo cita più volte nel suo "spavento". In effetti si tratta di libro molto conosciuto, che affronta il tema della morte in maniera lenta e inesorabile, lasciando al lettore una serie di spunti di riflessione. Nonostante sia scritto molto bene, a me Tolstoj piace tantissimo, devo dire che non è quello che mi aspettavo, e che non mi ha cambiato la vita!
 

Biancaneve

New member
Questo romanzo è un piccolo capolavoro di Tolstoj che ci fa riflettere molto su come la morte interroghi la vita. Ivan Il'ic a causa di un male incurabile è costretto a fermarsi, il male fisico pervade tutto il suo essere e lo porta ad una metamorfosi. Si interroga sulla sua vita, inautentica e piena di ipocrisie; la sofferenza fisica e psicologica non lo abbandona mai e solo alla fine riesce a trovare un senso ai suoi giorni, la pace con gli altri e il mondo intero.
 

El_tipo

Surrealistic member
...Si interroga sulla sua vita, inautentica e piena di ipocrisie; la sofferenza fisica e psicologica non lo abbandona mai e solo alla fine riesce a trovare un senso ai suoi giorni, la pace con gli altri e il mondo intero.

si però sai, conoscendo lo scrittore, mi aspettavo molto di più, tutto sommato è un raccontino
 

sergio Rufo

New member
Il regno dei poveri di spirito

La morte di Ivan Il'ic e' un Tolstoj avulso.
Un gioiello.
Rimane un libro Tolstojano nel piu' profondo senso della parola, pero'. Il confine vita e morte e' intersecato dal concetto principe in Tolstoj: la redenzione cristiana.
Il nostro Ivan che muore trova senza senso la sua propria morte: se lui ha vissuto una vita integerrima , onesta, leale - giusta in una parola - per quale motivo deve morire?
In fondo, in ultima analisi, e' questo il pensiero sottinteso nel protagonista.
Ed in questo pensiero si cela, ma nemmeno troppo, il baratro degenerativo di Tolstoj: una visione della vita tipicamente cristiana nella quale ogni nostra azione e' giudicata dalla nostra coscienza. Una coscienza prettamente morale e spirituale spingera' il nostro Ivan a ri-considerare la propria vita: e se cosi' non fosse stata? e se non fosse stata giusta come lui l'aveva intesa?
Incomincia in questo modo la conversione cristiana. La trasvalutazione dei propri valori assume il siginificato di "colpa " : Ivan si sente in colpa di avere - a suo modo di vedere - confuso il senso della vita con altro e peggio ancora prende ad odiare tutto cio' che e' lontano dalla morte, ovvero la vita.
L'astio contro i propri familiari, ad esempio, che altro e', se non una profonda auto-compassione? quella compassione che trovera' nel suo servo - per una vita ( la sua) che si spegne ma che vuole urgentemente trovare una compensazione . Ecco la parola cristiana piu' subdola: COMPENSAZIONE come un "perche'" alla propria morte.

E' un grande libro, questo Apart, ma dalla cui grandezza si prendono immediatamente le distanze riflessive: il mondo cristiano, il mondo lineare, il mondo del tempo infinito ad oltranza, e' il mondo falso, capovolto, stravolto nella sua bellissima essenza che e' ben altra.
Del mondo falso ne hanno fatto una favola compensatrice nella quale
il regno dei cieli e' il regno dei " poveri" di spirito, quello spirito che viene a mancare nel momento che il carattere s'infiacchisce. E si sa bene: si incomincia ad elemosinare ( luce) laddove viene meno la forza.
Tolstoj lo sapeva benissimo. Era un cristiano.
 

Dallolio

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Stupendo questo romanzo breve di Tolstoi; è un maestro nel delineare la tranquilla vita quotidiana di un uomo che si adegua e si inserisce perfettamente in un mondo ordinario e conformista; su tutto ciò irromperà la morte, come minaccia improvvisa, che svela che il mondo in cui ognuno di noi è inserito è solo una recita, ed è temporaneo. Non ho mai letto un testo che così profondamente affrontasse il terrore della finitezza e della presa di coscienza che prima o poi tutti devono svolgere.
 

MadLuke

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Dal punto di vista strettamente letterario credo questo breve romanzo sia un'autentica perla. L'autore si permette fin nelle prime pagine di annunciare come finirà: Ivan Il'ic era morto. Si lancia quindi in un flashback per ripercorrere le vicende personali dell'ultimo anno di vita del protagonista, e il lettore non può fare a meno di esserne catturato, di continuare a chiedersi: come fa a finire in quel modo?
Le considerazioni sull'aspetto più profondo dell'opera però, non sono meno degne di importanza dello stile letterario. Il protagonista conduce una vita apparentemente impeccabile e invidiabile: sposato con figli, abita in una casa assolutamente dignitosa e ha una moglie fedele, nonché un lavoro rispettabilissimo. Non molto diversamente da tanti personaggi delle classi sociali più elevate di cui si narra nei grandi classici russi.
Eppure, nel ripercorrere quel suo ultimo anno di vita, emergono inappellabili tutte le mancanze, le ipocrisie e la pochezza non solo delle relazioni amicali e di lavoro, ma proprio di quelle familiari. E nuovamente il tema non nuovo ai grandi autori russi, la riscoperta dei valori autentici di affetto e amicizia, nel rapporto con le persone semplici, le persone semplici che solo con il loro umile e discreto operato, costituiscono la parte migliore della comunità.

Quest'opera, fin dalle prime pagine, mi ha fatto pensare a un verso di una celebre canzone italiana di Dalla e Morandi:

...e così ho vissuto,
quasi rotolandomi,
per non dovere ammettere di aver
perduto!


Meraviglioso.

Ciao, MadLuke.
 

Maya03

New member
Mi ha commosso profondamente, forse perché nel racconto ho rivissuto ció che ho sperimentato pochi mesi fa, quando dopo anni di malattia cronica un mio caro parente è venuto a mancare: nel racconto ho riconosciuto l'odio del malato (imputabile non tanto al carattere, quanto alla prolungata sofferenza), il senso di impotenza di fronte alla malattia che costringe a modificare il ritmo di vita, la falsità che Ivan intravede in chi gli sta intorno tentando di fare finta che tutto sia normale e a posto e l'imbarazzo di parenti e amici che non sanno come comportarsi in presenza del malato.

Nelle ultime pagine é stato toccante: ciò che prova sentendo avvicinarsi la fine, la morte ed esserne consapevole...
 

Nerst

enjoy member
Non capisco...ma è mai possibile che a risvegliare le persone dal sonno di una vita non desiderata sia colei che ha il potere di mettere fine ad ogni cosa? Lei: la morte. Il migliore dei beni è reso da ciò che dall' uomo è visto come il peggiore dei mali.

La storia è il risveglio di un uomo, che si ritrova in presenza delle persone di cui si è circondato per una vita, ma che si accorge di voler rimanere da solo. Per compagnia, colui che fino a ieri era un estraneo: il suo servo. Egli diverrà il suo confidente, l' unico capace di cogliere il significato di ogni suo sospiro.

La morte diventa meraviglia...la meraviglia diviene sollievo...il sollievo sarà un nulla più.
 

Minerva6

Monkey *MOD*
Membro dello Staff
In attesa dell'elaborazione di un mio commento all'opera, posto questa citazione che sennò poi me ne dimentico :wink:.

Si mise a frugare nella propria immaginazione alla ricerca dei momenti migliori della sua piacevole vita... ma la persona che aveva provato quei momenti piacevoli, non c'era più: sembrava il ricordo di qualcun altro.
 

velmez

Active member
carino, ma ho preferito di gran lunga il Tolstoj regista di grandi romanzi come Guerra e Pace e Anna Karenina...
 

velvet

Well-known member
Racconto scritto benissimo, concordo con chi parla di piccolo capolavoro.
Una morte lenta e inesorabile da cui l'uomo si sente tirare giú in un baratro, nonostante cerchi con tutte le sue forze fisiche e mentali di tirarsi fuori. E poi l'odio per chi è vivo, per l'ipocrisia di chi continua a vivere la vita che fino ad allora era anche la sua ma che oramai lo lascia ai margini: ravvedimento o apoteosi dell'ipocrisia? E infine un messaggio di speranza, quando finalmente arriva la morte non spaventa piú, non sprofonda ma solleva, o almeno allevia pene e strazi.
 

Vitt96

Member
La morte di Ivan Il'ič è un romanzo breve incentrato sulla storia di un uomo che, colto da un male incurabile, si trova a dover affrontare l'inevitabilità della morte.
La morte si mostra all'uomo nella sua inevitabilità e il dolore condanna Ivan a fissare i suoi pensieri sul tema della morte provocando in lui diverse riflessioni. Si accorge che tutto ciò per cui ha vissuto non è che una menzogna, si accorge che la vita cerca in tutti i modi di nascondere la morte: ora con le false speranze somministrate dai dottori, ora con il carattere egoistico e falso delle persone che convivono col morente.
Nel frattempo la malattia progredisce, il dolore è sempre più forte e, mentre i dottori si scervellano tra rene mobile e intestino, Ivan capisce che non v'è più speranza; ormai nemmeno la morfina fa più effetto, l'unica cosa che dona al morente un po' di sollievo è la compagnia del giovane Gerasim e della sua natura schietta e genuina che non teme la morte e che mostra compassione per il padrone.
Le condizioni peggiorano e il crescendo di lucida disperazione s'impossessa di Ivan che inizia a provare odio per i vivi, per la sua condizione ingiusta, per Dio. Soltanto nel momento fatale le cose cambieranno: la morte trascinerà Ivan in un buco nero in fondo al quale però egli scorgerà una luce; l'odio per chi gli sta attorno si tramuterà in pietà ed egli proverà un profondo sollievo. Svanirà la paura della morte perché sostituita dalla luce. Nel mezzo di un respiro egli muore dopo aver esclamato "Che gioia!".
Il tema della morte si presenta in tutta la sua spaventosa naturalezza, così come il dolore e la speranza, nella loro vivida crudeltà.

La prosa di Tolstoj è molto differente da quella che caratterizza i suoi più grandi capolavori Guerra e pace e Anna Karenina, fortemente influenzata dalla profonda crisi spirituale che stava attraversando l'autore. Ho molto apprezzato questo romanzo anche se l'ho trovato più "oscuro" rispetto alle altre opere dello stesso autore.
 

ayuthaya

Moderator
Membro dello Staff
Un’opera perfetta, dall’afflato universale. Tolstoj sceglie l’evento più banale e straordinario, naturale e terribile che un uomo possa vivere – l’incontro con la propria morte – e ne riporta fedelmente il resoconto, senza filtri, senza aggiungerci nulla che non sia puramente umano (l’approdo alla conversione verrà dopo).
L’universalità del tema si cala in un contesto sociale determinato: la media borghesia russa di metà Ottocento (ma tempo e luogo sono irrilevanti), una scelta ben precisa che rappresenta l’insanabile dicotomia fra l’illusione di realizzazione in questa vita e la presa di coscienza della sua vacuità quando ormai è troppo tardi. Tutto il libro è attraversato da un senso di incomunicabilità: Ivan Il’Ic, l’uomo al vertice della carriera, il marito dalla condotta ineccepibile (tutto deve essere fatto “comme il faut”), il frivolo compagno di “vint” è morto, ma questo “accidente” deve essere immediatamente rimosso, perché tutto torni come prima. Il disagio nella camera mortuaria è palpabile e coinvolge tutti, persino la moglie, che si interessa di questioni futili come se nulla fosse cambiato davvero.
Ma si possono incolpare la moglie, i colleghi, i compagni di gioco di questa freddezza, di questa estraneità? Quella che separa adesso il defunto da coloro che sono ancora in vita è la stessa incolmabile distanza che ha separato, nei lunghi mesi della malattia, l’Ivan Il’Ic sofferente dall’Ivan Il’Ic di prima: sano, allegro, approvato dalla società e da se stesso. È questa la vera solitudine a cui è condannato il malato: con chi se la può prendere se tutti intorno lui continuano a rispettare le identiche leggi nelle quali lui stesso ha creduto, fino a quando non ne è stato tagliato fuori suo malgrado? Nell’odio di Ivan Il’Ic verso i propri familiari si sente tutto l’odio per se stesso, per quello che era e che non è più, e che forse vorrebbe tornare ad essere se solo fosse possibile. L’accettazione di questo divario è talmente lunga e difficile che è attraverso il suo straziante svolgersi che si dipana il racconto: Ivan Il’Ic comprende presto, quasi subito, che chi lo sta aspettando è “lei”, la morte, ma ci vorranno mesi e mesi, pagine e pagine per noi, perchè questo destino venga accettato e infine abbracciato.

Quell’esempio di sillogismo che aveva studiato nel manuale di logica del Kiesewetter, Caio è un uomo, gli uomini sono mortali, perciò Caio è mortale, gli era sembrato, per tutta la vita, valido solo in rapporto a Caio, e in alcun modo in rapporto a se stesso. Una cosa era l’uomo-Caio, l’uomo in generale, e in questo caso il sillogismo andava benissimo; ma lui non era né Caio né l’uomo in generale, ma era sempre stato un essere molto, molto particolare, molto diverso da tutti gli altri esseri. (...)Aveva mai sentito Caio l’odore del pallone di cuoio che al piccolo Vanja piaceva così tanto? Aveva mai baciato la mano alla mamma, Caio, e avevano mai frusciato così dolcemente, per Caio, le pieghe della seta del vestito della mamma? Aveva mai litigato, Caio, per le frittelle, all’istituto di giurisprudenza? E Caio, era mai stato innamorato? E sapeva, Caio, presiedere un’udienza in tribunale?
Certo che Caio è mortale, lui è giusto che muoia, ma io, piccolo Vanja, io, Ivan Il’ič, con tutti i miei sentimenti, i miei pensieri, io sono un’altra cosa. Non è possibile che mi tocchi morire. Sarebbe troppo orribile.


In questo passaggio non si può non riconoscere uno dei vertici della letteratura di tutti i tempi. Col progredire della malattia e l’avvicinarsi di quella morte che continua a fargli paura, ma che ormai gli appare inevitabile, Ivan Il’Ic dovrà prendere coscienza che è proprio lui Caio, ognuno di noi lo è. E se è troppo tardi per riparare agli errori commessi – e forse anche per comunicare con chi sarebbe ancora in tempo ma non capisce, non può capire (non dimentichiamoci che c’è sempre quel baratro, quella distanza infinita e impercorribile) –, si può almeno vivere la morte come non si è vissuta la vita, che alla fine è il solo modo per fare a patti con lei.
 
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Nefertari

Active member
Ho fatto tanta fatica a leggere questo libro. Ogni pagina è stata costantemente accompagnata da brutte sensazioni, mi sono sentita come vicino al letto di una persona cara che se ne sta andando.... Tolstoj mi trasmette sempre un sacco di emozioni che però solitamente sono contrastanti, in questo caso tanta tristezza...
 

greenintro

Active member
Ho recepito sensazioni ambigue riguardo questa lettura: da un lato un pò di delusione per non aver ritrovato quelle tipiche e affascinanti sensazioni che la letteratura russa, specie ottocentesca, sa trasmettere e trasmettermi. Dall'altro la consapevolezza che questo "limite" (se lo si vuole intendere come tale) è conseguente al taglio introspettivo che l'autore ha dato all'opera, scarso tratteggiamento delle ambientazioni esterne in favore di un focus quasi tutto orientato sulla vicenda, soprattutto interiore, del protagonista, il suo tormento intimo, il modo in cui il suo stato d'animo influenza il racconto dei fatti reali, le sue riflessioni sul senso della sofferenza e della morte. Cioè, il punto di debolezza, se vogliamo, è anche quello di forza del romanzo. Consigliato a chi cerca qualcosa che stimoli più la riflessione che l'emotività nell'accezione più istintiva e immediato del suo significato.
 

Grantenca

Well-known member
E’ Un libro breve, meno di 100 pagine, più un lungo racconto, ma la sua qualità è inversamente proporzionale alla sua modesta lunghezza. I colleghi di lavoro apprendono dal giornale della morte di Ivan Il’ic. E qui c’è la prima perla: la visita di un subordinato presso l’abitazione per un ultimo saluto al defunto e per fare le condoglianze alla vedova, atto più dovuto per convenienze sociali che sentito.

In questa visita sono mirabilmente descritte le sensazioni , sgradevoli, che si provano davanti ad un defunto anche se già composto nella bara. A ciò si somma Il fastidio che proprio questo fatto potrebbe far saltare la quotidiana partita a carte. La vedova però lo mette a proprio agio chiedendoli se esistano particolari indennizzi per la morte di un funzionario in pieno servizio. Lui è impreparato a questa domanda ma si rende conto che la vedova, al riguardo, è molto informata, e non lo può averlo fatto dopo la morte del marito.

Poi comincia la descrizione della vita del protagonista. Un alto magistrato, di buona famiglia, che si è costruito una bella carriera con le sue capacità, qualche buona conoscenza, ed efficienza sul lavoro. E’ un uomo brillante, sa stare in società, gioca benissimo a carte e, da giovane, è stato anche un ottimo ballerino. Si è fatto una bella famiglia e, anche se non sono buoni i rapporti con la moglie, hanno trovato un accettabile compromesso e hanno due figli, una ragazza bella, intelligente, ed in età da marito che ha già uno spasimante di ottima estrazione sociale e con una posizione invidiabile. Il ragazzino, che agli occhi del padre non sembra un’aquila sta ancora studiando. Un banale incidente domestico gli causa una contusione dolorosa in un fianco, che in poco tempo sparisce. Una settimana dopo il dolore riappare, in modo diverso e sempre più forte, e qui comincia il calvario. Visite mediche, prime medicine che sembrano aver successo, ma poi tutto come prima anzi, giorno per giorno, sempre peggio. Consultazioni di luminari, specialisti, grandi sentenze, rassicurazioni ma il paziente sta sempre peggio. Arriva il momento che non può più badare a se stesso e deve subire le umilianti cure per la pulizia personale. E qui comincia a farsi le domande che forse chiunque, che non abbia una solida fede che considera transitoria la nostra presenza nel mondo, si farebbe nelle medesime circostanze. Perché proprio a me? Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Ho trascorso una vita virtuosa, lavorando, non ho mai fatto del male a nessuno (cosa opinabile), ma a dir la verità, egli sapeva trattare i subalterni con molto tatto, e quindi era stimato. Non vuole morire Ivan Il’ic, ma la situazione degenera e peggiora giorno dopo giorno. E’ disperato, l’unica consolazione è quella che ad occuparsi di lui per il tutto che gli serve è un giovane e lindo contadino dall’aria serena e rassicurante che gli dà una immagine di forza e protezione.

Fino all’ultimo lotta, non vuol cedere alla malattia, e la disperazione e i dolori aumentano fino a livelli insopportabili. Proprio nel momento estremo si rende forse conto che il figlioletto, che non ha mai veramente amato, gli tiene una mano.

La mia generazione ha amato i grandi autori russi dell’ottocento, personalmente anche Solzenycin e Pasternak, del 900, ma Tolstoj, anche se forse non è il più grande, è quello che ammiro di più. E’ triste pensare che una civiltà che ha prodotto queste eccellenze, sia governata attualmente da gente senza cervello che vuol distruggere l’umanità. E’ successo anche con la Germania di Schiller. Goethe, Kant, Mann, ecc…ecc… che ha prodotto Hitler.
 
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