Da oggi in libreria il thriller di Salvo Sottile:
Cruel
Quì sotto, un capitolo del libro. Tanto per capire un po' lo stile...
Un lampo squarciò il buio svelando per un attimo una visione
maligna, un teatro spoglio e decaduto, fatto di muri
scrostati e di ombre che si muovono svelte.
Piove. La pioggia lava i peccati del mondo.
Sotto lo scrosciare del temporale estivo, i passi risuonavano
in un lungo corridoio cosparso di detriti. Sotto i piedi
scricchiolavano pezzi d’intonaco, schegge di vetro, resti di
finestre frantumate.
In una notte come quella, anche i muri sembravano vibrare.
Dalle pareti riecheggiavano le urla, le risate stridule e folli
di chi aveva popolato le sale devastate dal tempo, maschere
di uomini e donne senza nome, senza volto, che quel luogo
sembrava aver voluto imprigionare lì, non concedendo a
nessuno la pietà dell’oblio.
Ecco le voci... quanti anni...
Il peso da trasportare era nulla a confronto del significato
del gesto. In quel luogo, a quel modo.
I simboli erano tutto.
Un ampio locale in fondo alla corsia. La sala d’aspetto per
i visitatori. File di sedie schiantate, tavoli rovesciati, porte
divelte. Tubi al neon penzolanti nel vuoto.
Ecco, qui.
Pioveva che Dio la mandava.
La fitta cortina d’acqua, improvvisa, provvidenziale, avrebbe coperto ogni cosa. Avrebbe impedito a eventuali curiosi
di notare luci e movimenti dove non dovevano esserci.
Nessuno doveva sentire, nessuno doveva vedere.
Le uniche presenze tollerate erano quelle degli oscuri esseri
che abitavano quel luogo: i topi, coi loro scalpiccii nervosi,
gli insetti e tutti gli altri predatori notturni che avevano
fatto di quell’edificio il loro territorio di caccia.
Ora, deporre il fardello sul pavimento sudicio...
Ogni singola azione, che fino a quel momento era stata
lasciata al caso, ora stava per trovare un senso, un ordine,
in una sequenza perfetta di comandi che erano la promessa
di un viaggio, l’attesa di un profondo godimento.
Estrarre le corde.
Uno sguardo al soffitto.
La trave lassù sarebbe andata alla perfezione.
Afferrare un polpaccio della cosa a terra...
La carne era fredda e viscida, sgusciava quasi come gelatina
tra le dita guantate.
Avvolgere un capo della fune intorno alla caviglia, stringendo
forte...
Nessuno sbiancamento, nessun deflusso di sangue per
effetto della compressione. Non c’era sangue, in quel corpo.
Non più.
L’altra gamba, ora, con la seconda fune.
Cordame ruvido, che raschiava via lembi di pelle liscia.
Fatto.
Trascinare fin sotto la trave uno dei tavoli di ferro ricoperti di
calcinacci.
Salire, far passare le due corde sopra la trave.
Fatto.
Un tuono rimbombò sordo, facendo vibrare i monconi
di vetro delle finestre sfondate.
Tirare le funi, ora.
Le gambe della ragazza presero a innalzarsi dal suolo,
come animate di energia propria. Le corde sfrigolavano
sulla superficie della trave, ma reggevano bene il peso del
corpo nudo.
Anche il busto saliva lentamente, adesso, e la testa si staccava
da terra, poi le braccia, rilasciate come fiori appassiti.
Un’assurda creatura che sorgeva dall’abisso nei riflessi lividi
della città martoriata dal temporale.
L’intera figura sospesa ondeggiò per qualche momento.
Il segno tracciato sull’addome era un sigillo nero sulla pelle
bianca, immacolata.
Morte e trasfigurazione. Il cerchio si stava chiudendo, la
visione stava diventando materia che gradualmente prendeva
forma.
Assicurare l’estremità delle funi, ora, al corrimano murato nella
parete più vicina.
Lo usavano i pazienti con difficoltà motorie per spostarsi
nella sala, in un’epoca lontana, quando l’ospedale era... vivo.
Accostarsi al simulacro per ammirarlo un’ultima volta.
Non restava che contemplare la cosa adesso, quel pendolo
inerte che già scandiva il tempo di un’altra dimensione.
La massa di capelli si muoveva ancora, quasi impercettibilmente,
lo rivelava l’ombra sul pavimento.
Toccare quei capelli, lasciar scorrere le dita tra le ciocche scivolose
e lucenti...
Una violenta raffica di lampi trasformò la notte in giorno
per qualche istante, come in un negativo.
Ciò che era chiaro divenne oscuro, e ciò che era oscuro
divenne chiaro.
Tutto era compiuto.
Andare via, ora.
Forse, grazie a quel sacrificio, il dolore nella mente sarebbe
cessato.
Sì, era così.
Ora le voci potranno tacere.