Io invece non condivido l'analisi di Fabio, o almeno non la condivido del tutto.
E' vero che, almeno nelle regioni che conosco io, c'è molta più fame di diplomati tecnici che di laureati (a Bologna i periti industriali li vanno stanare ancora prima della maturità, anche quelli con voti cattivi).
E' vero anche che, nei primi 10 anni lavorativi, la forbice salariale non è certo a favore dei laureati (se poi consideri gli anni di non lavoro, il divario aumenta).
Dire per questo che investire su se stesso e la propria formazione sia una scelta sbagliata, non lo condivido però.
Che poi una debba seguire le proprie inclinazioni (come Zingaro) o quello che reputa che gli potrà dare un buon lavoro, è una scelta talmente personale che non è sindacabile. Nemmeno dal genitore che vedesse il figlio buttarsi via alla ricerca di chimere.
Ma il problema - aggravato dal problema reale di disoccupazione giovanile grazie anche alla Fornero (che p....la colga) - è che spesso il giovane o ha la sindrome di Peter Pan (continuo a studiare, studiare, studiare, quasi per rimandare il momento in cui devo affrontare il problema del lavoro) oppure è alla ricerca dell'isola che non c'è.
Ovvero si aspetta di avere da subito il lavoro che ha sempre sognato con la paga che ha sempre sognato.
Beh, salvo botte di c... come scriveva Ila qualche anno fa, questo non avviene.
E comunque - e con questa mi attirerò gli strali di 3/4 del forum - nel mondo del lavoro volere è (almeno un po') potere. E ci vuole pazienza.
Anch'io da neolaureato guadagnavo meno di un operaio.
E anche ora, stimato :?? professionista, guadagno molto meno dei soggetti a cui rendo i miei servizi e le mie conoscenze frutto di studio quotidiano.
Però faccio esattamente il lavoro che mi sono cercato.
E sono contento.
Molto probabilmente io sono parte del restante quarto e condivido la tua analisi, parlando di esperienze personali durante il periodo della scuola, compatibilmente con gli impegni scolastici, ho sempre lavorato ed ho fatto ciò che mi si presentava senza farne un dramma e nella stragrande maggioranza dei casi (tranne i figli di papà) tutti i miei compagni di classe lavoravano (almeno d'estate).
Secondo me sono proprio state quelle esperienze a farmi apprezzare il lavoro, se avessi iniziato a svolgere allora il mio attuale lavoro, forse non mi sarebbe nemmeno piaciuto, non ero caratterialmente pronto e poi avevo tutt'altro per la testa.
Sta di fatto che appena diplomato (non ho la laurea) ho trovato un posto di lavoro per una retribuzione a dir poco ridicola (300 euro al mese), che nel corso degli anni è gradualmente aumentata ma che comunque non poteva garantirmi alcun futuro, a differenza dei miei coetanei che pur svolgendo mansioni per le quali non serviva alcun titolo di studio guadagnavano in alcuni casi fino il triplo di quello che percepivo io, ed alcuni di quelli svolgevano proprio i lavori che facevo durante il periodo scolastico.
Sono quindi arrivato al punto di dover far qualcosa, o abbandonare il mio lavoro e fare altro oppure prendermi il rischio e diventare autonomo, ho scelto la seconda opzione ed alla fine le cose si sono sistemate, ma ho dovuto metterci del mio e passare qualche notte in bianco a pensare a come far quadrare i conti.
Alla fine mi sento fortunato per il fatto che svolgo un lavoro che mi piace, ma quello che ho ottenuto non lo attribuisco alla fortuna, tutte le cose ho dovuto guadagnarmele a volte lottando con le unghie e con i denti; ritengo comunque di non aver fatto nulla di eccezionale e che questo genere di cose sono alla portata di tutti, ma bisogna avere ambizione, perseveranza e fiducia in se stessi; chi crede di riuscire a trovar tutto pronto appena usciti dalla scuola o è un illuso oppure è il classico raccomandato (ma questo è un altro discorso).
Il fatto comunque che le professioni intellettuali risultano essere sottopagate a mio avviso è una conseguenza logica, quelli che avevano vissuto da operai il cosiddetto boom economico erano riusciti comunque a mettere da parte un discreto capitale ed avevano coltivato un sogno: quello di dare ai loro figli un futuro migliore del loro, farli studiare per consentirgli di guadagnare di più faticando di meno. In molti hanno quindi investito nell'istruzione dei propri figli, vedendo la laurea come un obbiettivo imprescindibile, ed in alcuni casi spingendo a studiare persone che non erano assolutamente portate.
Si è quindi arrivati al punto di avere un gran numero di laureati ma un numero limitato di posti di lavoro, questo ha quindi causato disoccupazione ed aumentando l'offerta di manodopera, causando una ovvio deprezzamento dei salari.
Sarò estremamente realista e forse cinico, ma avendo avuto esperienze nella gestione di società ho sempre visto che quelle che hanno un numero esiguo di impiegati d'ufficio ed un grosso numero di operai che svolgono mansioni manuali le cose funzionano, quando ci sono molti impiegati e pochi operai le cose precipitano (ovviamente dipende dal tipo di lavoro, ma se di produce qualcosa di "materiale" generalmente è così).
Per fare un esempio, per la costruzione di una strada serve un determinato numero di tecnici per progettarla, ma servono molte più persone per costruirla, rapportando l'esempio di questo ipotetico cantiere stradale alla situazione italiana mi sembra che le nuove generazioni stiano sfornando un gran numero di tecnici e ben pochi operai; il fatto che aumenti il livello di istruzione è una cosa positiva, ma è innegabile che così facendo ci sia posto per tutti, è quindi ovvio che qualche tecnico quella fantomatica strada dovrà costruirla da operaio e non da progettista.
Edit: Purtroppo l'eventualità di non svolgere il lavoro per il quale hanno studiato per alcune persone (non tutte ovviamente) è inaccettabile e preferiscono essere disoccupati piuttosto che svolgere una mansione umile, qualche anno fa ero andato a Lecco per visionare un fabbricato in costruzione, parlando con il proprietario della ditta edile gli avevo chiesto il motivo per il quale aveva la stragrande maggioranza dei dipendenti stranieri, io avevo ipotizzato ragioni economiche, ma lui mi aveva risposto che di ragazzi italiani che volevano svolgere quel lavoro non ne trovava ed il fatto di avere degli stranieri che in alcuni casi non capivano nemmeno la lingua gli causava non pochi problemi; dato che qualche giorno prima avevo parlato con un mio condomino, sempre di Lecco, il quale mi aveva raccontato che suo figlio non trovava lavoro, avevo pensato di chiamarlo per dargli il numero del titolare dell'impresa edile, tempo dopo sono venuto a sapere che il ragazzo aveva rifiutato il lavoro, non voleva fare il manovale ed era rimasto a casa disoccupato.