Gatti, Omar - Interferenze Letterarie

Omar Gatti

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Ciao a tutti gli utenti di Forum Libri.
Mi chiamo Omar, ho 25 anni e vivo vicino a Monza. Amo scrivere e sono convinto che si debba farlo se se ne senta il bisogno. Pubblico in maniera indipendente, cercando di trovare una via differente dalle case editrici che, a uno sconosciuto come me, chiedono almeno 2000€ per pubblicare e poi far marcire le copie in un magazzino sperduto.
Scrivo romanzi e racconti di narrativa, basandomi su esperienze dirette e su quello che dice la mia fantasia.

Il mio sito internet s'intitola: Interferenze Letteraie

Per ora ho scritto 3 romanzi, una racconto noir e una fiaba (con la quale ho conquistato la mia morosa!).

Prima però di elencarvi tutte le caratteristiche che fanno di me un autore differente, nuovo e bla bla bla preferisco farmi conoscere attraverso una cosa che credo di saper fare bene: scrivere.

Posto qui un racconto molto breve. La genesi è semplice. Partendo dalla poesia "Barbara" di Jacques Prevert, poeta francese, mi sono immaginato come sarebbe potuto essere l'incotro tra i due trent'anni dopo la stesura della poesia, a Parigi.

Chi leggendo rimarrà incuriosito mi faccia la gentilezza di scrivere due righe e approfondirò la mia attività di scrittore.

per ora ringrazio il forum e Fabio per l'opportunità di presentarmi e chiunque passerà qualche minuto leggendo il racconto.

"Uscì dal bistrot una volta terminata la colazione. Quando la pesante porta di legno umido si chiuse dietro di sé accompagnata dal suono del campanello posto in cima, riuscì solo a intuire un vago "Buona giornata, Jacques".
Pioveva.
Pioveva come faceva sempre a Settembre, a Parigi. Da quando s'era trasferito in città non riusciva a ricordarne uno completamente asciutto, senza nemmeno una goccia d'acqua che cadesse dal cielo plumbeo.
Mai.
Nemmeno una volta in cinquant'anni. Ci sono cose che non possono e non devono accadere. Settembre senza pioggia, a Parigi, era una di quelle.
Non che facesse freddo.
Tutt'altro.
Nonostante la pioggerellina che cadeva di traverso dalle nuvole grigie che avevano coperto il cielo, camminava con indosso solo una leggera giacca di lino, una camicia e senza nemmeno portare il cappello. Non aveva con sé l'ombrello ma non se ne preoccupò.
Lasciatosi alle spalle il Café de la Paix, vicino all'Opera, il suo bistrot preferito, dove vi faceva colazione ogni mattina, ridiscese per la via omonima.
Intorno a lui la vita di tutti i giorni scorreva placida e imperterrita.
Una madre cercava di tenere sotto l'ombrello un bambino agitato e ribelle. Degli studenti correvano al riparo sugli scalini di un palazzo, sotto gli occhi freddi e pieni di disapprovazione di una portinaia un po' troppo grassa. Due innamorati si coccolavano ai tavolini di un caffè che dava sulla strada, scambiandosi dolci effusioni e parole cariche d'amore.
Jacques estrasse l'accendino da una tasca della giacca e s'accese una sigaretta. Il medico gli aveva consigliato di lasciar perdere il fumo, la nicotina si era depositata nei polmoni come un velo di polvere sempre più spesso e alla sua età non era certo un fattore da trascurare. Ogni peggioramento avrebbe potuto essergli fatale.
Ne aspirò una boccata e sorrise all'idea di avere sessantasette anni, di venir considerato un vecchio, un vecchio e illustre poeta certo ma pur sempre un vecchio.
Un vecchio non è più una persona libera di scegliere.
I passatempi e i vizi di una vita diventano all'improvviso bestie feroci da combattere, abitudini da cancellare, comportamenti ignobili da evitare se non si voglia avere a che fare con la morte.
Jacques guardò la sigaretta e sorrise nuovamente.
Come se una in più o una in meno avrebbero potuto modificare il tempo che gli rimaneva da passare su quella terra, pensò.
Quel giorno si sentiva allegro, spensierato.
Quella mattina era felice.
Sarà stata l'aria carica d'umidità ancora calda d'estate, il profumo dei croissant che penetrava le finestre socchiuse dei bistrot sparpagliati lungo la via, la contagiosa effervescenza artistica dei musicisti che si dirigevano verso l'Opera per le prove mattutine, l'atmosfera che Parigi acquista solo a Settembre e solo quando piove.
Era una sensazione strana.
La vita che andava avanti nonostante la pioggia.
Le persone non cercavano di correre verso la fermata della metro e non si premuravano di coprirsi con una giacca più pesante. I tavolini all'aperto non venivano ritirati. I ciclisti continuavano a pedalare lungo i marciapiedi, con l'impermeabile un po' più stretto sul collo e nulla più.
Era una pioggia che non faceva paura a nessuno, come se a nessuno fosse importato, come se la vita di ognuno, di tutti, di Parigi, fosse stata ben più importante che il fatto di dover ammettere che a Settembre a Parigi piove sempre e quello è il segnale che l'autunno è lì per arrivare.
Ricordava un'altra pioggia così felice ma era stato parecchi anni prima, in un luogo lontano da Parigi, quando ancora poteva considerarsi giovane da non dover controllare il numero di sigarette fumate.
Già, era stato a Brest e trent'anni prima.
Esattamente trent'anni prima, a Settembre, lungo rue de Siam, che non era poi così diversa da Rue de la Paix, solo un po' meno caotica e dall'aria più marittima ma con gli stessi bistrot, la stessa gente che forse, anche in quel momento, stava camminando sotto una pioggia di fine estate.
Terminò la sigaretta alla fine di Rue de la Paix, entrando nel quadrato di Place Vendome.
L'obelisco di Napoleone aveva assunto un colore grigiastro, da metallo non ancora lavorato, ma nemmeno la statua dell'imperatore, lassù in cima, sembrava preoccuparsi più di tanto della pioggerellina.
I portici dei palazzi tutt'intorno erano un trionfo di persone e parole, in un miscuglio quasi osceno di lingue diverse, come nell'Inferno di Dante.
Nascosto dagli ombrelli colorati, un gruppo di turisti ascoltava una giovane guida turistica raccontare la storia di Napoleone e della "sua" colonna di Austerlitz. Come tutti i regnanti d'Europa e del mondo che avessero voluto celebrare le proprie gesta anche l'imperatore aveva attinto a piene mani all'architettura romana, copiando la Colonna Traiana. La sua però non aveva avuto grande fortuna, dato che a ogni nuovo cambio di governo o invasione straniera, c'era stato sempre qualcuno che s'era messo in testa d'abbatterla e il più delle volte c'era riuscito.
Jacques cominciò a sentirsi osservato, come se dal gruppo di turisti si fossero levati due occhi che lo seguissero.
Era una strana sensazione, ancor più strana dell'indifferenza dei parigini alla prima pioggia di Settembre o, se vista da un altro punto di vista, all'ultima pioggia di Agosto.
Cercò di avvicinarsi al gruppo, mettendosi di fronte, dall'altra parte della colonna.
Gli parve che la pioggia fosse aumentata d'intensità.
Si accese una nuova sigaretta senza pensare a nulla. Sentiva sopra di sé uno sguardo vacuo, informe, dai contorni sbiaditi.
Qualcosa che ne stesse scandagliando l'anima ancor prima del viso.
Uno sguardo di cui sapeva essere già stato vittima, sempre che si fosse potuto definire in tal modo. All'improvviso, esattamente come la pioggia di Settembre che aveva cominciato a cadere su Parigi, sull'Ile de France, su tutta la terra che era solo un astro, per dirla con le sue stesse parole, dal gruppo si levò un grido.
Era qualcosa che sapeva di già sentito, una voce cara, un ricordo affiorato e vivacizzato dalle gocce di Settembre.
"Monsieur Jacques! Monsieur Jacques!"
Una voce di donna, dall'accento bretone. Quell'accento così strano, antico, rude, l'accento dei Galli che avevano combattuto contro le legioni di Giulio Cesare.
L'accento di Brest.
Di nuovo.
"Monsieur Jacques! Monsieur Jacques Prevert!"
Dal gruppo emerse la figura di una donna.
Non era né giovane né vecchia. Magra e agile, con i capelli color oro impreziositi da filamenti argentati, il passo deciso, l'animo sorridente, rapido, raggiante, grondante.
Gli si fece incontro e gridò nuovamente il suo nome nella pioggia, in mezzo alla piazza straboccante di gente indifferente o incuriosita.
"Jacques" gridò e gli sembrò un grido felice, come quella pioggia, di quel Settembre appena iniziato, tanto che la giacca di lino era ancora sufficiente e non aveva avuto bisogno del cappello.
La donna parlò di nuovo.
"Bonjour monsieur Jacques ".
Sembrava emozionata.
Il foulard che portava annodato attorno al collo era nero e viola e s'adattava perfettamente al vestito scuro che indossava su un corpo che indicava una cinquantina d'anni.
"Bonjour madame" rispose lui, con la voce mescolata al tabacco della sigaretta che andava consumandosi tra le sue dita sporche di giallo e nicotina.
"Monsieur, sono io. Barbara".
"Madame, che siate Barbara non lo metto in dubbio".
Lei sorrise, se lo aspettava, sì, se lo aspettava da uno come Jacques Prevert. Perlomeno poteva aspettarselo dal Jacques Prevert poeta. Il Prevert che aveva conosciuto invece era solo un semplice romantico perennemente innamorato dell'amore.
" Trent'anni fa, monsieur. Rue de Siam. A Brest. Sotto quel portico. Avete sentito gridare il mio nome da un uomo. Barbara"
Prevert sorrise di rimando, corrugando le labbra imitano quelle della donna, che sembravano gonfie di gioia e di vita.
Erano rosse e carnose, delicate come le rose.
Sorrise dell'idea che la vita, che quel Settembre parigino, che quella Place Vendome gonfia di gente, gli avessero tirato quello strano scherzo.
"Eravate voi, dunque, madame".
Lei chiuse gli occhi e gli tese la mano.
Lui gliela strinse.
" Non pensavo che vi avrei mai incontrato". Disse lei.
Lui scosse la testa.
Un grido riempì il silenzio.
"Barbara!"
Era una voce maschile, dura e cupa, ma densa d'amore. Sì, che fosse piena di sentimento lo s'intuiva pienamente. Una voce che aveva già sentito, un nome che aveva già potuto ascoltare nella pioggia, non tanto diversa da quella di quel Settembre.
Una voce che non era invecchiata.
Un uomo s'avvicinò alla donna.
Vestiva in maniera svogliatamente elegante e portava i capelli grigi pettinati all'indietro con la brillantina.
Al collo una macchina fotografica con montato un grosso obbiettivo.
"Francois, ti presento monsieur Prevert".
"Prevert il poeta?" domandò.
Jacques sorrise e mosse il capo in un cenno che avrebbe potuto significare un sì o altre cento cose tutte diverse.
L'uomo si mise a ridere e cominciò a parlare, a fare domande, a sciorinare inviti per un caffè, per una cena, per un viaggio a Brest.
Jacques lo interruppe.
Prima di parlare si accese un'altra sigaretta, la terza in meno di venti minuti. Pensò che il suo medico questa volta non l'avrebbe certo perdonato.
"Ora devo andare, se non vi spiace. E' stato un piacere rivedervi madame Barbara. Arrivederci anche a voi. Vi auguro una buona permanenza a Parigi."
L'uomo farfugliò qualcosa mentre Barbara sorrise nuovamente d'un sorriso bello e allegro.
Si aspettava anche questa da uno come Jacques Prevert.
Quest'ultimo, nel frattempo, mentre imboccava Rue de Castiglione in direzione dei Giardini delle Tuilleries, scosse il capo divertito.
La pioggia di Settembre portava con sé l'autunno e trascinava lontano l'estate da Parigi.
Quell'anno però aveva voluto far sì che tornasse giovane, anche solo per qualche secondo. Sussurrò un "Ricordati Barbara" seguito da alcuni versi. Terminò con un "Je t'aime".

Quando l'eco dell'ultima parola si disperse nell'aria di Parigi, si rese conto che aveva smesso di piovere.

Proprio come a Brest."
 
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Omar Gatti

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Il silenzio di un milione di passi

Il mio ultimo romanzo s'intola "Il silenzio di un milione di passi" ed è basata sull’esperienza diretta lungo il cammino di Santiago, che ho percorso interamente nell’Aprile del 2010.

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La vicenda racconta di Renzo, giovane sulla strada verso Compostela e del suo cammino in compagnia di Tanatos, enigmatico compagno che si rivelerà essere tutt’altro che un semplice pellegrino. Il tutto attraverso i luoghi simbolo del cammino, tra Pirenei, mesetas castigliane, le montagne della Galizia e l’oceano Atlantico di fronte a Finisterre.

Il romanzo vuole essere un romantico inno al cammino di Santiago e alla sua capacità d'insegnare e di far conoscere i riflessi più intimi della propria anima attraverso il sudore, la sofferenza e i chilometri lungo un percorso che da Saint jean in Francia si snoda lungo la parte nord della Spagna fino alla città di Santiago de Compostela, in Galizia. 800 km da vivere a piedi o in bicicletta.


"Feci il mio ingresso nell’esperienza del cammino nel tardo pomeriggio, con il sole che cominciava a calare sull'orizzonte sporcato dai monti e il cielo che s’andava colorando di tinte violacee. Risalii la città vecchia di Saint-Jean, luogo di partenza del cammino in terra francese, con le sue case di pietra e le tortuose viuzze d'acciottolato, fino a ritrovarmi davanti a una vecchia porta intarsiata. Lì, in un angolo, bastoni, qualche scarpone vecchio, delle conchiglie e la scritta "Chemin de Saint Jacques" incisa su una piastrella in ceramica. Bussai utilizzando il vecchio battente arrugginito, non c'era segno di campanello, mentre mi sembrava di vivere un sogno, come se quello che stessi facendo non fosse stato reale."

"Ci sono tappe che rimangono impresse nella memoria, per via degli incontri, delle vicende vissute, dei paesaggi attraversati o della sofferenza patita. Della tappa che mi condusse da Astorga a Rabanal ricordo la noia del contorno, la quasi totale mancanza di difficoltà, la debolezza che accompagnava ogni passo ma soprattutto ne conservo l'immagine come la prima volta in cui cominciai a pensare che ce l'avrei fatta. Un sentimento di orgoglio e soddisfazione, una forza che spingeva ancora di più, che sollevava il morale e curava i dolori meglio di qualunque medicinale. Su quei sentieri polverosi realizzai che sarei arrivato a Santiago, anche zoppo, trascinandomi sulle ginocchia, sputando sangue ma avrei goduto della vista della cattedrale nella piazza dell'Obradoiro, fosse stata l'ultima cosa che avrei fatto in vita mia. Realizzai che il mio cammino stava finalmente acquistando un senso, che tutto riconduceva a un solo obbiettivo: farcela. Raggiungere Santiago, che era solo un luogo nel mondo ma che per me aveva acquistato un valore totale, immenso. Era la città che avrebbe sancito la mia vittoria, il fatto di potercela fare, il mio "impossibile" che si sarebbe trasformato in possibilità e realtà. Santiago era lì, sarei andato a prenderla, perché volevo farlo. "

Il romanzo è disponibile in tutte le librerie "La Feltrinelli" in Italia o sul il sito www.ilmiolibro.it, oppure in versione ebook sul sito www.lulu.com


A questo indirizzo si possono ascoltare e scaricare degli stralci in versione audio.
 
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