Verlaine, Paul - Laeti et errabundi (del 1889)

asiul

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Laeti et errabundi

Le corse furono intrepide
(come pesa oggi il riposo!)
tra steamers e rapidi
(che vuole da me quest'obeso at home?).

Andavamo - ve ne ricordate,
viaggiatore scomparso chissà dove? -
filando leggeri nell'aria sottile
come due spettri gioiosi!

Poiché le passioni appagate
insolentemente oltre ogni misura
riempivano di feste le nostre teste
e i sensi, che tutto rassicura,

tutto, la giovinezza, l'amicizia
e i nostri cuori, ah quanto liberi
dalle donne commiserate
e dall'ultimo dei pregiudizi,

lasciando il timore dell'orgia
e lo scrupolo al buon eremita
perché, varcata la soglia,
Ponsard non ammette limiti.

Tra altri biasimevoli eccessi,
credo che bevemmo di tutto,
dai più gran vini francesi
al faro, allo stout,

passando per le acqueviti
considerate terribili,
l'anima rapita al settimo cielo,
il corpo, più umile, sotto i tavoli.
.
Paesaggi, città
posavano per i nostri occhi instancabili;
le nostre belle curiosità
avrebbero mangiato ogni atlante.

Fiumi e monti, bronzi e marmi,
i tramonti d'oro, l'alba magica,
l'Inghilterra, madre degli alberi,
e il Belgio figlio di torrioni,

il mare, terribile e insieme dolce,
ricamavano sull'amato romanzo
cui non lasciava tregua
la nostra anima - e quid nella nostra carne?...

il romanzo di vivere in due uomini
meglio che sposi modello,
ciascuno versando nel mucchio somme
di affetti forti e fedeli.

L'invidia dagli occhi di basilisco
censurava quel modo di quotarsi:
pranzavamo di biasimo pubblico
e cenavamo con la stessa pietanza.

Talvolta anche la miseria
infuriava nel falansterio:
si reagiva col coraggio,
la gioia e le patate.

Scandalosi senza sapere perché
(forse era troppo bello)
la nostra coppia restava serena
come due bravi portabandiera,

serena nell'orgoglio d'essere più liberi
dei più liberi di questo mondo,
sorda ai paroloni di ogni calibro,
inaccessibili al riso immondo.

Avevamo lasciato senza commozione
a Parigi ogni impedimento,
lui qualche sciocco sbeffeggiato, e io
una certa principessa Sorcio,

una scema che finì anche peggio...
Poi, ad un tratto, la nostra gloria cadde,
e noi, da marescialli dell'Impero
decaduti a briganti della Loira,

ma decaduti di nostra volontà!
Fu come una licenza,
per dirla militarmente,
la nostra separazione,

licenza sotto le suole delle scarpe,
e dopo quante campagne!
Avete perdonato alle femmine?
Io, ho rivisto poco quelle compagne,

abbastanza però per soffrirne.
Ah, che debole cuore il mio cuore!
Ma è meglio soffrire che morire
e soprattutto morire di languore.

Dicono che siete morto. Il Diavolo
si porti chi la diffonde
la notizia irreparabile
che batte alla mia porta!

Non voglio crederci. Morto, voi,
tu, dio tra i semidei!
Sono pazzi quelli che lo dicono.
Morto, il mio grande peccato radioso

tutto quel passato che ancora brucia
nelle mie vene e nel mio cervello
e che risplende e sfolgora
sul mio sempre nuovo fervore!

Morto tutto quel trionfo inaudito
che risuonava senza freno né fine
sul motivo mai svanito
scandito dal mio cuore che fu divino.

Ma come! il poema miracoloso
e l'omni-filosofia,
e la mia patria e la mia bohème
morti? Ma andiamo! tu vivi la mia vita
 
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