Ferrara, Abel - The Addiction

El_tipo

Surrealistic member
The addiction, la dipendenza, è il film del grande Ferrara che conclude la cosidetta trilogia del peccato, in cui è affrontata in termini filosofici la dialettica tra bene e male. La dipendenza in questo caso è la dipendenza dal male; non è l'uomo malvagio che commette il peccato, ma è il peccato stesso che fa parte dell'uomo e lo rende malvagio "il mio vizio è controllato dalla mia volontà ma la mia volontà all'inizio è stata influenzata dal mio vizio". La genialità del film si esprime tutta nell'utilizzo del vampiro come metafora dell'uomo che commette il peccato: la prima volta è difficile, la più difficile, poi l'appetito diventa insaziabile....e le vittime non sono in grado di allontanare il male perchè fa parte di esse stesse, alberga anche esso in loro e per questo sono pronte ad accoglierlo. Il cammino iniziato col cattivo tenente quindi termina così, con un provvido massacro, nel nichilismo più puro. "al di là del bene e del male, puah, nietzsche non ci aveva capito nulla". Non c'è più spazio quindi nemmeno più per la redenzione, perchè anche dio fa parte del male. E' straordinario il passaggio in cui la protagonista chiede perdono al prete per il suo male, cioè Dio.
Filosofia, religione, grandissima regia e uso razionale degli elementi a mio parere lo rendono un capolavoro di straordinaria attualità.
L'uso del bianco e nero smorza le scene più crude del film allontanandolo dal genere horror, a cui non è assolutamente ascrivibile.
Voto 5/5
 

Shoofly

Señora Memebr
Su questo film (che è uno dei miei preferiti in assoluto) è uscito anche il libro di A.M. Fortuna, "Il contagio del male. Un commento a The addiction di Abel Ferrara", Aleph ed., 2006.
Concordo con il tuo giudizio: anche se la trama segue, nel suo impianto di base, la dinamica presente in ogni classico racconto di vampiri questo film ha dentro tutto tranne che i cliché degli horror canonici.
Una studentessa di filosofia, Kathleen Conklin (Lili Taylor), morsa dalla vampira Casanova (Annabella Sciorra), si trasforma a sua volta in una creatura della notte. Sin qui niente di nuovo, se non fosse per l'interessante dibattito filosofico sul Bene e il Male che sottende tutta l'architettura del film, quest'ultima costruita attraverso una personale rilettura delle atmosfere visive già magistralmente evocate da Murnau e Dreyer, dove l'eleganza espressionista nel contrasto di luce e buio costituisce soltanto uno dei molti sofisticati tratti.
Attraverso tali spunti - che rendono l'opera già di per se una chicca nell'immenso mare di banalità in cui va dibattendosi il glorioso filone vampirico - Ferrara, e lo sceneggiatore St. John, propongono una figura di vampiro intelligente e sensibile, decisamente insolita nel proprio dibattersi disperato per resistere alla sete di sangue allo stesso modo di un tossicodipendente in crisi d'astinenza.
E questa è l'autentica manifestazione del Male, e dei suoi meccanismi, che attanaglia in una spira di morte i personaggi del film. Ogni tentativo di redenzione da parte della protagonista è destinato a fallire, il libero arbitrio appare solo un'illusione, il peccato impossibile da espellere dal codice genetico dell'umanità. Verso una simile consapevolezza l'itinerarium mentis passa obbligatoriamente attraverso « un long, immense et raisonné dérèglement de tous les sens » come avrebbe detto Rimbaud.
E Kathleen Conklin si spinge oltre: "La Storia non esiste. Tutto ciò che siamo è eternamente con Noi. La domanda che dobbiamo porci, quindi, è: che cosa potrà salvarci dalla nostra folle propensione a propagare il male in cerchi sempre più ampi?"
Nulla.
 
Ma è stato Il CATTIVO TENENTE il suo capolavoro.
pare,ho sentito(speriamo non accada),vogliano farne un remake.
Ne sapete qualcosa?
 

ayla

+Dreamer+ Member
E' sicuramente un film crudo e riflessivo a cui bisogna prestare attenzione, per poter cogliere e apprezzare le diverse(e azzeccate) citazioni filosofiche. Mi è piaciuta molto l'idea del bianco e nero che rende decisamente palpabile il senso d'angoscia, squallore e solitudine che prova la protagonista mentre si aggira per le vie in cerca di vittime. Interessante è, poi, il parallelismo che il regista fa con la droga(non a caso la protagonista, la sua prima volta, si inietta il sangue con la siringa di un drogato morto) che genera dipendenza e questa, se da una parte soddisfa il nostro vizio, dall'altra ottenebra e distrugge il nostro io. Ma non sono d'accordo sul fatto che non ci sia una qualche redenzione in questo film, se di redenzione si può parlare: la scena finale, mentre lei è al sole, davanti alla sua tomba, mi ha lasciata una speranza di riscatto, nonostante il dedito ergo sum cioè il pecco dunque esisto.




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