Robbins, Tom

Shoofly

Señora Memebr
Tra tanti “grandi” non può mancare lui, il rosso, arguto, divertente e diverito Tom Robbins.

Thomas Eugene Robbins nasce il 22 luglio 1936 a Blowing Rock nella Carolina del Nord. Studia giornalismo all’Università Washington and Lee di Lexington (Virginia) ma non ottiene mai la laurea. Arruolatosi nell’aviazione partecipa alla Guerra di Corea e una volta rientrato in patria si iscrive al Richmond Professional Institute per frequentarne i corsi d’arte. Dopo il diploma si trasferisce a Seattle e inizia a scrivere per il Seattle Times.

Nel 1971 inizia la sua produzione narrativa:

Uno zoo lungo la strada (1971) (Another Roadside Attraction)
Il nuovo sesso:cowgirl (1976) (Even Cowgirls Get the Blues dal quale è tratto l’omonimo film di Gus Van Sant (1993) con Uma Thurman come protagonista principale.
Natura Morta con Picchio (1980) (Still Life with Woodpecker)
Profumo di Jitterbug (1984) (Jitterbug Perfume)
Coscine di pollo (1990) (Skinny Legs and All)
Beati come rane su una foglia di ninfea (1994) (Half Asleep in Frog Pajamas)
Feroci invalidi di ritorno dai paesi caldi (2000) (Fierce Invalids Home from Hot Climates)
Villa Incognito (2003) (Villa Incognito)
Le anatre selvatiche volano al contrario (2005) (Wild Ducks Flying Backward) in questa raccolta di articoli, saggi e storielle c’è anche Serenata al chiar di luna del cuscino scoreggione (Moonlight Whoopie Cushion sonata): imperdibile!!
"B" come birra (2009) (B is for beer).

Se non avete ancora letto nulla di lui… ehmm, non vi anticipo nulla, ma date prima un’occhiata a questa sua intervista per capire con chi avrete a che fare....:mrgreen:

Uno scrittore lungo la strada

Tom Robbins non passa inosservato. Innanzitutto è alto, ha un'andatura lenta, meditabonda, che ricorda il suo modo di parlare. Sorride spesso e cortesemente si preoccupa che le sue opinioni, pronunciate in uno stretto americano, vengano appieno comprese. Alle dita ha otto anelli molto appariscenti "perché 23 non posso metterli", e dalle sue risposte capiremo l'arcano...

Lei usa Internet?
Non molto. Con mio figlio, che vive a Praga, nella repubblica Ceca, utilizziamo spesso le e-mail per comunicare. Non navigo in Internet.
Il tema del viaggio ricorre nelle sue opere. Ma è un viaggio reale o immaginario?
Conosciamo così poco della realtà. Il 95% di tutto ciò che accade nell'universo è troppo veloce o troppo lento, troppo grande o troppo piccolo per essere percepito dai sensi umani... In definitiva può essere considerato un viaggio reale involontariamente immaginario.

Il viaggio in Internet per i giovani è paragonabile a quello "on the road" degli anni Sessanta o Settanta?
Il viaggio su strada e il viaggio su strada elettronico?
Sì, esattamente.
I giovani così non consumano le scarpe, non si stancano le gambe... La domanda mi interessa molto, ma è per me un tema da sviluppare, su cui dovrei riflettere. Potrebbe essere un argomento per un prossimo romanzo. Nello scrivere un romanzo parto sempre da un titolo, poi giro la pagina e scrivo la prima frase...
Quali differenze vede tra la generazione di giovani attuale e la "beat generation"?
Sono molto più informati. Ho un figlio di 25 anni. Sa molto di più di quello che sapevo io alla sua età; i giovani adesso sono molto più preparati. Penso che la principale differenza stia proprio nella preparazione e nella conseguente capacità critica. Il mondo è diventato cosmopolita e i giovani sono molto meno 'naive' di quanto lo fossi io.

Di conseguenza, pensa che ci siano parti dei suoi romanzi scritti allora, che i giovani adesso non riescono più ad afferrare appieno?
Non credo. Ci sono giovani con grande apertura mentale, ma anche persone più anziane dotate di apertura mentale particolare. Non si tratta secondo me di una differenza generazionale, ma di capacità di afferrare i concetti. Persone che non abbiano una rigidezza di pensiero, con immaginazione, dotate di 'sense of humor' sono quelle che amano i miei libri e li capiscono, al di là dell'età.
I suoi personaggi, quale parte della società rappresentano?
Le persone eroiche, o particolarmente importanti. I "grandissimi" [in italiano nell'intervista n.d.r.]. Mai persone ordinarie o vite ordinarie, figure straordinarie. Ma queste persone non sono necessariamente immaginarie. Ci sono nella vita persone straordinarie.

E quale parte ha il paradosso in questi personaggi?
Per tutti quelli che hanno studiato la vita, è ovvio che esista il paradosso. Nei paesi orientali dell'Asia non si dubita di ciò. In America non è invece accettato e tutti sono un po' spaventati all'idea che la vita in sé contenga un paradosso. Quando scrivo un passaggio particolarmente serio, alla fine cerco sempre di mettere una parte umoristica, una parte divertente o di sottolinearne l'aspetto "cattivo", o straordinario e di inserire sempre un paradosso finale. Come qualcuno che tiri improvvisamente un tappeto da sotto i piedi, io tolgo le certezze acquisite e lascio la storia "in aria". Cerco sempre di parlare al mio lettore e quando questo è arrivato quasi al "torpore" cerco di dargli uno scossone.

Quanto si identifica con il suoi personaggi?
Non c'è mai un personaggio in cui identificarmi. Anche il dottor Robbins de "Il nuovo sesso: cowgirls" aveva il mio nome ma non ero io. Voglio evitare tutto quello che può essere autobiografico, non voglio riprodurre me stesso. È però vero che in tutti i personaggi c'è qualcosa di me, anche in quelli femminili. Quando ho pensato ad Amanda, il personaggio che c'è in "Uno zoo lungo la strada", cercavo di affrontare la parte femminile che c'è in me. I personaggi non sono neanche basati sui miei amici o conoscenti, sono semplicemente una combinazione di vari fattori. Non so perché molti autori vogliano scrivere della loro vita, anche perché spesso non hanno vite molto interessanti... Per scrivere i miei libri impiego molto tempo, perché voglio pensare al ritmo della frase... Talvolta impiego anche due anni, tre anni. Essendo chiuso in una stanza per due o tre anni con i miei personaggi voglio almeno che questi siano interessanti: ad esempio donne indipendenti, forti, dinamiche e mai veri e propri "cattivi". Voglio proprio evitare di stare chiuso tanto tempo in una stanza con personaggi antipatici...

Parliamo invece dell'umorismo e della satira e del ruolo che svolgono nei suoi romanzi.
Non uso molto la satira. Distinguo un umorismo "importante" da quello che non lo è. Esiste un umorismo fine a se stesso e un umorismo che serve. Perciò non uso molto la satira, bensì l'umorismo perché secondo me questo può rendere la commedia, la trama inappropriata, blasfema, può rendere il testo maleducato e perciò serve ai miei fini. Non mi serve invece la satira perché la satira è, appunto, fine a se stessa. Posso fare una satira del governo, ad esempio, ma alla fine il dito sarà puntato sul governo, invece io voglio che la cosa più importante sia il testo. L'umorismo è "autonomo", la satira non mi permette di arrivare ai miei fini, di concentrarmi sulle parole, sul testo, sulla dinamica del testo. Il mio umorismo è anche particolare e se un lettore non è particolarmente attento o "portato" verso questo tipo di umorismo non sa mai quando sto scherzando o quando invece non scherzo. Può essere anche irritante, però se una persona ha la capacità di "andare a fondo" riuscirà a capire benissimo quando mi prendo gioco di una cosa e quale è il mio scopo.

Come spiega il successo, l'interesse che, a distanza di 25 anni, ancora suscita il suo romanzo "Another Roadside Attraction" (Uno zoo lungo la strada)?
Non ho idea. Credo perché il valore sia ancora gran parte delle conoscenze umane. Sento che ovunque io vada c'è un grande desiderio nella gente di qualcosa di rituale, qualcosa di cerimoniale, di più profondo della vita quotidiana, una ricerca del mistero, del "grande mistero". Penso che la gente ne abbia un gran bisogno e lo ricerchi ancora nei libri. Venticinque anni non hanno cambiato la situazione.

Cosa pensa delle recensioni?
Abitualmente non leggo le recensioni, da molti anni ormai. In una recensione del New York Times un critico affermava: 'Tom Robbins dovrebbe capire se vuol essere serio o vuol essere divertente. Perché non si decide?' A questo io rispondo che lo deciderò quando Dio lo deciderà, perché la realtà stessa ha una parte comica e una parte tragica. Quindi di fatto non posso essere io a deciderlo.

Perché nei suoi libri ricorre così spesso il numero 23?
È il mio numero fortunato. Il 23 è un numero di estrema "rottura". Ne "I Ching" il numero 23 è l'esagramma della spaccatura, sia in senso positivo che negativo. E poi ci sono 23 geni nei cromosomi, il mondo ruota attorno ad un asse spostato di 23 gradi... Il 23 è anche un numero associato ai disastri, particolarmente quelli aerei. Statisticamente spesso gli incidenti aerei sono legati al volo numero 23, o contano 230 morti, o 23 feriti... Non prendo mai un volo numero 23, ma in altre occasioni invece scelgo sempre il 23. Ad esempio la stanza 23 negli alberghi, perché so che vi accadrà qualcosa di interessante, potrà essere terribile, meraviglioso, comunque mai qualcosa di ordinario. In effetti leggendo i miei libri (non in "Uno zoo lungo la strada" perché a quel tempo non avevo ancora messo a fuoco questa idea) il numero 23 ricorre molto spesso.

Quali sono i romanzi della sua "formazione" che reputa immortali e che consiglierebbe a un ipotetico lettore?
Huckleberry Finn (Mark Twain), Alice nel paese delle meraviglie... Questi sono stati i primi. Poi ho scoperto gli autori dell'avanguardia francese: Alfred Jarry, Apollinaire, Baudelaire.

Sta lavorando a un nuovo romanzo?
Il mio prossimo libro si chiamerà "Polmonite galoppante". Gli Stati Uniti soffrono di polmonite galoppante. Si tratta di una malattia che non lascia prevedere le conseguenze. L'America ne soffre ma non sa quanto sia grave la sua patologia. Penso che sia molto interessante vivere in America, ma anche molto scoraggiante, nel senso che tutto sembra fatto apposta per far diventare stupida la gente: la televisione, Hollywood ecc. Fattori che istupidiscono la gente anziché renderla più acuta. L'America è come il numero 23: ottima sotto un certo punto di vista e pessima sotto un altro. Non presto troppa attenzione ai problemi politici degli Stati Uniti. Non che non ci siano o non siano importanti, ma il problema più grosso dell'America è secondo me di ordine filosofico e spirituale. Finché non saranno risolti questi problemi, quelli politici continueranno ad esserci e a riprodursi. Non saranno risolti finché l'essere umano non cambierà.


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28 febbraio 1997
 

Shoofly

Señora Memebr
Mi pare doveroso (e forse anche interessante, chissà...:mrgreen:) aggiungere qui un articolo redatto da Fernanda Pivano sull'autore:

"Era un ex Figlio dei fiori (...), sua madre era una scrittrice per l'infanzia, gia' a cinque anni le dettava racconti di fantasia insolita.
Una fantasia simile trovava pochi riscontri nel villaggio poverissimo in cui viveva, che pero' diventava un centro balneare di gran lusso nei mesi estivi: "Mi mostro' come delle cose mediocri possono improvvisamente diventare straordinarie", racconto' piu' tardi.
La sua fantasia trovo' nuovo alimento verso la meta' degli Anni Quaranta, quando la famiglia dei Robbins si trasferi' a Warsaw in Virginia e il bambino vide il suo primo circo restando affascinato dalla magia.
Disse piu' tardi: "Il circo rappresentava le ultime vestigia delle celebrazioni pagane".
Passo' un'estate a lavorare nel circo e si innamoro' di un'incantatrice di serpenti. Li', in Virginia, frequento' anche il liceo, gioco' a pallacanestro, si fece la reputazione di giovane ribelle, lesse tutto quello che trovo' da leggere tenendo segreta questa sua passione perche': "Nel Sud rurale chi leggeva diventava uno zimbello".
Ma per la sua condotta fu espulso dalla scuola e i genitori lo mandarono a un'accademia militare.
Dopo il diploma, entro' nell'Universita' Washington and Lee, nota come la "Princeton del Sud". Ma l'abbandono' due anni dopo; piu' tardi disse: "Era diventato chiaro che non avevo le qualita' di un gentiluomo del Sud".
Robbins comincio' allora un'esistenza nomadica di hippie, facendo l'autostop attraverso gli Stati Uniti per una decina d'anni e raccogliendo esperienze che lo aiutarono a sviluppare la sua voce di scrittore.
Nel 1956, a vent'anni, si fermo' al Greenwich Village di New York pensando di diventare un poeta, ma gli riusci' cosi' difficile sbarcare il lunario che si arruolo' nell'Aeronautica.
Venne "destinato" nella Corea del Sud, con scarsi risultati per la sua formazione morale: passo' la maggior parte del suo tempo a fare il mercato nero di sigarette, sapone e dentifrici.
"Per circa tredici mesi ho rifornito Mao Tse Tung di dentifricio Colgate", racconto'.
Al rientro negli Stati Uniti si iscrisse in una scuola d'arte perche' voleva fare il critico d'arte, ma nel 1960 lascio' la scuola senza laurearsi e ando' a lavorare nella redazione di un giornale conservatore di Richmond, presto venne in urto col direttore perche' pubblicava fotografie e articoli su musicisti neri, per esempio Luis Amstrong o Sammy Davis, finche' abbandono' la Virginia e nel 1962 si trasferi' a Seattle, Washington, dove avevano vissuto i pittori Morris Graves e Mark Tobey.
"Volevo vedere che tipo di paesaggio poteva produrre dei pittori mistici", disse piu' tardi.
L'interesse per il misticismo lo condusse a iscriversi ai corsi di filosofia orientale e giapponese all'Istituto dell'Estremo Oriente dell'Universita' di Washington; in quel periodo prese a fare esperimenti con l'Lsd e altre droghe psichedeliche.
Tutto incomincio' il 16 luglio 1963, fu il giorno piu' importante della sua vita: "Le droghe psichedeliche mi hanno lasciato meno rigido, sia intellettualmente, sia emotivamente... I confini tra la cosiddetta realta' e la cosiddetta fantasia, tra il sogno e la veglia, non erano piu' cosi' precisi e mi sono servito nei miei libri della scoperta di questa mobilita".
Al Greenwich Village incontro' Timothy Leary e i due scrittori diventarono amici, cosi' Robbins ne parlava: "Un giorno in un mercato Leary mi ha chiesto come facevo a riconoscere i cavolini di Bruxelles buoni da quelli cattivi e io gli ho detto che sceglievo quelli che sorridono".
Dopo un anno Robbins, tornato a Seattle, ebbe finalmente una rubrica di critica d'arte per una rivista e lavoro' come disc - jockey per una radio. Fu allora che inizio' a chiedersi che cosa sarebbe successo se la mummia di Cristo fosse stata rubata dalle catacombe romane; e pensando di usare questa idea come base per un romanzo prese a fare ricerche sulla storia dell'inizio della cristianita'.
Un redattore della Doubleday che ammirava la sua rubrica d'arte lo invito' a scrivere un libro e Robbins comincio' il suo romanzo su Cristo con l'idea di evocare lo spirito della rivoluzione psichedelica, scrivendo "Una storia non lineare"; l'altro scopo era quello di divulgare l'idea che la religione organizzata impedisce ai suoi fedeli di vivere una vita veramente spirituale.
E cosi' nacque Uno zoo lungo la strada. Il romanzo, nella bella traduzione di Hilia Brinis, presenta gia' una forma di sfrenata fantasia, alcune tematiche, l'interesse per l'occulto, per l'eros orientale, per la natura, fanno da sfondo alla storia del libro, nella quale viene rubata la mummia di Gesu' Cristo dalle catacombe del Vaticano, trasportata nello Stato di Washington e sistemata in un piccolo zoo allestito sui bordi di una strada con una bancarella di hot dog. E' un intreccio non certo basato sul realismo: l'idea di Robbins e' stata fin dal principio quella di mostrare che il vero significato della vita si puo' ritrovare scegliendo "la gioia nonostante tutto".

Questa massima e' svolta in tutto il libro ma con uno stile e una struttura che fanno sembrare sbiaditi i due autori suoi contemporanei ai quali viene di solito accostato, Richard Brautigan e Kurt Vonnegut. Ma a chiedergli chi lo abbia influenzato, Robbins risponde James Joyce, Alfred Jarry e George Herriman (il creatore di Krazy Kat) o gli artisti pop o Claes Oldenburg o Jackson Pollock.
"Nessuno scrittore di narrativa. Nel periodo in cui scrivevo Uno zoo lungo la strada leggevo piu' che altro Alan Watts, Gary Snyder, Timothy Leary, Yogananda.
Il solo narratore che mi dicesse qualcosa era Hermann Hesse, e certamente non ha influenzato il mio stile. Dicevo che ero influenzato da Vonnegut, ma non l'avevo mai letto. Con Brautigan l'unica cosa che ho in comune sono le metafore fantasiose e offensive, ma io le usavo prima di lui".
In un'intervista ha detto: "Sono stato molto coinvolto nella rivoluzione psichedelica e ho visto che gli scrittori la descrivevano in modo giornalistico piu' che evocarla per riprodurne l'essenza. Ho basato Uno zoo lungo la strada su un modello psichedelico. Qualcuno si e' lamentato dicendo che il libro non ha struttura, ma invece ha una struttura molto accurata (ho passato due anni a crearla) anche se non e' una struttura consueta. Credo che non ci sia mai stato un libro cosi', ne' per il contenuto, ne' per la forma: puo' darsi che non sia granche', ma e' decisamente un libro a se stante. La sua struttura si irradia in molte direzioni piuttosto che continuare gradatamente su uno stesso piano inclinato, come la maggior parte dei romanzi. Ci sono molti lampi di illuminazione legati insieme come i chicchi di una collana: alcuni illuminano la trama, altri illuminano il lettore".
Una qualita' eccezionale di Tom Robbins e' la sua abilita' a essere serio e divertente nello stesso tempo e in un'altra intervista, quando gli hanno fatto notare questa sua abilita', ha risposto: "Vuoi dire come l'universo? La fisica ci ha insegnato che l'universo e' in equilibrio tra leggi irrevocabili e giocosita' disordinate. Anche i giochi sono seri: si potrebbe definire la vita come un bellissimo scherzo che non finisce mai. Alla gente non illuminata il Dio - riso sembra frivolo, ma va fatta distinzione tra lo humor importante che e' liberatorio e quello non importante. Quello importante e' sempre inappropriato e causa un moto nella coscienza che libera lo spirito umano; percio' e' nell'area di questo humor inappropriato che lavoro o almeno aspiro a lavorare. Dobbiamo essere capaci di divertirci sulle cose, qualunque cosa, anche la divinita' di Cristo, come ho fatto in "Uno zoo lungo la strada", ma nello scherzo deve esserci rispetto per la vita, in tutte le sue manifestazioni pazze".
Gli hanno chiesto come mai aveva scelto come argomento di questo libro la demitologizzazione della Cristianita'.
Ha risposto: "L'idea della scoperta del corpo mummificato di Cristo mi e' girata in testa per sei o sette anni. Ero affascinato dal fatto che la civilta' occidentale e' basata sulla divinita' di Cristo. Cosa sarebbe successo se avessimo appreso che dopo tutto Cristo non era divino? In realta' non ho demitologizzato la Cristianita', anzi l'ho rimitologizzata".
Gli hanno chiesto se gli era accaduto qualcosa da indurlo a reagire contro la sua educazione religiosa. Ha risposto: "Si', e' stato la prima volta che ho visto Johnny Weismuller. Gesu' e' stato il mio eroe, ma poi ho visto Tarzan; ho continuato ad amare Gesu', e' ancora un mio eroe e in Uno zoo lungo la strada ho scritto un dialogo tra Tarzan e Gesu' che e' stato un tentativo di risolvere conflitti della mia infanzia, quando Gesu' e Tarzan erano in competizione".

(Corriede della Sera, 6 febbraio 1997).
 
Che dire.
La curiosità sei riuscita a suscitarla.
Se mi stacco dal cinquecento.....magari tra un po' ci casco dentro un attimino.
T.
 
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