Sayrafiezadeh, Said

franceska

CON LA "C"
Figlio di un iraniano e di un’ebrea statunitense, Said è nato alla fine degli anni sessanta, mangia carote e yogurt, guarda la tv di nascosto, trascorre le vacanze partecipando a incomprensibili raduni politici. E soprattutto, al contrario dei suoi coetanei, non possiede uno skateboard. Il motivo di tanta originalità? Said è figlio di comunisti: un padre che sembra Che Guevara, una madre che promette gli skate solo quando il proletariato vincerà.
Con un ritmo veloce e brillante, e la capacità di cogliere gli aspetti più strambi dell’esistenza, l’autore ci sorprende col racconto autobiografico di una giovinezza irregolare, trascorsa in attesa di una rivoluzione sempre imminente e sempre rinviata.
Vincitore del premio John Fante 2010
Dwight Garner del New York Times lo ha inserito tra i dieci migliori libri del 2009.


Sono stata al festival della letteratura di Mantova e uno degli incontri al quale tenevo particolarmente, era quello con Mauro Corona, tutto il resto sarebbe stato nutrimento in più. Quando sono arrivata al chiosco delle prenotazioni, ho trovato il cartellone occupato e l’evento, che attendevo da tempo, era già pieno, l’unico ancora libero alla stessa ora era quello con Said Sayrafiezadeh uno scrittore statunitense che non conoscevo. Ho letto velocemente due righe, dal libricino degli autori che avevo acquistato, e così ho felicemente ripiegato su di lui.
Nel Chiostro del Museo Diocesano, accompagnato dal un’interprete e dal giornalista Enrico Franceschini, Said Sayrafiezadeh ha presentato il libro: "Quando verrà la rivoluzione avremo tutti lo skateboard”. (Franceschini ha iniziato con una battuta e cioè nel dire che non sarebbe stato facile chiedere in libreria di questo autore).
Said è un ragazzo che non ha mai conosciuto l'Iran, né la lingua, né le tradizioni di questo popolo, pur portandone il nome e una somatica inconfondibile.
Quando a scuola gli domandavano di dove sei? Lui rispondeva “New York” ma loro insistevano “No, di dove sei veramente?” e lui non sapeva cosa rispondere.
Così è iniziato il suo racconto, che ci ha subito rapiti. Con un nome che gli americani hanno sempre pronunciato scorrettamente, è cresciuto, in un’America in piena Guerra Fredda e crisi diplomatica con l’Iran, con due genitori assetati di rivoluzione, i quali non gli concedevano alcun gioco e alcuna distrazione, se non assurde riunioni di partito. Cresciuto nel silenzio di mille domande, ha confessato che da circa cinque anni, il padre non gli rivolge la parola. Questo libro è nato per liberare l’anima da una stretta soffocante e far conoscere le proprie idee, perché i pensieri di Said il padre non li ha mai voluti ascoltare così come sicuramente non li ha ancora letti, e mai li leggerà. Un libro che, per il disagio sofferto, non è riuscito a scrivere prima; ha avuto bisogno di tempo per maturare quella che, sorridendo, lui stesso definisce “Revenge”. Un racconto di dolore, presentato con grande serenità, o almeno, questo ha trasmesso a noi che lo ascoltavamo ammaliati. Ha atteso le domande un po’ intimidito, pregando che non fossero personali ma attinenti al libro. Inutile dire che le domande sono state tutte personalissime e ogni volta, prima di replicare sorrideva, ma ha risposto con una sincerità che traspariva limpida dai suoi occhi, e io, che nei miei pensieri ringraziavo il destino che mi aveva portata lì, l’ho subito adorato.
Ho il suo libro, autografato con mano incerta e una grafia terribile, e lo tengo come si tiene un bene prezioso. Grazie Said, felice di averti ascoltato e a presto il piacere di leggerti. (seguirà recensione)
 
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elisa

Motherator
Membro dello Staff
ecco cosa mi sono persa :(

era uno degli autori che mi sarebbe piaciuto andare a sentire, grazie per il resoconto :)
 
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