Le affermazioni di Kundera sull'ignoranza e la sua inescusabilità sono solitamente calate in un contesto storico ben preciso. Ricordo la tesi sul comunismo e il mito di Edipo, esposta sotto forma di lettera opinionista in L'insostenibile leggerezza dell'essere. Là si sosteneva che i politici responsabili della disfatta di un Paese dovrebbero (metaforicamente) cavarsi gli occhi e auto-esiliarsi, inorriditi da se stessi e dalle conseguenze delle loro decisioni, dalla società. Peraltro, lo stesso protagonista cambio opinione nel corso del libro e arriva a sostenere l'esatto opposto, è bestiale incolpare qualcuno per qualcosa che non poteva conoscere né prevedere.
La tematica è molto affascinante. Personalmente, sono contraria a stigmatizzazioni e capri espiatori in generale. Tuttavia, ho la sensazione, odiosa, che oggigiorno la classe politica usi la carta dell'ignoranza per deresponsabilizzarsi in ordine a qualsiasi cosa.
Istintivamente, voglio poter pensare che , se deresponsabilizzazione può esserci, questa deve provenire quantomeno da altro soggetto che non il "deresponsabilizzando"..in particolare dal soggetto che ha subito le conseguenze della gestione politica. I politici dovrebbero avere l'umiltà e la coscienza di non pretendere l'assoluzione morale del popolo, ma di chiederla, in ginocchio, capo chino. Guidare un paese non è mai stato facile, non è mai stato compito "leggero". Chi ne è investito, chi si assume un tale ruolo, è già "condannato", in certo senso, sin dall'inizio. E' impensabile uscirne puliti, con una autoproclamazione di innocenza perché "ma io non sapevo!". Eliminare la responsabilità morale significa eliminare la percezione di "essere alla guida di qualcosa". E tutti immaginiamo senza problemi quale fine attende una cosa (un Paese!) che si muove senza una guida, senza una coscienza di responsabilità.
D'altro canto, mi accorgo anche che nel popolo, nei singoli componenti di un Paese, nel nostro, per esempio, non esiste più il senso di pietà umana, compassione. Una mancanza che preclude persino la possibilità di un perdono. Il che costituisce una sorta di odiosa deresponsabilizzazione, allo stesso modo. Quando ci dimentichiamo di appartenere ad una collettività di "uomini", fatta da uomini, guidata da uomini, e perdiamo il nostro senso di "umanità", non possiamo pretendere nemmeno un fantasma, o un'ombra, di giustizia. Per dirla alla Checov, "
e non è ridicolo pensare alla giustizia quando ogni violenza viene accolta dalla società come una necessità ragionevole e conveniente e ogni atto di clemenza, per esempio una sentenza di assoluzione, suscita l'esplosione di un sentimento d'insoddisfazione e di vendetta?".
Credo che per liberarsi dall'accusa di ignoranza, ma anche per accusare qualcuno di ignoranza, serva maggiore responsabilità, coscienza di appartenere ad una collettività. Però io non ne vedo, qualche volta la leggo nei libri, difficilmente la noto intorno a me, nella mia collettività. Anzi, mi piacerebbe conoscere, un giorno, a quale collettività appartengo, veramente.
Insomma, i tempi stanno decadendo e non c'è più nemmeno la mezza stagione.