Bukowski, Charles -Donne

Per me i 74 anni di vita di Charles Bukowski restano un mistero. Doveva avere un fegato d'amianto, resistente al fuoco dell'alcool. Uno dei pochi scrittori che ha vissuto le esperienze che descrive nei suoi pochi romanzi, ma moltissimi racconti.
Donne è un romanzo autobiografico, parla di sbronze colossali, di s....te fantastiche, di donne che lo adorano.
Tra le tante Laura/Katherine, texana dai capelli rossi, fisico mingherlino, ma di bellezza sconvolgente. Poi c'è la folle Lydia, la milionaria, l'editrice, insomma un mondo variegato di donne che si concede al "grande" Chinaski.

Un vecchio film si intitolava "Volevamo essere gli U2", parafrasandolo dico: "Volevo essere Chinaski". Anche se probabilmente il mio fegato avrebbe retto un paio di mesi.

Bravissimo Bukowski.
 
G

Gabriel

Guest
In tarda età confessò alla Pivano che, in realtà, la maggior parte delle vicissitudini raccontate nei suoi romanzi e nei suoi racconti, erano amplificati.
Ha sempre saputo dove e come andare a parare e sapeva cosa il suo pubblico (me compreso) voleva da lui.

Probabilmente era davvero come si descriveva, ma poi ha estremizzato una vita che ha fatto diventare letteratura. Non il contrario.

Un d'Annunzio americano e mezzo tedesco d'altri tempi.

Si diceva spaventato dalle donne e faceva il misogino, con ciò ben sapendo di contentare un pubblico machista che nelle sue storie ricercava sesso usa e getta e alcol a fiumi. E gli veniva benissimo scrivere "di quelle cose". Veramente bene.

Non a caso di biografie sue ne esiste una sola, con molte lacune tra l’altro e, pare, diverse imprecisioni.
Disse “non potevo raccontare la mia vita, la vita è sempre qualcosa di banale e noioso, che tu sia pescivendolo o astronauta”.

Quanto meno sarebbe andato in carcere per lo stupro di una bambina di sei anni. Su questo, anche ammettendo grosse lacune del sistema giudiziario americano, non ci piove. Non foss’altro per averlo ammesso in uno dei suoi racconti. O per aver fracassato teste nei bar.

L’idea che mi sono fatto è che il vero Bukowsky sia da ricercare nelle sue prime poesie, quelle scritte quando ancora lavorava. Un mal di vivere descritto con sprezzante lucidità.

Poi ha capito cosa, noi tutti, volevamo da lui. In questo romanzo (bruttino secondo me) vedo tanta fragilità e tanto marketing.
Ha vissuto senz’altro una vita randagia, fuori e dentro, e senz’altro ha avuto problemi relazionali e di alcol.

Ma non è quello che mi interessa di lui, anche se è quello che ci racconta, sempre, comunque e dovunque.
Ho amato e amerò sempre Bukowsky, ma quello intimo da ricercarsi dietro la superbia, dietro la vanità finta disinteressata e dietro una misoginia troppo radicale per essere vera. Un muro difensivo, che gli veniva molto bene e che piaceva.
 
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