Riflessioni scritte sul Brigantaggio

Sono cresciuto nel culto di De Amicis. La piccola vedetta lombarda, Valor civile, Il tamburino sardo.
Sono cresciuto con l'assordante rumore della prima guerra mondiale nelle orecchie. Mi sono immaginato al posto di mio nonno, quando con pochi abiti e con la ritrosia del meridionale montanaro, attraversava il Ponte di Bassano sul Brenta e Vittorio Emanuele III gli dava una pacca sul petto dandogli coraggio: "Coraggio ragazzi".
Ho sempre pensato che i briganti fossero gente feroce e delinquenti senza redenzione. Come ogni paese meridionale che si rispetti, anche il mio borgo ha un antro dove leggenda vuole, sia nascosto il favoloso tesoro dei Briganti.
Con orgoglio guardavo la medaglia d'argento data ad un carabiniere del loco, caduto in un "eroico" scontro a fuoco con questi malfattori.

Poi leggo una frase di Gramsci e inizio a dubitare che quello che ho appreso nelle scuole dell'obbligo ed al liceo fosse tutto oro. Gramsci scrisse:
"Lo Stato italiano... ha messo a ferro e a fuoco l'Italia meridionale e le isole crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio briganti".

Dopo aver letto questa frase, ho voluto saperne di più su Crocco, Nicola Somma, Caruso, Sergente Romano. Mi sono accorto che fino al 1960, 100 anni dopo l'Unità d'Italia, scrivere su questa gente era tabù. I primi a farlo furono De Jaco e Molfese.
 
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Inizio di un racconto di De Amicis

"Era l'estate dell'anno 1861, allorché la fama delle imprese brigantesche correva l'Europa; quei giorni memorabili, quando il Pietropaolo portava in tasca un mento del "liberale" col pizzo alla napoleonica; quando a Montemiletto si seppellivan vivi, sotto un mucchio di cadaveri, coloro che avevano gridato "Viva l'Italia"; quando a Vieste si mangiavano le carni dei contadini renitenti agli ordini dei loro spogliatori; quando il colonnello Negri, presso Pontelandolfo, vedeva appese alle finestre, a modo di trofei, membra sanguinose di soldati; quando il povero luogotenente Bracci, ferito e preso in combattimento, veniva ucciso dopo otto ore di orrende torture; quando turbe di plebaglia forsennata uscivan di notte dai villaggi, colle torce alla mano, a ricevere in trionfo le bande..."

Novella "La Fortezza" di Edmondo De Amicis (1872).

Certo che i briganti, questa specie di subumani, dovevano essere davvero feroci.

La verità su Pontelandolfo è stata taciuta per oltre 100 anni, fino al ritrovamento del diario del brigadiere Margolfo, che partecipò in prima persona all'eccidio di Pontelandolfo e Casalduni.
O meglio esercitò il diritto di rappresaglia.

Il brigadiere Margolfo narra che la gente di Pontelandolfo venisse chiusa dentro le case e bruciata viva:
"Quale desolazione, non si poteva stare d'intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli, che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l'incendio avevamo di tutto; pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava".

Alla fine conclude soddisfatto il giovane brigadiere Carlo Margolfo di Sondrio:
"Il nido di briganti, questo Pontelandolfo ora si è domesticato per bene".

Maria Izzo forse era la più bella del paese, perché tra i giovani militari piemontesi con diritto di rappresaglia (leggi stupro) erano in molti a volerla. Cialdini però aveva dato un ordine ben preciso: "Che non né resti pietra su pietra". Ed allora per non perdere tempo, la si legò nuda ad un albero, con le gambe alzate e aperte. Al termine del massacro del paese, e dello stupro di gruppo, la finirono con una baionettata nello stomaco.
Concetta Biondi di 16 anni, dopo lo stupro fu spenta con una pallottola in fronte, sua madre Rosa fu stuprata e sbudellata.
Maria Ciaburri invece era a letto col marito Giuseppe, la violentarono davanti ai suoi occhi e poi li finirono entrambi con le baionette.
Anche i marocchini al seguito dei francesi, stuprarono le donne ciociare durante l'ultima guerra, anche loro come l'esercito piemontese erano dei liberatori, ma poiché erano africani e dunque barbari e stranieri, dopo averle stuprate non le ammazzavano.

Le verità sembrano essere due, eppure io ho sempre studiato la sola versione presa per buona anche da De Amicis.
 
Benedetto Croce e Gino Doria

Alcuni definirono il Brigantaggio meridionale una Vandea napoletana.

Croce li liquidò dicendo che il brigantaggio affondava le sue radici in Fra Diavolo e Mammone, Pronio e Rodio, la Santa Sede del Cardinale Ruffo e definì lo stesso brigantaggio una "lurida commedia".

Il suo discepolo Gino Doria disse che il paragone era inimmaginabile, perché "eroi i vandeani, assassini i briganti".

E rincarò la dose definendoli: "ladri, assassini, incendiari, ricattatori, uomini rozzi, ignoranti, dagli istinti bestiali, belve perseguitate, circondate, destinate fatalmente al macello".

E macelleria fu.
 

sergio Rufo

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Briganti moderni

Hai ragione Baldassarre, questi Briganti cosi' feroci, cosi' travisati.
Criminali o no, chi lo sa? un po' l'uno e un po' l'altro, probabilmente, come i vecchi partigiani.
Ma che dire, senza scomodare De Amicis e compagnia, dei briganti moderni?
Il brigantaggio e' il fenomeno piu' comune ed esteso in italia ma sembra che nessuno se ne accorga.
Forse lo sono tutti?
Un paese dove di organizzato c'e' il delinquenziale ma non lo Stato; un paese nel quale la classe politica ruba a destra e a manca e s'immunizza anche le palle; un paese dove non e' possibile intercettare perche lede la privacy dei liberi criminali; un paese dove chi denuncia un reato e' denunciato a sua volta ed anche incarcerato; un paese dove la retroattivita' vale solo per una casta; un paese dalla sospensione facile dei processi; un paese dalle prescrizioni ancora piu' facili; un paese dagli scudi a portata di mano; un paese dove un Pdl e' il monumentale esempio di riciclaggio politico; un paese dove un PD non si sa piu' dove sia e cosa sia; un paese dove l'opposizione e' scomparsa aviluppata da interessi comuni; un paese dove si vuole imbavagliare l'opinione pubblica; un paese dove la parola " pena" e' sentita come eresia per alcuni ma non per tutti; un paese dove tre o quattro cariche pubbliche sono cittadini piu' uguali degli altri; un paese che va' in malora ma che spaccia numeri falsi; una paese dove un magistrato deve avere paura ad interrogare, un poliziotto ad arrestare; un paese governato da Berlusconi che e' tutto dire; un paese dove stragi di stato sono state insabbiate; un paese dove il parlamento e' diventato covo di criminali ed ex terroristi; un paese dove andare a p.u.t.t.a.n.e. e' chic per qualcuno ed immorale per altri; un paese dove gli opinionisti sono piu' zoccole delle p.u.t.t.a.n.e di prima; un paese dove si fanno leggi ad personam; un paese che da 50 anni non e' governato; un paese dove i soldi rimbalzano da un paradiso fiscale all'altro; un paese dove le scalate finanziarie a giornali e a banche fanno tendenza; un paese dove nascono holding fantasma un giorno per sparire l'altro; un paese dai tesori occulti; un paese dove i parolai diventono santi e in alcuni casi martiri; un paese di valletopoli, calciopoli, puttanopoli; un paese dove le manette scattano per chi dice il vero; un paese, anzi, dove il vero non ha piu' senso d'esistere; un paese di lodi, sanatorie, condoni; un paese di corruzione e concussione; un paese di falsi in bilancio, peculati, aggiottaggi, addebiti pubblici impropri, abusi d'ufficio; un paese della peggior propaganda di destra e di sinistra che manco Goering; un paese dove il politicamente corretto e' un vangelo, tutto il resto e' qualunquismo.
Insomma un paese di briganti da quando e' nato, anzi, ancor piu' in la': un paese brigantesco dalla Repubbica di Roma antica in poi.

Si salvi chi puo!
 

lillo

Remember
Scusate, ma in questa definizione di briganti rientrano pure i partigiani che tra il 46 e il 48 furono costretti a scappare dall'Italia, per aver ucciso qualche fascista di troppo, che l'amnistia a firma Togliatti aveva impedito di mandare alla sbarra, come è successo iin Germania, dove i processi agli ex-nazisti sono continuati fino agli anni 60?:?
 

sergio Rufo

New member
Scusate, ma in questa definizione di briganti rientrano pure i partigiani che tra il 46 e il 48 furono costretti a scappare dall'Italia, per aver ucciso qualche fascista di troppo, che l'amnistia a firma Togliatti aveva impedito di mandare alla sbarra, come è successo iin Germania, dove i processi agli ex-nazisti sono continuati fino agli anni 60?:?

cioa lillo.
Il discorso partigiano era solo, almeno per me, un accenno alla famosa disputa: briganti o resistenti? partigiani o giustizieri di classe?
Io credo che sia difficile darne le misure.
Ci saranno stati tantissimi briganti che hanno resistito al "potere" ( e dunque per me non sono piu' briganti) ma anche parecchi che briganti lo erano davvero per proprio tornaconto.
Tutto qui.

Partigiani? ugual sorte. Moltissimi onesti anti-eroi, e molti che hanno poi sconfinato in vendetta classista e lotta antiborghese.
Su quest'ultimi ci sarebbe da ridire.
Ps: non dimenticare che molti partigiani dell'ultima ora, prima erano fascisti.
 
Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle del meridione italiano. E’ vero che in un paese gli insorti sono chiamati briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun’altra differenza tra i due movimenti"

BENJAMIN DISRAELI

Parlo di Briganti, insorgenti meridionali del decennio 1860-1870.
Non sconfino nel paragone con i partigiani. Io sono di parte. Ci saranno anche stati degli eccessi, ma il fascismo meritava questo ed altro.

Perdonatemi, ma non vorrei andare fuori argomento. Lasciamo per un attimo i partigiani e torniamo a Carmine Crocco e Ninco Nanco.
 
Altre riflessioni sul brigantaggio, questa volta di A. Dumas:

“(…) Il brigantaggio, infatti, fenomeno assai diffuso nelle regioni dell’Italia meridionale, è un frutto indigeno che cresce in montagna. Parlando dei prodotti degli Abruzzi, della Terra di Lavoro, della Basilicata e della Calabria, si potrebbe dire: le valli producono frumento, mais e fichi; le colline producono olive, noci e uva; le montagne producono briganti.
Nelle province che ho appena nominato, il brigantaggio è una condizione come un’altra. Essere un brigante è come fare il fornaio, il sarto, il calzolaio. È un mestiere che non ha nulla di disonorevole: il padre, la madre, il fratello, la sorella del brigante non sono minimamente screditati dalla professione del figlio o del fratello, dato che essa non rappresenta un’onta. Il brigante esercita per otto o nove mesi all’anno, cioè durante la primavera, l’estate e l’autunno. Soltanto il freddo e la neve lo cacciano dalla montagna e lo respingono verso il suo paese, che lo accoglie a braccia aperte. Qui egli incontra il sindaco, lo saluta e viene da lui salutato. Spesso è suo amico, talvolta suo parente.
Al ritorno della primavera, il brigante riprende il fucile, le pistole, il pugnale, e torna in montagna.
Di qui il proverbio francese “Les brigands poussent avec les feuilles”: I briganti spuntano con le foglie.
Da quando a Napoli esiste un governo – e ho consultato tutti gli archivi dal 1503 ai giorni nostri - , sono state emesse ordinanze contro i briganti, e lo strano è che quelle dei viceré spagnoli sono identiche a quelle dei governanti piemontesi, dato che i delitti sono sempre gli stessi: furti con scasso, rapine a mano armata sulla strada maestra, richieste di riscatto con minacce di incendi, di mutilazioni, di omicidi nel caso che tali richieste non abbiano ottenuto l’effetto desiderato.
Quando scoppia una rivoluzione, il brigantaggio assume proporzioni gigantesche*: le idee politiche diventano un pretesto, la bandiera una scusa. Il brigante tiene sempre per il partito della reazione, cioè per il trono e l’altare, dato che soltanto il trono e l’altare accattano simili alleati, mentre i liberali, i progressisti, i rivoluzionari li rifiutano e li disprezzano. Gli anni più famosi nella storia del brigantaggio sono quelli della reazione politica - 1799, 1809, 1821, 1848, 1862 - , cioè gli anni in cui il potere assoluto, subendo uno smacco, ha chiamato in suo aiuto il brigantaggio.
Questo diviene in tal caso ancora più difficile da estirpare, in quanto è appoggiato dalle autorità, che normalmente hanno il compito di reprimerlo. I sindaci, gli assessori, i comandanti della guardia nazionale sono non soltanto manutengoli, cioè complici dei briganti, ma non di rado briganti essi stessi.
Di solito sono preti e i monaci a sostenere moralmente il brigantaggio, a costruire l’anima. I briganti, che li hanno sentito predicare la rivolta, ricevono da loro, una volta che si siano rivoltati, medaglie benedette destinate a rendergli invulnerabili. Se per caso, nonostante la medaglia, vengono feriti o uccisi, quella stessa medaglia, che a nulla è servita sulla terra, diviene un passaporto infallibile per il cielo, per il quale san Pietro ha il massimo riguardo. Il brigante catturato ha il piede sul primo piolo della scala di Giacobbe che porta diritto in paradiso. Bacia la medaglia e muore eroicamente, convinto com’è che, grazie a quel colpo di fucile, potrà salire anche gli altri.
Ma a che è dovuta questa differenza fra gli individui e le masse? Perché a volte il soldato fugge al primo colpo di canone e il bandito muore invece da eroe? Cercheremo di spiegarlo, (….)
Ecco i principi essenziali:
Il coraggio collettivo è la virtù dei popoli liberi.
Il coraggio individuale è la virtù dei popoli che sono soltanto indipendenti.
Quasi tutte le popolazioni di montagna – gli svizzeri, i corsi, i siciliani, i montenegrini, gli albanesi, i drusi, i circassi – possono benissimo fare a meno della libertà, purché si lasci loro l’indipendenza.
Passiamo a spiegare che differenza enorme ci sia fra queste due parole: LIBERTA’ e INDIPENDENZA.
La libertà è la rinuncia da parte di ogni cittadino a una porzione della sua indipendenza per costruire un fondo comune che si chiama legge.
L’indipendenza è per l’uomo il godimento completo di tutte le sue facoltà, l’appagamento dei suoi desideri.
L’uomo libero è l’uomo che vive in società, che sa di poter contare sul suo vicino, il quale a sua volta fa affidamento su di lui. E, essendo disposto a sacrificarsi per gli altri, ha il diritto di esigere che gli altri si sacrificano per lui.
L’uomo indipendente è l’uomo allo stato naturale. Si fida solo di se stesso. I suoi unici alleati sono la montagna e la foresta. La sua difesa, il fucile e il pugnale. I suoi aiutanti sono la vista e l’udito.
Con gli uomini liberi si costituiscono degli eserciti.
Con gli uomini indipendenti si formano delle bande.
Agli uomini liberi si dice, come Bonaparte alle piramidi: “Serrate le file!”.
Agli uomini indipendenti si dice, come Charette a Machecoul:”Divertitevi, figlioli!”.
L’uomo libero si leva alla voce del suo re o della sua patria.
L’uomo indipendente si leva alla voce del proprio interesse e della propria passione.
L’uomo libero combatte.
L’uomo indipendente uccide.
L’uomo libero dice: ”Noi”.
L’uomo indipendente dice: ”Io”.
L’uomo libero è Fraternità.
L’uomo indipendente non è altro che Egoismo.
Ora, nel 1798, i napoletani erano ancora nella fase dell’indipendenza. Non conoscevano né la libertà, né la fraternità. (…)”
A. Dumas, La Sanfelice, pag. 722 - 725.​

.......................................
* si veda l'opera di A. Dumas, "Cent'anni di brigantaggio nelle provincie meridionali d'Italia" - purtroppo non lo possiedo, ma mi interessa tanto....:roll:
 
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sergio Rufo

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Baldassarre, se ti puo' interessare, stamani leggevo sul corriere dell'uscita in questi giorni di un volume di Guerri:
Il sangue del sud.
Storia del brigantaggio, la prima guerra civile.

Credo che sia un buon volume o comunque un tema che a te e' molto caro.

Dagli un'occhiata!
 
Emigranti e briganti

"Certo meritano di essere approfondite le annotazioni di A. Dumas sui briganti e confrontate con quelle di Auguste de Rivarol e Stendhal, quando questi pongono i calabresi sullo stesso piano di quei popoli che, vedendo occupare le proprie terre, si ribellano e lottano per scacciare l’usurpatore(24). Si tratta di una realtà molto vicina a quella che scoprirono gli autori romantici calabresi come Vincenzo Selvaggi, Domenico Mauro, Biagio Miraglia, Vincenzo Padula. “Quei romantici – dice Raffaele Sirri – scoprirono il bruzio, che è come dire che scoprirono l’essenza calabrese che ha sostanziato tutte le ribellioni, i silenzi e le esplosioni irrefrenabili; la ferocia e la cortesia, lungo il corso di una storia che non è mai stata la sua storia, dai tempi di Pirro e di Annibale. Realtà bruzia eroica e mitica, come verità di fondo“(25) .
Forse è proprio a questa verità che deve essere collegato il fatto che alla fine degli anni sessanta del secolo XIX il brigantaggio era stato effettivamente debellato. Purtroppo non ne furono debellate le cause e le conseguenze, se qualche decennio dopo,“Nitti – c ome fa notare Indro Montanelli – scriveva che per il ‘cafone’ non c’era alternativa: ‘o emigrante o brigante’. ma può diventare insieme l’una cosa e l’altra. Il gangsterismo americano lo dimostra"



"Ritornando a Dumas c’è da aggiungere che Luciana Serafino sostiene che egli comprende che tale definizione di brigante deriva da una strumentalizzazione a livello politico, “poiché l’autorità durante il dominio borbonico, non può riconoscere in loro degli oppositori al modo di reclutare popolazioni intere per la difesa di un regno a cui le regioni meridionali erano state assoggettate“. “D’altra parte – aggiunge la Serafino – la storia parla chiaro: tutti coloro, che per motivi politici erano costretti a rifugiarsi nei boschi e che difendevano a loro modo i luoghi nativi, si ponevano tra i clandestini e divenivano, di conseguenza, i fuorilegge per eccellenza. Tale fenomeno a suo tempo, nel Nord d’Italia, assumerà la definizione di ‘resistenza’, nel sud ‘brigantaggio’. L’aspetto negativo è che Dumas, anche in quell’accasione avvolge il tutto in un tono paternalistico che fa dimenticare lo scopo per cui ha intrapreso a scrivere romanzi"


Si dice che Dumas abbia sparato a zero contro i briganti, accusandoli di essere il braccio armato dei Borboni e poiché odiava i Borboni che gli avevano imprigionato il padre, non poteva certo essere tenero nei loro confronti.

Tuttavia Rinaldo Longo continua :

Certamente Garibaldi invece non dimenticò mai lo scopo per cui intraprese la conquista del Sud, per questo egli mostrò grande rancore, in una seduta del I Parlamento dell’Italia Unita, in aprile 1861, nei confronti di Cavour per l’ingiusto trattamento riservato ai volontari garibaldini che avevano conquistato le Due Sicilie. Molti di questi garibaldini, ex borbonici, come Pietro Monaco, morirono poi briganti.



Grazie della segnalazione, provvederò a comprarlo.
 
On. Massari, membro della Commissione d'inchiesta sul Brigantaggio

"... non è vero che tutti vadano a morire con coraggio; ciò è avvenuto in alcuni casi, ma non è la regola generale; a meno che si voglia confondere la stupidità con lo stoicismo, il forte disprezzo della vita con la freddezza dell'abbrutimento"

On. Massari


I "briganti" erano famosi per morire "bene" davanti ai plotoni d'esecuzione. Massari non era d'accordo.

E quel morire "bene" che dall'Europa era considerato stoicismo, coraggio e disprezzo della vita per una causa, dal Massari era considerato stupidità e abbrutimento animale.
 
(....)"Ritornando a Dumas c’è da aggiungere che Luciana Serafino sostiene che egli comprende che tale definizione di brigante deriva da una strumentalizzazione a livello politico, “poiché l’autorità durante il dominio borbonico, non può riconoscere in loro degli oppositori al modo di reclutare popolazioni intere per la difesa di un regno a cui le regioni meridionali erano state assoggettate“. “D’altra parte – aggiunge la Serafino – la storia parla chiaro: tutti coloro, che per motivi politici erano costretti a rifugiarsi nei boschi e che difendevano a loro modo i luoghi nativi, si ponevano tra i clandestini e divenivano, di conseguenza, i fuorilegge per eccellenza. Tale fenomeno a suo tempo, nel Nord d’Italia, assumerà la definizione di ‘resistenza’, nel sud ‘brigantaggio’. L’aspetto negativo è che Dumas, anche in quell’accasione avvolge il tutto in un tono paternalistico che fa dimenticare lo scopo per cui ha intrapreso a scrivere romanzi"[/I]

Si dice che Dumas abbia sparato a zero contro i briganti, accusandoli di essere il braccio armato dei Borboni e poiché odiava i Borboni che gli avevano imprigionato il padre, non poteva certo essere tenero nei loro confronti.(....)



Grazie della segnalazione, provvederò a comprarlo.

Uhm... questo mi è sfuggito.....

Mah, non saprei che cosa a risponderti, Baldassarre.... :?
Io non ho letto il libro di Dumas sul Brigantaggio... e per ciò non so rispondere a queste acuse degl'altri che hai citato, ma permettimi di dirti che si sente un tono molto ofensivo verso Dumas, che io interpreto malizioso => percepisco il suo desiderio di screditare l'autore con lo scoppo di svallutare le sue idee e le visioni, e questo è una cosa che mi fa girare le scatoline (posso usare questa parola?).... per il semplice fatto perchè non cercano di contrabattere il concetto e gli fatti esposti (forse perchè non è possibile?) :??

Se casomai ti capita di trovare il libro di Dumas, mi piacerebbe davvero sentire la tua....:wink:
 
Bossi e il tricolore.

Credo che il conducator verde sia nato con qualche anno di ritardo.



"Il generale Pinelli il 3 novembre 1861 dichiarò lo stato di assedio, ed alzò Corte marziale con tre articoli di una sua Proclamazione da fare invidia ai più truci tiranni. Ecco quegli articoli: "Articolo 1. Chiunque sarà colto con arme di qualunque specie sarà fucilato immediatamente; Art. 2. Ugual pena a chiunque spingesse con parole i villani a sollevarsi; Art. 3. Ugual pena a chi insultasse il ritratto del Re, o lo stemma di Savoia, o la bandiera nazionale".
 
"Finora avemmo i briganti. Ora abbiamo il brigantaggio; e tra l’una e l’altra parola corre grande divario. Vi hanno briganti quando il popolo non li aiuta, quando si ruba per vivere e morire con la pancia piena; e vi ha il brigantaggio quando la causa del brigante é la causa del popolo, allorquando questo lo aiuta, gli assicura gli assalti, la ritirata, il furto e ne divide i guadagni. Ora noi siamo nella condizione del brigantaggio"


Vincenzo Padula, "Il brigantaggio in Calabria, 1861,1864"
 
“L’unico grande diplomatico del secolo XIX è stato Cavour e anche lui non ha pensato a tutto. Sì, egli è geniale, ha raggiunto il suo scopo, ha fatto l’unità d’Italia. Ma guardate più addentro e che cosa vedete? Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa ha ottenuto al suo posto? (…) è sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, (…) un regno soddisfatto della sua unità, che non significa assolutamente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti e soprattutto soddisfatto di essere un regno di second’ordine. Ecco la creazione del conte di Cavour”
 
Dal discorso dell'On. Ricciardi alla Camera dei Deputati il 18 aprile 1863


"Se per esempio a Fagnano...si mostravano in comitiva dei ladri che uccidevano qualche pecora, qualche bue o spogliavano qualche viandante, si diceva subito che Fagnano brulicava di briganti. Vi andavano da Cosenza le guardie mobili del colonnello Fumel che assalivano, arrestavano e fucilavano.
Giungendo la notizia a Cosenza si diceva: hanno fucilato una compagnia di briganti; e naturalmente da tutti si gridava: bravo!
Intanto le famiglie degli estinti domandavano a se stessi, domandavano a tutti: perché queste fucilazioni? Quali misfatti han meritato al nostro padre la morte e a noi tanta miseria?.....
Come potevano le popolazioni non rimanere atterrite da una sentenza data arbitrariamente da uomini che, dopo aver assalita una casa ed avere arrestato individui sospetti, ne diventavano giudici, dopo aver udito una loro dichiarazione resa fra i tremiti di chi sa di essere vicino alla morte?"
 
Ci avviciniamo ai festeggiamenti per i 150 di quell'unità, pagata cara con soldi e sangue dalle popolazioni meridionali.

Sarebbe bello se tutti avessero memoria di cosa è successo 150 anni fa, e non considerare fatti ottocenteschi e dimenticati, o mai conosciuti quelle stragi.
 
Io sono pugliese. Sono stanca di sentir tirare in ballo fatti dell'800...la verità è che una parte non trascurabile di meridionali difetta di senso civico e di amor di patria e preferisce contribuire a tenere in vita le cattive eredità che ci distruggono. Non migliorerà mai nulla se ciascuno non fa il proprio dovere, aspettando sempre che le soluzioni piovano dallo Stato. La mafia non verrà mai sconfitta se la gente comune non smette di appoggiarla o di essere neutrale nei suoi confronti. Eccetera eccetera eccetera

Io non vorrei tutte le soluzioni provenienti dallo Stato, ma vivo in un borgo ove per raggiungere l'ospedale più vicino impiego 40 minuti.
Significa che se vai in overdose e non hai un parente che ti carichi in macchina e ti porti al Pronto Soccorso in 40 minuti, sei costretto ad aspettare un'ambulanza medicalizzata (si spera), altrimenti corri seriamente il rischio di accorciare considerevolmente la tua permanenza terrena.

Viste le più disparate provenienze degli avventori del forum, mi piacerebbe sapere (facendo corna) quanto impieghereste voi a raggiungere il pronto soccorso più vicino a casa vostra.
 
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